2019-10-31
Ora lo dice l’Onu: a emigrare sono i più ricchi
Rapporto delle Nazioni Unite conferma quello che i buonisti di casa nostra si ostinano a negare, cioè che gli africani in fuga sono persone che hanno studiato e possono contare su redditi maggiori di quanti preferiscono restare nei Paesi dove sono nati.Scappano dalla guerra? Mica tanto, visto che si lasciano alle spalle lavori tutto sommato retribuiti decentemente. Sono donne e bambini indifesi? In realtà no, si tratta soprattutto di giovani maschi soli. Questi sono soltanto alcuni dei luoghi comuni sui migranti clandestini sbarcati sulle coste europee negli ultimi anni. A sfatarli non ci ha pensato chissà quale pericoloso sovranista, ma un documento ufficiale delle Nazioni unite pubblicato alla metà di ottobre. Si tratta di un rapporto intitolato Scalling fences. Voices of irregular african migrants to Europe (Recinzioni spaventose. Voci di migranti africani irregolari verso l'Europa), realizzato dall'Undp, ovvero il programma dell'Onu per lo sviluppo. I ricercatori che lo hanno realizzato hanno intervistato direttamente oltre 3.000 africani giunti irregolarmente sul suolo europeo fino al 2018, per la maggior parte (91%) arrivati a bordo di un barcone. Il 57% di costoro è sbarcato in Italia, il 30% in Spagna, il 7% in Grecia, dunque gli interpellati sono in largo misura gli stranieri con cui abbiamo a che fare noi. Ecco perché risulta molto interessante esaminare i profili di queste persone, al fine di capire quali siano le loro reali caratteristiche. Per prima cosa, il rapporto spiega che l'età media dei migranti al momento della partenza è di 24 anni. Solo l'11% ha più di 30 anni e solo il 5% va oltre i 35. Al momento di lasciare l'Africa, il 71% di costoro era single, e il 60% non aveva alcun figlio. Erano in maggioranza maschi: 77% contro il 23% di donne. Insomma ci troviamo davanti a giovani uomini senza famiglia o legami sentimentali. Ma l'aspetto più interessante di tutta la ricerca riguarda le condizioni che queste persone si lasciano alle spalle. Leggendo il rapporto scopriamo che l'85% degli stranieri giunti in Europa tramite barcone proviene da aree urbane, dunque non dalla campagna o comunque da zone rurali. Soprattutto, però, costoro non scappano da conflitti o guerre che hanno reso la loro vita impossibile. Anzi, la maggioranza, in Africa, aveva un lavoro e il 51% degli intervistati contribuiva attivamente al bilancio famigliare. Ed eccoci al punto. A partire per l'Europa non sono poveri disgraziati che fuggono per fame. Anzi, chi sceglie di imbarcarsi normalmente parte da condizioni di vantaggio rispetto a chi resta in patria. «Gli studi disponibili suggeriscono che la maggior parte degli africani che emigrano a livello internazionale hanno un'istruzione migliore rispetto ai loro coetanei in patria», si legge nel rapporto. «Lo stesso processo di migrazione può incentivare le persone a investire nell'istruzione e ad accumulare ulteriori competenze». La parte più interessante, tuttavia, è quella che segue. Il rapporto Onu sostiene che, a certe condizioni, lo sviluppo economico possa portare alla migrazione. «Tra gli altri fattori», si legge nel testo, «ciò è dovuto al fatto che la migrazione internazionale è costosa, in particolare quella extra-continentale dall'Africa. Implica il pagamento per il viaggio stesso e, per coloro che viaggiano attraverso rotte irregolari, per i servizi di facilitatori e contrabbandieri. Un migliore accesso alle risorse consente alle persone di sostenere questi costi. La ricerca mostra che gli individui in Africa che sono preparati e in grado di emigrare hanno un reddito medio più alto di quelli che vogliono rimanere o che stanno solo considerando di migrare». Queste sono verità che, negli anni passati, abbiamo ripetuto più e più volte, per lo più invano. Adesso, ad anni di distanza dalla grande invasione del 2016-2017, l'Onu certifica che avevamo ragione. E, allo stesso tempo, smentisce clamorosamente la narrazione dei tifosi delle frontiere aperte, secondo cui bisognerebbe accogliere tutte le persone in arrivo, in quanto vittime di ingiustizie sociali e di catastrofi umanitarie. A partire dall'Africa sono le persone più istruite e benestanti, quelle che sono in grado di pagarsi i costi del viaggio, che possono comunicare con persone che parlano lingue diverse e che hanno qualche tipo di professionalità da offrire. Secondo lo studio delle Nazioni Unite, il 49% dei clandestini giunti in Europa e in Italia al momento di partire aveva un lavoro e guadagnava soldi. Il 9%, invece, andava ancora a scuola. Significa che il 58% non era disoccupato o ridotto sul lastrico. In molti casi, la migrazione diventa per le famiglie africane una sorta di investimento. «La migrazione è per lo più una costosa strategia di sostentamento a livello familiare e un processo di investimento, che consente la diversificazione del portafoglio economico delle famiglie», si legge nel rapporto. Uno dei migranti intervistati, un senegalese di nome Man, racconta: «È un investimento comune. Vendi oro o animali per consentire a una persona di migrare. Solo una piccola percentuale di persone può andare. La persona che migra ha una grande responsabilità». Già: deve fare in modo che l'investimento della famiglia si riveli fruttuoso. Del resto, per il 60% degli africani intervistati la prima ragione per arrivare in Europa è quella di guadagnare denaro e spedire soldi a casa. Anche per questo motivo, ben il 40% degli stranieri che hanno partecipato alla ricerca spiega che per nessun motivo avrebbe scelto di rinunciare al viaggio. Ecco perché questi dati sono così importanti: dopo averli esaminati dovremmo cambiare radicalmente il nostro approccio nei confronti del fenomeno migratorio. Sia chi è favorevole sia chi è contrario all'apertura delle frontiere non può più prescindere dal quadro che offre il rapporto delle Nazioni Unite. Il punto è che bisogna smettere di relazionarsi alla migrazione in termini di aiuto ai bisognosi. È evidente - perché sono gli stessi migranti clandestini a dirlo - che ci troviamo di fronte a flussi di persone giunte nel Vecchio continente per motivi strettamente economici. Non sono nemmeno in cerca di una via di fuga dalla povertà, bensì stanno effettuando un investimento. Non vogliono essere sfamate, ma cambiare radicalmente le proprie prospettive. Paradossalmente, è il miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi di origine a spingere una parte della popolazione - quella che se lo può permettere - a migrare. «La migrazione irregolare», dicono gli esperti dell'Onu, «è un'espressione del progresso dello sviluppo». Le Nazioni Unite ne deducono che «prevenirla o cercare deterrenti è discutibile se non irrealistico». In realtà è proprio per le ragioni elencate dal rapporto che bisogna mettere un freno ai flussi di persone in arrivo. Non si tratta nemmeno più di «aiutare a casa loro» i bisognosi, ma di fermare masse di persone che vedono il nostro Paese come una sorta di bengodi in cui realizzare le proprie aspirazioni. Desiderio più che legittimo, ovviamente. C'è un solo problema: i nostri giovani sono i primi a sentirsi privi di prospettive a lungo termine. Forse, prima di tutto, è a loro che dobbiamo garantire un futuro prospero.
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)