2025-02-04
Panama cede alle pressioni di Trump e molla il Dragone: fuori dalla Via della Seta
José Raúl Mulino e Marco Rubio (Ansa)
I criticati annunci del tycoon convincono il presidente Mulino a staccarsi da Pechino. Decisiva la visita del segretario Rubio che ha parlato di «status quo inaccettabile».Chi si straccia le vesti per le minacce di Donald Trump non ha ancora capito che si tratta di una strategia consapevole volta a mettere sotto pressione gli interlocutori, per spuntare concessioni vantaggiose. Stiamo parlando di una linea di coercizione, che inizia a dare i suoi frutti e che rappresenta un pilastro fondamentale della riedizione trumpista della Dottrina Monroe. Ma andiamo con ordine. Entrato in carica da appena due settimane, il nuovo inquilino della Casa Bianca ha già assestato un significativo colpo alla Cina in America Latina. Il presidente panamense, José Raúl Mulino, ha infatti reso noto che il suo Paese non rinnoverà l’adesione alla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta. «Il memorandum d’intesa del 2017 sulla Belt and Road Initiative non sarà rinnovato dal mio governo. Stiamo studiando la possibilità di rescinderlo in anticipo», ha dichiarato Mulino, annunciando anche un audit sui porti del Canale di Panama, gestiti de facto dalla Cina. È importante sottolineare che la svolta del leader panamense è avvenuta dopo il suo incontro con il segretario di Stato americano, Marco Rubio. Quest’ultimo, a seguito del colloquio, aveva fatto sapere di ritenere «inaccettabile» la situazione a Panama. «Il segretario Rubio ha chiarito che questo status quo è inaccettabile e che, in assenza di cambiamenti immediati, ciò richiederebbe agli Stati Uniti di adottare le misure necessarie per proteggere i propri diritti ai sensi del trattato», si leggeva in un comunicato del Dipartimento di Stato americano, emesso a seguito del colloquio tra Rubio e Mulino. Ricordiamo che, sulla base dell’intesa del 1977 con cui accettarono di cedere a Panama la sovranità sul Canale, gli Stati Uniti si sono sempre riservati il diritto di intervento, nel caso ritengano minacciata la loro neutralità. D’altronde, alcune settimane fa Trump aveva espresso preoccupazione per la crescente influenza cinese sul Canale di Panama. In tal senso, aveva manifestato l’intenzione di rientrare in possesso della struttura, qualora il governo panamense non avesse offerto delle garanzie concrete su questo dossier. E, esattamente in quest’ottica, non aveva escluso il ricorso all’opzione militare. Pressioni, quelle di Trump, che, combinate agli avvertimenti di Rubio, hanno portato Panama ad allentare significativamente i propri rapporti con il Dragone. Non solo la Belt and Road Initiative ha subìto una decisa battuta d’arresto in un’area cruciale dell’America Latina, ma Pechino rischia adesso anche di vedere ridimensionata la propria presenza nel Canale. Non a caso, l’ambasciata cinese a Panama ha espresso irritazione, postando sul proprio account X una foto del cosiddetto «Giorno dei martiri»: il riferimento è al 9 gennaio 1964, quando l’esercito statunitense sedò delle proteste di cittadini panamensi che manifestavano contro la sovranità degli Usa sul Canale. D’altronde, quello su Panama non è l’unico colpo assestato da Trump alla Cina negli ultimi giorni. Ricordiamo infatti che, sabato, il presidente americano ha applicato a Pechino dazi aggiuntivi dal valore del 10%: una misura che, al di là degli squilibri commerciali, il presidente americano ha giustificato, citando il coinvolgimento cinese nell’arrivo dei componenti chimici necessari per produrre il fentanyl. Quello stesso fentanyl che, spesso, entra in territorio statunitense attraverso la frontiera con il Messico. Ed è qui che la riedizione della Dottrina Monroe si interseca con il dossier migratorio. Ieri, prima di lasciare Panama City, Rubio ha assistito al rimpatrio di 43 immigrati irregolari, che, dopo essere stati bloccati in territorio panamense, sono stati fatti salire su un aereo diretto in Colombia. Il procedimento di espulsione è stato effettuato sulla base di un memorandum d’intesa che, firmato nel 2024 tra Stati Uniti e Panama, è stato sostanzialmente riconfermato dall’attuale amministrazione americana. Inoltre, sempre ieri, Trump ha congelato per un mese i dazi che aveva comminato al Messico: una decisione arrivata dopo che la sua presidentessa, Claudia Sheinbaum, ha accettato di schierare 10.000 soldati al confine con gli Stati Uniti, per arginare l’immigrazione clandestina e i flussi di droga. Questa svolta ci dice due cose. Primo: la strategia della coercizione, adottata da Trump, si sta rivelando efficace. Secondo: la riedizione della Dottrina Monroe mira sia a contrastare Pechino nella regione latinoamericana sia a disinnescare i problemi legati all’immigrazione clandestina. Non a caso, nel suo tour in Centro America, Rubio era atteso ieri anche a El Salvador, dove, secondo Politico, cercherà di «convincere i funzionari locali ad accettare di accogliere i cittadini stranieri espulsi dai Paesi che non accettano i voli di rimpatrio degli Stati Uniti». Del resto, già la settimana scorsa, la Cbs aveva riportato l’esistenza di trattative in corso tra Washington e il governo di San Salvador per raggiungere un accordo su questo tema. Non solo. Domenica sera, sono arrivati a Guantanamo 150 soldati americani che, secondo quanto riferito dalla Casa Bianca, dovranno ampliare il centro per migranti presente nella baia dall’inizio degli anni Novanta. La scorsa settimana, Trump aveva infatti annunciato di volerlo usare per trattenerci i migranti irregolari considerati maggiormente pericolosi. Un segno ulteriore, questo, della crescente strategicità che, per l’attuale presidente americano, riveste l’America Latina.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)