2019-03-07
«Oseghale ha fatto a pezzi Pamela da viva»
Il supertestimone Vincenzo Marino ricostruisce al processo la mattanza compiuta sulla diciottenne: «L'africano iniziò a sezionarla da un piede e lei emise dei lamenti. Lui la finì e la mutilò». Alla base del raptus la reazione della ragazza all'abuso sessuale.La seconda udienza sembra aver trascurato il tema della criminalità «nera». Eppure a chiamarla in causa ci sono le minacce voodoo. E dalla Germania arriva una richiesta di comparare episodi simili.Lo speciale contiene due articoli.Sono da poco passate le 11, la spoglia aula 1 del palazzo di Giustizia di Macerata è percorsa da un fremito come quello che scuote in una convulsione Alessandra Verni, la mamma di Pamela Mastropietro, quasi avvolta, minuta e con gli enormi occhi smeraldo spiritati da mesi e mesi di dolore e angoscia, in una maglietta rosa con la foto della sua «bimba» stampata sul petto. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino sta parlando da un'ora e mezza e guardando fisso negli occhi Innocent Oseghale rintanato tra l'interprete e uno dei suoi difensori scandisce: «Mi ha detto che cominciò a sezionarla partendo da una gamba, penso da un piede perché lui, Oseghale, quando dice gamba intende tutto. Pamela si mosse, si lamentava allora lui le dette un'altra coltellata al fegato per finirla e poi continuò a farla a pezzi». La mamma di Pamela geme, sussurra stringendo forte suo fratello, Marco Valerio Verni, l'avvocato che difende la parte civile, «mia figlia ha vissuto questo orrore, io ci devo essere qui per riviverlo con lei, per proteggerla». Marino ha proseguito: «Oseghale ha fatto tutto da solo; ha cominciato a farla a pezzi che lei ancora respirava, voleva nascondere il cadavere in un sacco grande, ma siccome non c'entrava ha continuato a tagliare, ma le ossa erano dure. Dopo l'ha lavata con la varichina per nascondere le tracce del rapporto sessuale e non far capire se era morta per la droga o per le coltellate». Pausa. Un silenzio che pare interminabile prima che il procuratore capo di Macerata, Giovanni Giorgio, ponga un'altra domanda. La seconda udienza per l'omicidio di Pamela Mastropietro, uccisa il 30 gennaio 2018 a Macerata (e il cui corpo fu trovato il giorno dopo in due trolley abbandonati lungo una strada), per cui è imputato il solo Innocent Oseghale, il nigeriano che si autoaccusa solo dello squartamento, era cominciata alle 9 del mattino con Vincenzo Marino, collaboratore di giustizia, protetto da un paravento. L'avvocato Marco Valerio Verni chiede di rinviare a quando sarà di nuovo concesso al collaboratore di giustizia il regime di protezione. Ma la corte presieduta da Roberto Evangelista ha respinto la richiesta e Marino ha deposto a viso scoperto. Comincia così il racconto del collaboratore che ricorda di aver incontrato Oseghale il 6 luglio (farà confusione sulla data) nel carcere di Ascoli Piceno, apostrofandolo come macellaio. Dopo qualche tempo, spiega Marino, Oseghale lo avvicinò e iniziò a confidarsi con lui chiamandolo «zio» per rispetto. Gli consegnò anche un biglietto con la richiesta di vestiti. Marino ha ripetuto per filo e per segno tutto quello che c'è scritto nei verbali delle sue precedenti deposizioni. Pamela incontrò il nigeriano la mattina del 30 gennaio ai giardini Diaz - a Macerata - dove stava aspettando un cliente al quale vendere marijuana. Pamela gli chiese una sigaretta e gli domandò se avesse eroina. Oseghale non ne aveva, ma poteva trovarla. Pamela a quel punto per ingraziarselo ebbe - dice testualmente Marino - «un atto sessuale con lui». Il procuratore Giorgio insiste: «Che atto?». Marino: «Un atto consenziente». Giorgio vuole i particolari, Marino prima indica la bocca, poi sbotta «Ma ci sono delle femmine…». Ma il pm vuole andare fino in fondo mentre Alessandra Verni continua a tremare. «Un bocchino», sbotta il collaboratore e Giorgio: «Ah, benissimo!». Marino afferma che a portare l'eroina fu Desmod Lucky (un altro nigeriano ora in carcere per droga, ma uscito dal caso Mastropietro) e