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2023-07-23
Alla speronatrice l’Ong non basta più. «Ora sogno gli espropri climatici»
Carola Rackete (Ansa)
La sinistra europea e mondiale può finalmente guardare al futuro con il cuore pieno di speranza: Carola Rackete, paladina dei centri sociali, capitana tedesca della nave Ong Sea Watch 3, diventata famosa in Italia per aver ignorato, nel 2019, l’ordine del governo, e in particolare dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, di non attraccare a Lampedusa, annuncia la sua candidatura alle Elezioni europee del prossimo anno. «Mi candido all’Europarlamento con Die Linke (la sinistra tedesca, ndr)», dice la Rackete a Repubblica, «per difendere l’ambiente». Una minaccia, più che una promessa: ci toccherà sorbirci i sermoni della Rackete anche qui in Italia, statene certi, seppure la sua candidatura sarà affare tedesco. Die Linke è un partito di estrema sinistra che porta avanti idee come la patrimoniale. Le percentuali ottenute alle Europee da questa formazione sono in costante calo: 7,5% nel 2009, 7,4% nel 2014, 5,5% nel 2019. Per essere certi di continuare su questa strada (e con la pericolosa soglia di sbarramento del 4% sempre più prossima), la scelta di candidare la Rackete appare la migliore possibile.
Il punto principale del suo programma? «La giustizia climatica. Per questo», sottolinea la Rackete, «voglio far parte della Commissione ambiente, salute pubblica e sicurezza alimentare dell’Europarlamento». C’è da sudare freddo: Carola Rackete si imbarca sulla zattera dei catastrofisti del clima. «Se vogliamo fermare la crisi climatica», filosofeggia, «dobbiamo ritenere responsabili i responsabili. Mi spiego: le grandi compagnie di petrolio, gas e carbone che hanno causato la crisi climatica, devono essere socializzate. Come? Vanno presi i profitti che hanno fatto derubando la Terra e vanno distribuiti per finanziare la transizione ecologica».
Messa così sembra una buona idea, peccato che questa benedetta tassazione (in questo caso, esproprio) dei profitti delle grandi compagnie nessuno abbia mai capito come si possa attuare. E del resto, nessuno lo ha mai spiegato nel dettaglio. Siamo di fronte, in parole povere, al più sfrenato propagandismo. Viene da maledire i guasti agli impianti di irrigazione, quando leggiamo dove Carola Rackete ha constatato l’effetto più evidente della crisi climatica. Al Polo Nord? Nel Sahara? Macché: «Nel parco vicino alla casa dei miei genitori! Non è mai stato secco», sospira la Rackete, «perché è una zona della Germania dove non faceva mai troppo caldo. Ora l’erba è gialla per la siccità».
Alla candidata in pectore non è passato neanche per l’anticamera delle treccine che, magari, sarebbe bastato annaffiare regolarmente il parco per evitare la tragedia e, del resto, l’erba del vicino è sempre la più gialla. E così questa apocalittica visione ha convinto la Rackete che fosse giunto il momento di scendere in campo per difendere la galassia. In realtà, i sinistrati europei, e in particolare i Socialisti, alleati di Linke, possono considerarsi dei miracolati: il grande colpo di mercato (politicamente parlando) stava infatti per sfumare: «Fino allo scorso febbraio», rivela la Rackete, «quando mi ha contattato Die Linke, mai avrei pensato di candidarmi. Mi hanno proposto di farlo da indipendente. E io, sulle prime, ho rifiutato».
Per fortuna, però, Carola, dopo aver resistito stoicamente alle insistenti pressioni, ha ceduto: «Mi sono confrontata con alcuni amici dei movimenti a tutela dei diritti», racconta, «e con persone che non vivono in Europa ma subiscono le politiche decise a Bruxelles. Non sono rappresentati politicamente. In più, in Germania abbiamo il 14% degli adulti che non vota perché non ha il passaporto tedesco. Un vuoto di democrazia inaccettabile. Quindi, ho deciso di essere la loro voce». Il fatto che la Rackete abbia deciso di essere la voce dei tedeschi che non possono votare non è esattamente il modo migliore per cercare di prendere voti, ma cosa sono queste quisquilie di fronte alla passione civile della giovane (ex) capitana?
