2019-02-03
Palermo capitale del boicottaggio a Salvini
Il sindaco Leoluca Orlando, capofila dell'opposizione al decreto sicurezza, viola le nuove disposizioni e iscrive personalmente all'anagrafe 4 immigrati non aventi diritto. E l'università immatricola il primo richiedente asilo. In città, però, ci sono problemi con luce e acqua.Come una specie di beffa verso una città già piegata dall'illegalità e piagata da mille disagi; come un anticipo di Carnevale, con le istituzioni che indossano la maschera della disobbedienza, a Palermo arriva un uno-due memorabile. Scena uno: il sindaco Leoluca Orlando fa sapere di aver firmato i primi provvedimenti per l'iscrizione all'anagrafe di quattro stranieri con permesso di soggiorno in corso per motivi umanitari e come richiedenti asilo, nonostante il decreto sicurezza lo vieti esplicitamente. Le norme volute da Matteo Salvini (e ora in vigore!) escludono questa fattispecie, e infatti le richieste di iscrizione erano state ritenute irricevibili dall'anagrafe alla luce della nuova normativa. Ma cosa volete che sia un decreto, una norma, per fermare il prode Orlando? Il sindaco ha deciso di agire direttamente come «ufficiale di governo e ufficiale d'anagrafe». E così, Orlando ha fatto sapere che «è obbligo del sindaco rispettare la Costituzione e ad essa adeguare la propria attività, procedendo ad una doverosa lettura costituzionalmente corretta e sistematicamente adeguata». Quindi - oplà - stabilisce lui cosa sia costituzionale e cosa no, e procede. Scena due: apprendiamo che all'Università di Palermo c'è il primo richiedente asilo iscritto al corso di Scienze umanistiche. Le cronache locali (citiamo a titolo di esempio l'edizione palermitana di Repubblica) informano che si tratta di «un caso unico in Italia», perché questo ateneo «è il solo a essersi dotato di un regolamento per consentire a chi aspetta il riconoscimento dello status di rifugiato di iscriversi a un ciclo di studi. Aggirando legalmente i paletti del decreto Salvini». Per la cronaca, l'interessato si chiama Njifon Mouhamed Chamwil (per gli amici «Cham») e lavora come mediatore culturale in un centro d'accoglienza. Vale la pena di ricordare un paio di cose. La prima. Quando Orlando (spalleggiato da altri sindaci di sinistra, da Luigi De Magistris a Dario Nardella) aveva prospettato velleità di disobbedienza contro il decreto sicurezza, erano stati autorevoli giuristi (non certo sospettabili di simpatie salviniane) a fissare alcuni paletti. Sentiamo l'ex presidente della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, nonché ex ministro della Giustizia di uno dei governi di Romano Prodi: «Non spetta al sindaco decidere di sospendere l'applicazione di una legge se la ritiene incostituzionale». Semmai, deve «ricorrere all'autorità giudiziaria per chiedere che ne verifichi l'applicabilità: nel caso, l'autorità giudiziaria ne investe la Corte costituzionale». Stesso discorso da un altro ex presidente della Consulta, Cesare Mirabelli: «I Comuni sono tenuti a uniformarsi alle leggi». E ancora: «La pubblica amministrazione non può sollevare questioni di legittimità costituzionale ed è tenuta a uniformarsi alla legge, a meno che non sia liberticida, che potrebbe essere un caso eccezionale, una rottura dell'ordinamento democratico. Se ci sono atti che la legge prevede per i Comuni, il sindaco non può disapplicarla. Se la disapplica, e in ipotesi interviene il prefetto o un'altra autorità, sorge un contenzioso e allora potrebbe essere sollevata una questione di legittimità costituzionale». Tradotto in termini meno aulici: se il sindaco ha dei dubbi sulla legittimità di una norma, interpella il giudice, che a sua volta può investire della questione la Corte costituzionale. Non è che uno in fascia tricolore si alza e fa come gli pare.E qui scatta la seconda osservazione. Diranno orgogliosamente i difensori di Orlando: ma questo è un atto di disobbedienza civile. Nostra risposta: e allora Orlando si autodenunci, e ne paghi tutte le conseguenze. I padri della disobbedienza civile - non solo in Italia - se decidevano di violare una legge, lo dichiaravano, si autodenunciavano, e addirittura arrivavano a minacciare forze dell'ordine e magistratura di un'ulteriore denuncia nei loro confronti per omissione di atti d'ufficio, se poliziotti e giudici avessero chiuso un occhio sulla loro infrazione. Ma la vera domanda da porsi è un'altra. Sono davvero queste le priorità di Palermo? Qualche mese fa il nostro giornale aveva rilanciato il caso (obiettivamente lunare, a tratti perfino grottesco) di una sorta di «scambio» escogitato dalla giunta di centrosinistra, secondo le cronache locali. La vicenda era sorta a seguito dello sgombero di un campo nomadi, con alcune famiglie rom indirizzate verso il quartiere Pagliarelli, e relative proteste da parte dei residenti. Morale? Per pacificare gli animi, pare che la giunta avesse promesso l'illuminazione pubblica e l'allacciamento all'acquedotto, con luce e acqua trasformati in materia di mediazione.Ecco, in questa stessa città, di cui non è necessario ricordare altre lancinanti ferite, ora la priorità di Orlando sembra essere quella di usare il Comune per una sua guerra tutta politica e mediatica contro Salvini, per ritrovare un protagonismo nazionale perduto, insomma un modo per riconquistare il centro della scena. Garantito che rivedremo Orlando in tutte le tv: altrettanto garantito che i palermitani resteranno con i loro problemi.
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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