2023-11-30
«Per interpretare Oriana Fallaci comprai perfino le sue sigarette»
Maria Rosaria Omaggio (Getty Images)
L’attrice Maria Rosaria Omaggio: «Ho iniziato a recitare nei film polizieschi all’italiana, insieme a Tomas Milian. Fu grazie a lui che ottenni un contratto con la Warner. Il teatro? per me è una certezza, ma il pubblico mi vorrebbe in tv».Intervistare Maria Rosaria Omaggio è come assistere a una lezione di recitazione, in cui l’attrice, che da quasi cinquant’anni si divide tra cinema, televisione e teatro, con incursioni nella letteratura e nella musica, ripete a memoria brani di testi teatrali con una memoria allenata fin da bambina e intonazioni sempre diverse. Una padronanza del mestiere e della voce che le hanno consentito di intraprendere una fortunata carriera anche all’estero.Quando ha deciso di fare l’attrice?«Da piccolissima! Mi hanno raccontato che tra i tre-quattro anni, durante i pranzi di Natale e di Pasqua, salivo sul tavolo e dicevo: “Oi tiripitillo”, parola che non si è mai capito se me la sono inventata, se l’ho sentita in televisione o al circo, e voleva dire che poi avrei fatto un numero. Con il passare del tempo, in queste occasioni familiari, ho cominciato a recitare, cantavo e a declamare poesie imparate a memoria».Lo ha fatto per anni?«Sì, creai un repertorio vastissimo. Conservo un nastro di un registratore Geloso, dove canto una canzone e poi mio padre, un medico napoletano, dedica un brano alla mia mamma. Un ricordo incredibile. Gigi Magni diceva sempre: “Sei fortunata perché sai tre lingue”. Per tre lingue non intendeva francese, inglese e spagnolo, ma il napoletano, il toscano e il romano, che mi aveva insegnato lui, pur essendo nata e cresciuta a Roma. Il romano di Gigi era un romano molto raffinato, alla maniera del Belli, guai a chiamarlo romanesco in sua presenza. Scrisse per me La santa sulla scopa con cui aprimmo il Teatro della Cometa. È la storia vera di una donna accusata di stregoneria che chiede di incontrare una suora in odore di santità. Avrebbe anche dovuto diventare un film». Magni l’aveva diretta ne Il generale, miniserie per la Rai.«Con Erland Josephson, l’attore di Ingmar Bergman, che interpretava Cavour, mentre io ero Bianca Ronzani, la sua amante. In una scena Gigi disse a Erland: “Make me a number”. Lui pensò che dovesse dire i numeri, uno, due, tre, come facevano gli attori di Fellini, ma io gli spiegai che il regista si aspettava un guizzo da grande attore. Facemmo uno scherzo a Gigi insieme al montatore Ruggero Mastroianni…».Il fratello di Marcello.«Ruggero allungò una scena in cui Cavour mangiava della cioccolata inserendo un mio commento ad hoc: “Ma sei proprio un goloso, sei proprio un trippone, fai proprio schifo, ma va…”. Gigi scoppiò a ridere perché aveva capito che era uno scherzo, invece il produttore Franco Cristaldi si allarmò e disse: “Meno male che non ci sono quelli della Rai!”». Invece il toscano da chi l’imparato?«Da mia madre. Mi è stato utile soprattutto per interpretare Oriana Fallaci in Walesa - L’uomo della speranza di Andrzej Wajda. Io già molti anni prima desideravo interpretare Oriana, non solo perché le somiglio, ma perché scriveva in maniera strepitosa. Quando correggeva un articolo prima di pubblicarlo, rileggeva tutto a voce alta, davanti a pochi eletti, perché era molto pignola».Le somigliava anche in questo!«Pensa che mi ero comprata con l’aiuto di mio nipote un pacchetto della marca di sigarette con il bollino americano che lei fumava quando intervistò Walesa. Ormai sono fuori mercato e le ho pagate trentasette dollari: il pacchetto di sigarette più costoso della mia vita! Sono arrivata molto attrezzata all’incontro con Wajda: avevo persino l’accendino di Oriana, mentre Walesa usava ancora lo zolfanello, e portava il cameo che si vede nella foto dell’intervista».Ha conosciuto Oriana Fallaci?«L’avevo incontrata alla Terrazza Martini a Milano con la sorella Paola, che mi aveva intervistato per Oggi quando avevo vinto la Targa Mario Gromo per il mio debutto con Squadra antiscippo di Bruno Corbucci e Roma a mano armata di Umberto Lenzi».Agli inizi della sua carriera.«Il mio duplice esordio. Li ho girati quasi contemporaneamente e sono usciti a distanza di pochi giorni. Io avrei dovuto debuttare con Il Messia di Roberto Rossellini, però le mie agenti Carol Levi e Paola Bonelli mi dissero: “Pensiamoci, perché se debutti interpretando la Madonna, poi è difficile che tu possa ricoprire tanti ruoli perché spesso è un ruolo capestro per un attrice”. C’era in ballo anche un film di Alberto Lattuada. Quando mi offrirono di fare quei due polizieschi, accettai subito: “A me piacciono tanto questi film e secondo me avranno un grande successo”. Anche per Tomas Milian, protagonista di entrambi i film, fu una svolta».Come si è trovata con lui?«Benissimo, era un grande attore. Devo a Tomas il mio contratto per tre film con la Warner spagnola perché quando videro il montato di Squadra antiscippo, dissero: “Chi è questa ragazzina che tiene testa a Tomas Milian?”