Passiamo all’Italia: Carola Rackete non sfugge alle domande sul nostro Paese. L’accordo tra la Commissione Ue e la Tunisia raggiunto grazie alla mediazione di Giorgia Meloni? «L’ennesimo errore. Sono contraria», avverte, «ad accordi fatti con governi non democratici per esternalizzare consapevolmente le violazioni dei diritti umani». Non si risparmia, la Rackete, che dedica un passaggio dell’intervista a Salvini, che ha commentato così la notizia: «Dallo speronamento delle motovedette all’Europarlamento è un attimo, evviva la democrazia». «Salvini», replica la Rackete, «deve fare pace con un fatto: i magistrati italiani hanno fatto cadere ogni accusa contro di me. È interessante, però, vedere che l’estrema destra italiana e quella tedesca hanno reagito allo stesso modo alla mia candidatura».
Ciliegina sulla torta del manifesto politico della Rackete, la lotta al pericolo fascista che incombe. «Vede il rischio», le viene chiesto da Repubblica, «di una deriva post-fascista in Europa? «Sì, chiaramente», risponde la Rackete, «è un problema comune che va affrontato creando un’alleanza antifascista in Europa». Al solo pensiero, l’erba del parco vicino alla casa dei genitori già riprende colore.
A Lampedusa c’è uno sbarco ogni ora
Mai così tanti. Secondo i dati aggiornati al 21 luglio scorso, i clandestini sbarcati sulle nostre coste da inizio anno sono 83.439 (dati ufficiali del ministero dell’Interno), senza considerare i poveracci che tentano di raggiungere l’Italia a piedi attraverso la rotta Balcanica. Perché c’è anche questa, infatti, la Lampedusa via terra. In quella in mezzo al mare, l’altra notte, sono arrivati 266 migranti. Tra loro anche donne incinte. E alle 13 di ieri il canale Twitter di AlarmPhone, la piattaforma nata per soccorrere i migranti in mare, lanciava l’allarme per «40 vite a rischio», in una «barca in difficoltà nella zona di ricerca e salvataggio di Malta». Sette i barchini l’altra notte soccorsi dalla guardia di finanza e dalla capitaneria di porto. Dalla mezzanotte di sabato fino al tardo pomeriggio del pomeriggio, sono state salvate 701 persone in totale, divise in 17 sbarchi.Mentre venerdì, sempre a Lampedusa, ci sono stati ben 28 approdi per un totale di altre 936 persone tratte in salvo. Sulla prima carretta agganciata durante la notte, c’erano nove tunisini, tra cui sette donne incinte e un disabile. Pare siano partiti da Chebba in Tunisia alle tre di notte di mercoledì scorso. Poi sulle altre carrette si andava da un minimo di 21 persone a un massimo di 49. L’hotspot è al collasso. Al momento in cui scriviamo, al centro della contrada Imbriacola ci sono 2.501 ospiti, di cui 760 sono in procinto di trasferimento verso il porto, dove saranno imbarcati sul traghetto Galaxy diretto a Porto Empedocle. Se si tiene conto che l’hotspot lampedusano può contenere 350 ospiti, si comprende bene la gravità del problema. L’altro ieri i migranti trasferiti sono stati 1.244.Ormai l’onda degli sbarchi è senza fine. Lunedì scorso quattro tunisini sono stati arrestati dalla squadra mobile di Agrigento perché avevano fatto ritorno a Lampedusa nonostante fossero destinatari di un ordine di espulsione o di un decreto di respingimento del questore. Uno aveva un decreto del 9 settembre scorso. Totalmente disatteso, tanto questo è il Paese dove puoi fare quello che ti pare, dove chiunque può entrare e chiunque può uscire. Gli altri tre erano stati espulsi. E ora sono ai domiciliari indovinate dove? Nell’hotspot di Lampedusa e nella tensostruttura di Porto Empedocle, naturalmente.Struttura, questa, che si appresta a diventare un nuovo hotspot e che sorgerà