2024-07-11
Orbán fa bene a incontrare Putin. Lo zar non è isolato. Noi, invece, sì
Vladimir Putin (Getty Images)
Molti Paesi dell’Unione ventilano rappresaglie contro il premier magiaro perché cerca la pace in Ucraina rompendo la presunta emarginazione di Mosca. Che non esiste, dato che ci è appena stato l’indiano Nerendra Modi...L’Europa si preoccupa se Viktor Orbán incontra Vladimir Putin e si fa interprete, senza un mandato preciso, di colloqui di pace. «Da presidente di turno del Consiglio europeo non ha alcun ruolo per trattare con il capo del Cremlino», si sono affrettati a dire i vertici della diplomazia di Bruxelles.Pare, addirittura, che qualcuno si sia spinto fino a ipotizzare una sorta di «destituzione» del leader ungherese, con un voto di sfiducia della maggioranza dei Paesi che compongono l’Unione. Anche se poi la reazione si è limitata a quella che l’agenzia Ansa definisce una «bacchettata», ovvero una presa di distanza dalle iniziative del presidente magiaro. Che cosa poi ci sia di così scandaloso se il rappresentante pro tempore del Consiglio europeo parla con Volodymyr Zelensky, Putin e Xi Jinping non è chiaro.Gli incontri non mi pare che equivalgano a delle concessioni e neppure a una resa anche perché, alla fine, nessuna tregua è possibile senza che si siedano intorno a un tavolo i protagonisti della guerra in corso in Ucraina. Vale a dire che, oltre alla disponibilità dei due contendenti, per siglare la pace servono anche l’America e l’Europa, cioè chi fino a oggi ha finanziato e armato Kiev affinché resistesse all’invasione russa.Escluso, dunque, che Orbán possa raggiungere da solo un accordo per il cessate il fuoco, che c’è di male se ha incontrato lo zar e il suo omologo cinese? Che motivo c’è di allarmarsi e minacciare sanzioni o, addirittura, «scomuniche»? Secondo fonti comunitarie, il leader ungherese sarebbe colpevole di aver rotto il fronte, cioè di aver incrinato l’isolamento a cui è condannato Putin dal giorno in cui il suo esercito ha attaccato l’Ucraina.La motivazione con cui si argomenta la forte irritazione nei confronti di Orbán e del suo attivismo internazionale fa particolarmente ridere, perché significa che a Bruxelles (ma forse anche in altre capitali europee) non hanno ancora capito che il presidente russo non è affatto isolato. Semmai, quelli isolati siamo noi europei.Nonostante sia inseguito dall’accusa di crimini di guerra, Putin non è di certo trattato come un appestato, prova ne sia che l’altro giorno il premier indiano Narendra Modi non solo è volato a Mosca ma, una volta al cospetto dello zar, lo ha abbracciato in favore di telecamere, come se si trattasse di una rimpatriata fra amici. Il primo ministro di Nuova Delhi, del resto, guida un Paese che con la Russia non ha mai smesso di fare affari, comprando sottobanco - ma neppure troppo - il petrolio che noi europei rifiutiamo per non finanziare la macchina da guerra del Cremlino.India e Russia, peraltro, fanno parte dei Brics, ovvero di quel raggruppamento di economie emergenti a cui appartengono anche Cina, Brasile e alcune economie africane e mediorientali. Per quanto noi si pensi a un Paese isolato dal resto del mondo a causa delle sanzioni imposte con il conflitto, ci sono interessi economici e, forse, anche strategici che fanno sì che Mosca non sia affatto emarginata.Del resto, a conferma di questa analisi, è giunta notizia che l’Arabia Saudita, altro protagonista globale grazie alla sua influenza nel mondo arabo e, soprattutto, alle sue riserve petrolifere, ha di fatto messo il veto sulla decisione di usare i soldi sequestrati alla Russia per finanziare l’Ucraina. Il principe con l’abitudine di fare letteralmente a pezzi i giornalisti ha, infatti, minacciato di non comprare più i titoli del debito pubblico europeo se i fondi custoditi nelle banche estere possono essere così facilmente scippati.Il ragionamento di Mohammed bin Salman è, del resto, comprensibile: quello che oggi succede a Putin, cioè di veder confiscati i miliardi russi depositati in giro per il mondo a seguito di transazioni finanziarie, domani potrebbe capitare anche a lui e quindi, dal suo punto di vista, il sistema è a rischio. Difficile dargli torto.Ma l’Europa, invece di preoccuparsi per una guerra che potrebbe finire con il collasso dell’Ucraina e dunque anche dei suoi alleati, e in particolare dell’isolamento dell’Occidente, si preoccupa degli incontri di Orbán e vorrebbe stabilire se siano legittimi o no. Quando si dice perdere di vista il problema e non capire come e dove va il mondo…
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?