che i tre andarono a casa di Oseghale in via Spalato. Qui i due nigeriani cercarono di avere un rapporto a tre con Pamela che si ribellò, ma dopo che lei aveva assunto l'eroina, Desmond provò a violentarla. Lei lo respinse e Lucky la colpì con uno schiaffo tramortendola e se ne andò. Oseghale provò a rianimarla, poi la spogliò ed ebbe un «rapporto sessuale completo con la ragazza». Marino - che già aveva fornito un particolare inedito: Pamela aveva pagato la droga con una collanina d'argento che le aveva regalato sua madre - aggiunge: «Oseghale mi ha detto che era bianca e minuta, che aveva dei nei sulla schiena e sul seno e che mentre lui gli era sopra lei aveva gli occhi bianchi». Ma Pamela, ripresasi, cerca di scappare e minaccia denunciare il nigeriano. Oseghale cerca di fermarla, le dà una pedata, lei lo grafia al collo e quel punto lui le sferra una prima coltellata al fegato. Marino ha voglia di dire altro. Prova a parlare della mafia nigeriana, ma il procuratore Giorgio lo frena. In serata si scoprirà che altri due uomini sono stati iscritti nel registro degli indagati per violenza sessuale, approfittando dello stato di «minorata difesa» della giovane. Tocca a un secondo teste: Stefano Giardini, compagno di cella di Oseghale, che si proclama il vero «zio» del nigeriano. Giardini, ex sottoufficiale della Finanza, racconta che conoscendo l'inglese parlava con Oseghale, di cui voleva scrivere il memoriale. Cerca di far passare per mitomane Marino, anzi lo dice chiaro, ma poi raccontando la versione che il nigeriano gli ha fornito non si discosta molto da quella del «pentito». Compreso il fatto che Oseghale a squartare Pamela ha iniziato dal piede. «Lui era sicuro», ha detto Giardini, «che la ragazza fosse morta, ma ha cominciato dal piede perché semmai si fosse rianimata…». Durante l'udienza però si scopre che Umberto Gramezi, uno dei due difensori di Oseghale, che ha un nutrito collegio con un altro avvocato, Simone Matraxia, e quattro periti che nessuno sa da chi e come vengono pagati, è anche avvocato di Giardini. Ma nessuno ci fa caso. Mentre Alessandra e Marco Valerio Verni se ne vano stretti l'una all'altro nell'aria resta come una nebbia d'angoscia: «Ha cominciato a tagliarla che era ancora viva».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/oseghale-ha-fatto-a-pezzi-pamela-da-viva-2630849743.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-mafia-nigeriana-e-l-unica-pista-ma-in-aula-si-fa-fatica-ad-ammetterlo" data-post-id="2630849743" data-published-at="1762783573" data-use-pagination="False"> La mafia nigeriana è l'unica pista ma in aula si fa fatica ad ammetterlo C'è un convitato di pietra in questo dramma che si sta evocando al palazzo di Giustizia di Macerata dove è in corso il processo per l'uccisione e lo squartamento di Pamela Mastropietro: è la «mafia nigeriana». Il procuratore di Macerata, Giovanni Giorgio, che sostiene l'accusa insieme al sostituto, Stefania Ciccioli, in aula si sofferma molto sui particolari dei rapporti sessuali che il presunto assassino avrebbe avuto con Pamela. Lo chiede più volte ai due testi principali della seconda udienza ieri. Da Stefano Giardini, compagno di cella di Innocent Oseghale, il presunto assassino di Pamela, che gli ha molto confidato, vuole sapere se c'è stata doppia eiaculazione, se Oseghale ha raccontato particolari intimi fino alla rivelazione - fatta dal teste - che Pamela aveva il pube rasato. Oseghale - che ammette lo squartamento - ha fatto di meglio: lo ha strappato dal corpo! Ma quando si parla di mafia nigeriana a Vincenzo Marino, che racconta a verbale e ripete in aula che il nigeriano gli ha confidato di essere un riferimento dei Black Kats e di fare da collegamento tra Castel Volturno e Padova (le centrali della mafia nera), pone questa domanda: «Lei che è stato mafioso le sembra che ci siano le modalità della mafia? Ci sono intimidazioni? Ci sono le richieste di pizzo?» Vincenzo Marino, che ha appena raccontato di come Oseghale ha squartato Pamela da viva, sibila: «Noi almeno li sotterravamo