tra ottobre e novembre. Nei moduli abitativi potranno essere «temporaneamente» ospitate 200-250 persone e a circa 150 metri di distanza saranno collocate delle tende dove potranno essere accolti gli extracomunitari che arrivano da Lampedusa o quelli che sbarcano direttamente in città. Tuttavia, non si mira a farla diventare un punto di ammasso di migranti - ma ormai dovrebbero saperlo che in ogni punto in cui arrivano, si creano ammassi - ma si vuole rendere l’area un sito per velocizzare le procedure di identificazione. Il punto di approdo più vicino rimane Lampedusa anche se sono anni che scoppia. Ormai c’è uno sbarco ogni ora.«La situazione è disastrosa», dice alla Verità Rosario Costanza segretario di Forza Italia Lampedusa, «si rischia la rivolta sociale. Gli immigrati escono dall’hotspot e delinquono in giro per l’isola che trabocca di turisti per la stagione estiva. L’ambulatorio ormai è impegnato per gli immigrati. Da mesi chiedo la presenza qui del presidente del Consiglio, per solidarietà ai lampedusani che offrono il loro territorio per un problema europeo. Ma niente. Non mi risponde. Il 26 luglio passano le Frecce Tricolore. Bellissimo certo, ma non abbiamo bisogno solo di questo».
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Carola Rackete si candida per la sinistra tedesca di Linke alle elezioni europee. Così affida a «Repubblica» il manifesto politico, trasformandosi da capitano a giustiziere: «Voglio socializzare le aziende energetiche». Venerdì si sono registrati 28 approdi, ieri nel tardo pomeriggio ce n’erano già stati 17. L’isola è di nuovo sotto pressione. E da inizio anno sono arrivati 84.000 clandestini. Lo speciale contiene due articoli. La sinistra europea e mondiale può finalmente guardare al futuro con il cuore pieno di speranza: Carola Rackete, paladina dei centri sociali, capitana tedesca della nave Ong Sea Watch 3, diventata famosa in Italia per aver ignorato, nel 2019, l’ordine del governo, e in particolare dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, di non attraccare a Lampedusa, annuncia la sua candidatura alle Elezioni europee del prossimo anno. «Mi candido all’Europarlamento con Die Linke (la sinistra tedesca, ndr)», dice la Rackete a Repubblica, «per difendere l’ambiente». Una minaccia, più che una promessa: ci toccherà sorbirci i sermoni della Rackete anche qui in Italia, statene certi, seppure la sua candidatura sarà affare tedesco. Die Linke è un partito di estrema sinistra che porta avanti idee come la patrimoniale. Le percentuali ottenute alle Europee da questa formazione sono in costante calo: 7,5% nel 2009, 7,4% nel 2014, 5,5% nel 2019. Per essere certi di continuare su questa strada (e con la pericolosa soglia di sbarramento del 4% sempre più prossima), la scelta di candidare la Rackete appare la migliore possibile. Il punto principale del suo programma? «La giustizia climatica. Per questo», sottolinea la Rackete, «voglio far parte della Commissione ambiente, salute pubblica e sicurezza alimentare dell’Europarlamento». C’è da sudare freddo: Carola Rackete si imbarca sulla zattera dei catastrofisti del clima. «Se vogliamo fermare la crisi climatica», filosofeggia, «dobbiamo ritenere responsabili i responsabili. Mi spiego: le grandi compagnie di petrolio, gas e carbone che hanno causato la crisi climatica, devono essere socializzate. Come? Vanno presi i profitti che hanno fatto derubando la Terra e vanno distribuiti per finanziare la transizione ecologica».Messa così sembra una buona idea, peccato che questa benedetta tassazione (in questo caso, esproprio) dei profitti delle grandi compagnie