2023-05-04
Travisano Orwell per condannare il dissenso su gender, clima e guerra
Margaret Atwood (Getty Images)
Per Margaret Atwood, oggi la realtà assomiglia a «1984» a causa di chi contesta il fanatismo green, i dogmi Lgbt e la psicosi sanitaria. Il dem Andrea Romano, invece, usa lo scrittore per screditare Carlo Rovelli, critico sull’invio di armi. Quasi tutti i grandi scrittori subiscono la stessa condanna: vengono citati all’eccesso, e per lo più a sproposito. Uno dei più scomodati in assoluto, soprattutto negli ultimi tempi, è il povero George Orwell, il cui genio profetico ha intuito già nel 1948 alcuni dei tratti fondamentali della società odierna, illustrandone con largo anticipo le storture. Il risultato è che l’autore britannico viene continuamente chiamato in causa e spesso a tirarlo per la giacchetta è - purtroppo per lui e soprattutto per noi - proprio il potere totalitario che con tanto vigore aveva voluto denunciare e smascherare. Assistiamo, e non da oggi, a una manipolazione orwelliana di Orwell e del suo lascito politico messa in atto da un pensiero prevalente che si fa via via più subdolo e intollerante. L’attuale regime - perché di regime si tratta - agisce in modi talmente sottili da obnubilare persino le menti più affilate, ad esempio quella di una celebre intellettuale quale Margaret Atwood, divenuta famosa nel mondo - ironia della sorte - per un romanzo distopico intitolato Il racconto dell’ancella. Intervistata ieri dalla Stampa, la scrittrice canadese ha dichiarato addirittura di aver parlato - previa evocazione - con il defunto Orwell e si è lasciata andare ad alcune curiose considerazioni. «Orwell è stato in grado di prevedere con una certa precisione il nostro presente, non nei dettagli, ma nel generale andamento delle cose», ha detto. Nulla di più vero. Così come è assolutamente vero che il succitato capolavoro della Atwood (il quale mette in scena una società che sfrutta le donne riducendole a mere produttrici di figli) deve molto a 1984 e in alcuni frangenti ne sfiora persino le vette. Il problema sorge quando l’autrice si avventura sul dissestato terreno dell’analisi politica. A suo dire, i tratti orwelliani della società contemporanea sarebbero in buona sostanza il complottismo e il populismo. «Hanno la stessa matrice. Vengono entrambi dalla brama di potere dei pochi a discapito di molti e, forse soprattutto, dalla paura. Che è paura di perdere il potere, per prima cosa, ma anche di non avere ragione e di doverne subire le conseguenze. Chi nega il disastro ecologico globale o chi ha negato la pandemia di Covid, lo fa soprattutto per il terrore di dover affrontare eventi di portata sconcertante e di essere messo all’angolo, indebolito da qualcosa di incontrollabile». Non è tutto. A parere della Atwood ci sarebbero ancora ai nostri giorni tracce di fascismo, molto visibili nei conservatori impegnati a negare i diritti all’aborto, alla contraccezione e in generale al libero esercizio della sessualità. Si tratta di una ricostruzione piuttosto singolare, molto triste e pure vagamente pericolosa. La Atwood, forse senza rendersene completamente conto, replica il meccanismo della persecuzione dei dissenzienti che Orwell mirabilmente descrisse attraverso i memorabili «due minuti di odio». Anche lei, seppure con grazia, si scaglia contro il Goldstein della situazione, cioè il Nemico Assoluto, il Sabotatore, colui che impedisce la realizzazione del paradiso in Terra di marca liberal (o woke, come si usa dire oggi). Il Grande Avversario non è più l’ebreo Goldstein, bensì il fascista, il reazionario, l’uomo nero. Cioè - badate bene - colui che contesta la psicosi sanitaria, critica le teorie sul cambiamento climatico, non condivide le ossessioni eroticamente corrette. Siamo in piena distopia, e assistiamo al maestoso dispiegamento del bispensiero orwelliano: la realtà viene invertita, la libertà è schiavitù e la guerra è pace. A bruciare nemmeno troppo metaforicamente i libri, oggi, non sono presunti fascisti, ma i censori del politicamente corretto che modificano gli scritti di Roald Dahl e vogliono purgare tutte le pagine stampate da razzismo (vero e soprattutto presunto) e discriminazioni. Sono i fautori degli asterischi, o i mentitori seriali che operano nel mondo dell’informazione, sempre pronti ad aizzare le masse contro il no vax, l’omofobo o il negazionista climatico di turno. A tale riguardo, visto che la nostra opinione vale poco, ci basta ricordare la battaglie che anche in queste ore sta combattendo J.K. Rowling contro certe fanatiche transfemministe che hanno lanciato l’ennesimo boicottaggio ai danni della nuova serie tv di Harry Potter, ovviamente per punirne la creatrice accusata di transfobia. Che la Atwood non se ne renda conto è francamente inquietante. Anche perché sembra che la sua stessa opera la smentisca. Se oggi esistono donne obbligate a figliare come quelle che si vedono nel Racconto dell’ancella sono le madri surrogate di cui i liberal e i progressisti nostrani sono soliti fare apologia. Ma di questo spinoso argomento nelle riflessioni della scrittrice canadese non v'è traccia. E l’intervistatore si guarda bene dal tirare in ballo l’utero in affitto. L’intera intervista, dunque, appare come un maldestro peana elevato alla cultura dominante. Puntando il dito contro i nemici pubblici, la Atwood esibisce l’atteggiamento tipico della massa furente. Quest’ultima, come ben spiega lo studioso belga Mattias Desmet, «è estremamente intollerante verso le opinioni dissenzienti e presenta una decisa tendenza all’autoritarismo». Nel totalitarismo morbido che da qualche anno va corrompendo l’Occidente si aizzano le folle contro «tutti coloro che si oppongono: chi non collabora è un traditore della collettività». Basta sfiorare un argomento proibito per scatenare la muta rabbiosa. Ne abbiamo avuto una dimostrazione piccina proprio nelle ultime ore, attraverso gli attacchi rivolti al fisico Carlo Rovelli, passato in un lampo da venerato maestro sinistrorso a vomitevole sciacallo putiniano per aver osato (in maniera discutibile, per carità, ma non è questo il punto) sottrarsi all’indomito coro pro Zelensky. Tra i censori di Rovelli il più fenomenale è stato - ieri su Repubblica - Andrea Romano, il quale ha scomodato Orwell e la sua lotta contro «il nazifascismo e il totalitarismo del suo tempo». Capito il giochino? Romano accusa Rovelli (uomo di sinistra) di stare dalla parte del fascista Putin e per screditarlo quale intellettuale gli oppone la monumentale figura di Orwell, come a dire: impara da uno che ha davvero combattuto per la libertà. Nell’imbastire il suo bel discorsetto, Romano non soltanto s’aggrega ai due minuti di odio contro il putiniano di turno, ma evita accuratamente di ricordare che Orwell demolì anche e soprattutto il comunismo e non soltanto il «nazifascismo» e lo «stalinismo». Incapace di raggiungere le vette della Atwood, anche Romano nel suo piccolo realizza uno strepitoso pervertimento orwelliano di Orwell. Capita: se uno non ha un pensiero, deve aggrapparsi al bispensiero.