. Mi vollero incontrare in un albergo e io mi presentai vestita da ragazzina, con una camicetta. Non avevo ancora diciotto anni! Aspettammo l’11 gennaio che compissi gli anni, feci una festa a Villa Miani e il 14 partii a Madrid, ma di fatto ero già maggiorenne…».Perché?«Mi ero già sposata ad agosto! Girai i due polizieschi tra settembre e novembre».I suoi erano d’accordo?«Mio padre era morto due anni e mezzo prima, avevo un fratello, ma aveva dieci anni più di me, quindi mia madre, da sola, era molto preoccupata. Se rivedi Roma a mano armata, dove interpreto una psicologa del tribunale dei minorenni, anche se ho i capelli legati, gli occhiali, il tailleur di Cenci, è così palese che sono più minorenne dei minorenni! Sono una pupa, ma questo è tipico del cinema italiano: vicino agli attori più grandi bisogna mettere delle ragazzine, così loro si fanno lo sconto d’età. Non succede nel cinema francese, da noi, invece, più diventano grandi gli uomini, più diventano giovani le partner. C’è quasi un buco interpretativo, anche nelle serie televisive: ci sono pochissimi ruoli rilevanti per attrici tra i quarantacinque e i settant’anni, quando nell’intrattenimento e nel giornalismo moltissime donne di questa fascia d’età godono una grande popolarità».Lei lo ha avvertito quel passaggio nella sua carriera?«L’ho avvertito? Lo sto vivendo… Quando ho sentito una giornalista fare un commento sull’età per un ruolo, le ho risposto: “A parte il fatto che i cinquant’anni degli anni Cinquanta corrispondono ai settant’anni di oggi, questo vuol dire che in Italia Meryl Streep non avrebbe mai interpretato Mamma mia!, dove salta sul materasso, canta e balla e ha una figlia di vent’anni”. Aveva sessant’anni al tempo del film».Per fortuna nel teatro, il suo grande amore, non conta la carta d’identità.«Il teatro per me è stato una certezza, come per Mariangela Melato, però mi sono sentita rimproverare dal pubblico: “Perché lei non vuole fare televisione?”. Come glielo spieghi? Non è che io non voglio fare una fiction, ma se il primario di un ospedale ha ventotto anni, è difficile per me trovare spazio, considerato che non ho il fisico da caratterista per fare la nonna. Per fortuna parlo abbastanza bene altre lingue e lavoro anche all’estero, però un po’ mi dispiace. Ho interpretato con molta gioia zia Memé in Sabato, domenica e lunedì, con Sergio Castellitto e la regia di Edoardo De Angelis, preferendo questo ruolo a quello della moglie del protagonista proprio per dimostrare che si può fare un carattere anche se non si è fisicamente caratterizzati. Ho chiesto al regista una sola cosa: “Posso fumare la pipa?”, perché questa donna era già libera alla fine degli anni Cinquanta».A teatro porta in scena da anni lo spettacolo Chiamalavita su Italo Calvino. «È basato su testi di canzone e brani di romanzi dello scrittore, soprattutto Il sentiero dei nidi di ragno, nel quale Pin, il bambino protagonista, ruba la pistola dell’ufficiale tedesco amante della sorella. Grazie a questo spettacolo sono diventata ambasciatrice dell’Unicef. La vendita del Cd è servita per costruire dieci pozzi e dieci fogne in Iraq e salvare molti bambini dalla disidratazione. L’ho rappresentato periodicamente dal 2003 al 2011, insieme a Grazia Di Michele, che mi accompagna con la chitarra e la sua voce molto dolce e calda, l’opposto della mia». Ora l’ha ripreso per il centenario di Calvino?«Sì, ma soprattutto per l’estrema attualità. La Fondazione Donat Cattin ci ha chiesto di fare lo spettacolo il 15 ottobre, il giorno della nascita di Calvino, alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani a Torino. Chiaramente ho dovuto rifare tutti i filmati perché andavano attualizzati. Con l’aiuto dell’Unicef ho esaminato tremila foto e filmati di una buona parte dei centosettanta conflitti esistenti oggi nel mondo. Lo spettacolo e il disco all’epoca li dedicai al figlio di uno dei miei migliori amici che abitava in Israele ed era stato costretto a trasferirsi in Toscana. Questo bambino di sei anni, Dan, mi disse: “Se io muoio, sono troppo piccolo perché si ricordino di me?”. Questa cosa mi aveva sconvolto. Il fratello più piccolo, quattro anni, quando gli chiesi: “Cosa ti porto in regalo?”, mi rispose: “Voglio un elicottero, solo loro ci salvano”». Erano condizionati dalla paura della guerra.«Nello spettacolo c’è una frase di Calvino che sintetizza quello che sta accadendo oggi e accadeva anche ieri: “Non c’è difesa né offesa, non c’è senso di nulla. La guerra durerà fino alla fine dei secoli e nessuno vincerà o perderà, resteremo fermi gli uni di fronte agli altri per sempre”. Adesso ho tanto bisogno di una commedia, come ai tempi di Culo e camicia, con Renato Pozzetto! Da Edera in poi, in cui ero la perfida Leona, è stato un susseguirsi di personaggi controversi. La più buona che ho fatto recentemente è stata l’Oriana, renditi conto!».