nessuno abbia mai capito come si possa attuare. E del resto, nessuno lo ha mai spiegato nel dettaglio. Siamo di fronte, in parole povere, al più sfrenato propagandismo. Viene da maledire i guasti agli impianti di irrigazione, quando leggiamo dove Carola Rackete ha constatato l’effetto più evidente della crisi climatica. Al Polo Nord? Nel Sahara? Macché: «Nel parco vicino alla casa dei miei genitori! Non è mai stato secco», sospira la Rackete, «perché è una zona della Germania dove non faceva mai troppo caldo. Ora l’erba è gialla per la siccità».Alla candidata in pectore non è passato neanche per l’anticamera delle treccine che, magari, sarebbe bastato annaffiare regolarmente il parco per evitare la tragedia e, del resto, l’erba del vicino è sempre la più gialla. E così questa apocalittica visione ha convinto la Rackete che fosse giunto il momento di scendere in campo per difendere la galassia. In realtà, i sinistrati europei, e in particolare i Socialisti, alleati di Linke, possono considerarsi dei miracolati: il grande colpo di mercato (politicamente parlando) stava infatti per sfumare: «Fino allo scorso febbraio», rivela la Rackete, «quando mi ha contattato Die Linke, mai avrei pensato di candidarmi. Mi hanno proposto di farlo da indipendente. E io, sulle prime, ho rifiutato».Per fortuna, però, Carola, dopo aver resistito stoicamente alle insistenti pressioni, ha ceduto: «Mi sono confrontata con alcuni amici dei movimenti a tutela dei diritti», racconta, «e con persone che non vivono in Europa ma subiscono le politiche decise a Bruxelles. Non sono rappresentati politicamente. In più, in Germania abbiamo il 14% degli adulti che non vota perché non ha il passaporto tedesco. Un vuoto di democrazia inaccettabile. Quindi, ho deciso di essere la loro voce». Il fatto che la Rackete abbia deciso di essere la voce dei tedeschi che non possono votare non è esattamente il modo migliore per cercare di prendere voti, ma cosa sono queste quisquilie di fronte alla passione civile della giovane (ex) capitana? Passiamo all’Italia: Carola Rackete non sfugge alle domande sul nostro Paese. L’accordo tra la Commissione Ue e la Tunisia raggiunto grazie alla mediazione di Giorgia Meloni? «L’ennesimo errore. Sono contraria», avverte, «ad accordi fatti con governi non democratici per esternalizzare consapevolmente le violazioni dei diritti umani». Non si risparmia, la Rackete, che dedica un passaggio dell’intervista a Salvini, che ha commentato così la notizia: «Dallo speronamento delle motovedette all’Europarlamento è un attimo, evviva la democrazia». «Salvini», replica la Rackete, «deve fare pace con un fatto: i magistrati italiani hanno fatto cadere ogni accusa contro di me. È interessante, però, vedere che l’estrema destra italiana e quella tedesca hanno reagito allo stesso modo alla mia candidatura».Ciliegina sulla torta del manifesto politico della Rackete, la lotta al pericolo fascista che incombe. «Vede il rischio», le viene chiesto da Repubblica, «di una deriva post-fascista in Europa? «Sì, chiaramente», risponde la Rackete, «è un problema comune che va affrontato creando un’alleanza antifascista in Europa». Al solo pensiero, l’erba del parco vicino alla casa dei genitori già riprende colore.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ora-sogno-gli-espropri-climatici-2662326053.