interi». Poi ripercorre le sue precedenti deposizioni: dice di sapere che Oseghale ha i tatuaggi rituali sull'addome - cicatrici e un gatto con un capello - , dice che il nigeriano cercava appartamenti dove collocare le prostitute e per questo si rapportava in carcere con un detenuto, Stefano Re, che aveva un'agenzia immobiliare. Aggiunge: «Loro mica si fanno dare il pizzo. Loro i soldi ce li hanno con la prostituzione e la droga. E a Padova stanno investendo anche nelle attività commerciali». Marino racconta anche che il nigeriano gli aveva promesso 100.000 euro se gli dava una mano, soldi che dovevano arrivare da Padova a Marino attraverso uno dei difensori di Oseghale. Ma a quel punto il procuratore taglia corto. Tocca alla parte civile, Marco Valerio Verni, porre una domanda: «È vero che lei, Marino, poteva dire molto di più sulla mafia nigeriana?». La risposta cade come un macigno nell'aula: «Sì, se mi ridanno il regime di protezione sono disposto a raccontare molto di più». Ma il regime di protezione ancora non è arrivato. E questo nonostante la moglie di Marino sia stata fatta oggetto di una minaccia pesantissima: le hanno recapitato, come ha scritto La Verità alcuni giorni fa, una bambolina voodoo con un biglietto dove era vergato: «Questa e (senza accento, ndr) la fine che fate». E la figlia del collaboratore di giustizia pare sia stata intimidita da persone di colore e sia ora costretta a vivere nascosta. Ma quando il procuratore Giovanni Giorgio gli ha chiesto se sapeva di come si comporta la «cosiddetta mafia nigeriana», Marino è stato categorico: «Mi ha detto Oseghale che le ragazze arrivano dalla Libia a Castel Volturno, ma che il voodoo non esiste, è una superstizione. Loro le legano con questa presunta magia, poi minacciano le famiglie e sequestrano i passaporti. A loro interessano i soldi come a Oseghale». Sembrano atteggiamenti mafiosi, ma forse è solo - come dice l'avvocato Verni - una «semplificazione mediatica». Salvo poi scoprire che nelle carte del processo Mastropietro ci sono molti riferimenti alla mafia nigeriana. Lucky Awelima - uno spacciatore sospettato di essere complice di Oseghale poi uscito dall'inchiesta - dice di avere paura di Oseghale perché è un capo. Ma anche Oseghale ha paura. Lo racconta il teste che ieri ha cercato di dare del mitomane al collaboratore di giustizia: Stefano Giardini. Nella sua deposizione dice che Oseghale ha fornito una prima versione falsa sul massacro di Pamela perché «gliela avevano suggerita altri nigeriani che aveva incontrato nel suo primo carcere di Montacuto» e che «lui aveva paura che quelli facessero del male ai suoi bambini». Quelli chi? Una domanda che non ha trovato risposta anche se è vero che Oseghale ha avuto due figli da una ragazza di Macerata, Michela Pettinari, che a quanto pare lo ossessionava la sera del massacro con continue telefonate che avrebbero indotto il nigeriano a fare a pezzi il cadavere per farlo sparire prima che la sua compagna tornasse a casa. Dunque le minacce c'erano. Come c'è una sentenza emessa pochi giorni fa ad Ancona - indagine della direzione distrettuale antimafia - contro un nigeriano condannato a otto anni per tratta di esseri umani messa in opera con minacce e riti voodoo, come c'è una richiesta di chiarimenti sul caso Mastropietro arrivata dalla Germania per stabilire se vi siano analogie tra questo caso e quanto accaduto ad Amburgo, dove la mafia nigeriana avrebbe fatto a pezzi una prostituta per punirla. Certo bisogna essere molto cauti anche se la Dia (Direzione investigativa antimafia) scrive che quanto accaduto a Pamela è esemplificativo del modo in cui agisce la criminalità organizzata nigeriana. Ma è strano che il testimone Giardini si sia lasciato scappare: «Ho detto a Oshegale che piangeva leggendo sui giornali le accuse che venivano da Marino: “Hai cambiato anche l'esito delle elezioni"». Ma su questa affermazione il presidente della corte ha obbiettato: «Non è pertinente».
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
Continua a leggereRiduci