2018-04-10
Pil e redditi salgono, l’occupazione pure. Altro che razzismo: ha vinto l’orbanomics
Il trionfo del premier ungherese Viktor Orban ha solide basi economiche. Grazie al controllo della moneta anche l'export è un boom. Il debito pubblico si è addirittura ridotto rispetto al Pil, passando dall'80% al 74% circa senza comunque minimamente premurarsi di chiedere deroghe a Bruxelles.Si scrive Ppe, Partito popolare europeo. Ma si legge Frau Angela Merkel o, se preferite, Più Europa. Ma dentro quello che è il principale gruppo al Parlamento europeo se ne sta seduto Viktor Orban, che domenica 8 aprile si è guadagnato il quarto mandato da primo ministro ungherese; il terzo consecutivo a partire dal 2010. È il leader di Fidesz, di cui è stato uno dei fondatori quando ancora non aveva 30 anni. Un movimento liberale di impronta progressista e anticomunista, che però nel corso degli anni ha significativamente aggiornato la propria identità, diventando un vero e proprio partito popolare. Anzi, populista: responsabile, e capace di governare rispondendo al meglio ai bisogni di lavoro e sicurezza della propria cittadinanza. Su 199 parlamentari ungheresi Orban potrà infatti contare su oltre 130 eletti tra le sue fila. Una maggioranza più che sufficiente a governare un Paese che da anni cresce come e più di ogni altro nell'Europa dell'est. Di quest'uomo abbiamo dobbiamo sorbirci mefistofelici ritratti, vere e proprie caricature. Più ridicole che comiche. «Il sistema di Orban? Un mix di affari e feudalesimo» titolava domenica il Corriere della Sera riportando le parole della Ágnes Heller, filosofa marxista e fiera oppositrice. Gli fa eco La Stampa: «Budapest e gli studenti di Soros la frontiera che resiste a Orbán». Che come resistenza lascerebbe un po' a desiderare, visti i risultati delle urne. Ma di questo incallito sovranista, razzista, xenofobo, razzista, fascista che scientemente si oppone all'immigrazione incontrollata - nell'interesse del suo Paese che a quanto pare sembra gradire - cosa veramente sappiamo? Quando ha preso le redini del governo in un Paese di quasi 10 milioni di abitanti (grosso modo come la Lombardia) la disoccupazione veleggiava intorno al 12%. Oggi si assesta poco sotto il 4%. Praticamente quella che gli economisti definiscono il tasso di disoccupazione «frizionale»; ogni volta cioè che scatti una fotografia sullo stato dell'occupazione del Paese, troverai comunque persone apparentemente senza lavoro ma che in realtà hanno lasciato il proprio impiego per uno nuovo di cui stanno per usufruire. I suoi disoccupati ammontano a circa 180.000 unità; quasi lo stesso numero della vicina Slovacchia (160.000 circa) che però ha poco più della metà della popolazione magiara ma ha aderito alla zona euro. Budapest cresce a un tasso annuo del 4,4% contro la media del 2,7% dell'eurozona. Dal 2010 a oggi il reddito pro capite è cresciuto da poco più di 22.000 ad oltre 25.000 dollari. La loro Borsa è quasi raddoppiata dal momento che l'indice Bux passa da 20.942 a 37.962. Quasi del tutto inalterata è la dimensione del bilancio della loro banca centrale ungherese che agli inizi del 2010 aveva un attivo totale di circa 9.060 miliardi di fiorini ungheresi contro i circa 9.400 attuali. Giusto per smentire chi ironizza sulla stampa di moneta fuori dall'eurozona: come se la Bce avesse raddoppiato il bilancio dal 2014 a oggi trovando le risorse con i nanetti che scavano nella miniera. Nel caso ungherese, la sovranità significa scegliere la politica monetaria migliore alle esigenze della propria economia. Che non necessariamente significa stampare moneta. Il debito pubblico si è addirittura ridotto rispetto al Pil, passando dall'80% al 74% circa senza comunque minimamente premurarsi di chiedere deroghe a Bruxelles. Il debito pubblico è comunque cresciuto in valore assoluto passando dagli oltre 20.000 ai circa 27.000 miliardi di fiorini attuali, ma lì non c'è un Cottarelli magiaro che spiega sulle colonne di tutti i quotidiani che «dobbiamo tassare di più e spendere di meno». La bilancia delle partite correnti - che nel 2010 era pari allo 0,3% del Pil - oggi supera il 6,1%. L'avere una moneta correttamente valutata a prezzi di mercato rispetto alle altre si riflette addirittura in un boom dell'export. Decide di pagare il 2,6% sul suo debito pubblico a 10 anni contro il nostro 1,80%. Con una piccola ma sostanziale differenza: la loro è una scelta, avendo un debito pubblico emesso in fiorini che loro controllano. Il nostro tasso è un regalo temporaneo che la Bce smetterà di farci non appena Mario Draghi non sarà più governatore.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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