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-lampedusa-ce-uno-sbarco-ogni-ora" data-post-id="2662326053" data-published-at="1690056467" data-use-pagination="False"> A Lampedusa c’è uno sbarco ogni ora Mai così tanti. Secondo i dati aggiornati al 21 luglio scorso, i clandestini sbarcati sulle nostre coste da inizio anno sono 83.439 (dati ufficiali del ministero dell’Interno), senza considerare i poveracci che tentano di raggiungere l’Italia a piedi attraverso la rotta Balcanica. Perché c’è anche questa, infatti, la Lampedusa via terra. In quella in mezzo al mare, l’altra notte, sono arrivati 266 migranti. Tra loro anche donne incinte. E alle 13 di ieri il canale Twitter di AlarmPhone, la piattaforma nata per soccorrere i migranti in mare, lanciava l’allarme per «40 vite a rischio», in una «barca in difficoltà nella zona di ricerca e salvataggio di Malta». Sette i barchini l’altra notte soccorsi dalla guardia di finanza e dalla capitaneria di porto. Dalla mezzanotte di sabato fino al tardo pomeriggio del pomeriggio, sono state salvate 701 persone in totale, divise in 17 sbarchi.Mentre venerdì, sempre a Lampedusa, ci sono stati ben 28 approdi per un totale di altre 936 persone tratte in salvo. Sulla prima carretta agganciata durante la notte, c’erano nove tunisini, tra cui sette donne incinte e un disabile. Pare siano partiti da Chebba in Tunisia alle tre di notte di mercoledì scorso. Poi sulle altre carrette si andava da un minimo di 21 persone a un massimo di 49. L’hotspot è al collasso. Al momento in cui scriviamo, al centro della contrada Imbriacola ci sono 2.501 ospiti, di cui 760 sono in procinto di trasferimento verso il porto, dove saranno imbarcati sul traghetto Galaxy diretto a Porto Empedocle. Se si tiene conto che l’hotspot lampedusano può contenere 350 ospiti, si comprende bene la gravità del problema. L’altro ieri i migranti trasferiti sono stati 1.244.Ormai l’onda degli sbarchi è senza fine. Lunedì scorso quattro tunisini sono stati arrestati dalla squadra mobile di Agrigento perché avevano fatto ritorno a Lampedusa nonostante fossero destinatari di un ordine di espulsione o di un decreto di respingimento del questore. Uno aveva un decreto del 9 settembre scorso. Totalmente disatteso, tanto questo è il Paese dove puoi fare quello che ti pare, dove chiunque può entrare e chiunque può uscire. Gli altri tre erano stati espulsi. E ora sono ai domiciliari indovinate dove? Nell’hotspot di Lampedusa e nella tensostruttura di Porto Empedocle, naturalmente.Struttura, questa, che si appresta a diventare un nuovo hotspot e che sorgerà tra ottobre e novembre. Nei moduli abitativi potranno essere «temporaneamente» ospitate 200-250 persone e a circa 150 metri di distanza saranno collocate delle tende dove potranno essere accolti gli extracomunitari che arrivano da Lampedusa o quelli che sbarcano direttamente in città. Tuttavia, non si mira a farla diventare un punto di ammasso di migranti - ma ormai dovrebbero saperlo che in ogni punto in cui arrivano, si creano ammassi - ma si vuole rendere l’area un sito per velocizzare le procedure di identificazione. Il punto di approdo più vicino rimane Lampedusa anche se sono anni che scoppia. Ormai c’è uno sbarco ogni ora.«La situazione è disastrosa», dice alla Verità Rosario Costanza segretario di Forza Italia Lampedusa, «si rischia la rivolta sociale. Gli immigrati escono dall’hotspot e delinquono in giro per l’isola che trabocca di turisti per la stagione estiva. L’ambulatorio ormai è impegnato per gli immigrati. Da mesi chiedo la presenza qui del presidente del Consiglio, per solidarietà ai lampedusani che offrono il loro territorio per un problema europeo. Ma niente. Non mi risponde. Il 26 luglio passano le Frecce Tricolore. Bellissimo certo, ma non abbiamo bisogno solo di questo».
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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