2020-05-31
Ora che l’han fatto fuori, anche Renzi critica gli intrecci tra toghe e politici
Nel suo ultimo libro, il leader di Iv liquida lo scandalo delle correnti come il «segreto di Pulcinella», ma invoca addirittura modifiche costituzionali. Non doveva essere lui, da premier, a riformare questa Giustizia malata? A seguire il commento di Daniele Capezzone.Per gentile concessione dell'autore e dell'editore, pubblichiamo un estratto dall'ultimo libro di Matteo Renzi, La mossa del cavallo (Marsilio), in libreria dal 4 giugno. È una riflessione sullo scandalo Csm, seguita dalla replica di Daniele Capezzone.Nel 2019 una delicata operazione, tanto precisa e studiata nei minimi dettagli da poter essere definita chirurgica, ha reso possibile l'individuazione e la mappatura di un sistema di relazioni finalizzato nientemeno che a interferire nella scelta dei magistrati che compongono il Csm.Una sapiente regia ha deciso che cosa far trapelare e che cosa lasciare inedito delle intercettazioni, peraltro raccolte e diffuse in modo illegittimo. La «scandalite» acuta, malattia dei nostri tempi, costringe il discorso pubblico e i titolisti dei giornali a ritoccare continuamente al ribasso il livello minimo della decenza, utilizzando termini roboanti ed esasperando i toni: non stupisce dunque che qualche intercettazione, finita a puntate nelle mani dei giornalisti giusti, sempre i soliti, e pubblicata come i feuilleton ottocenteschi, sia stata trasformata nel più grande scandalo dai tempi della P2, un vero e proprio tentativo di colpo di Stato, un'onta indelebile capace di minare per sempre la credibilità della magistratura.Presentare - lo si è fatto a vari livelli - come una scoperta di oggi che le nomine del Csm siano frutto delle manovre delle correnti, delle cene romane, dei do ut des, quando questo metodo è inscritto nel Dna dell'organo di governo della magistratura sin dalla sua fondazione, è profondamente ipocrita. Per scegliere i capi delle Procure, i membri del Csm appartenenti a tutte le correnti, nessuna esclusa, hanno sempre percorso questa strada e continueranno finché le regole non verranno cambiate. Naturalmente si possono censurare comportamenti individuali se violano le norme, e non è nemmeno pensabile, se non nelle più utopiche idealizzazioni, che non si verifichino ipotesi di reato o atti contrari alla deontologia professionale. In sintesi, che le nomine del Csm siano frutto di accordi tra correnti è un segreto di Pulcinella. Mentre è previsto dalla Costituzione che il vicepresidente dello stesso Consiglio superiore sia espressione della politica e del Parlamento, e dunque di un dialogo tra politici e togati. Al lavoro nei gabinetti dei ministeri c'è sempre stato un numero cospicuo di magistrati, e il meccanismo delle porte girevoli tra politica e magistratura è da tempo ben funzionante. Nessun vicepresidente del Csm è stato scelto per concorso, ma sempre a seguito di complicate e faticose trattative. Non è cambiato nulla. Nonostante tutte le levate di scudi dei mesi scorsi, magistrati e politici continuano a interloquire sul Csm come è doveroso che sia. Almeno fintantoché non si modifichi la Costituzione o si riformi il Csm.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ora-che-lhan-fatto-fuori-anche-renzi-critica-gli-intrecci-tra-toghe-e-politici-2646133982.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-risposta-di-daniele-capezzone" data-post-id="2646133982" data-published-at="1590883609" data-use-pagination="False"> La risposta di Daniele Capezzone La decisione einaudiana («conoscere per deliberare») della Verità di pubblicare questo prezioso stralcio dell'ultima fatica letteraria del senatore Matteo Renzi consente di mettere a fuoco tre nuovi capisaldi del pensiero del Giglio tragico in materia di giustizia, e anche di dissipare un clamoroso equivoco. Primo caposaldo: se scoppia un gigantesco scandalo (nel 2019 e ora nel 2020), se cioè viene fuori una specie di vorticoso calciomercato applicato ai vertici delle Procure, con politici e capicorrente della magistratura trasformati in altrettanti mercanti in fiera, o se emerge un'attitudine di alcuni magistrati a concordare dichiarazioni contro esponenti politici a loro sgraditi, che fa lo statista di Rignano? Non se la prende con lo scandalo, ma con il dito che lo indica. Un po' come i grillini evocano sempre una fantomatica «manina», allo stesso modo Renzi va a caccia di misteri, incolpando «una sapiente regia», la «scandalite acuta», i «titolisti», i «giornalisti giusti». Fantastico: se la febbre è alta, prendiamocela con il termometro, grande artefice del complotto. Secondo caposaldo: se una situazione è indifendibile, che fa il nostro eroe? Si affida al giustificazionismo, al «così fan tutti», al «si è sempre fatto così». «È un segreto di Pulcinella», dice: da Rottamatore dev'esser divenuto restauratore di auto usate, anzi di vecchi catorci. Immaginiamo quanto si sentiranno rassicurati i cittadini, che auspicherebbero una piena terzietà di chi ha il potere di chiedere o disporre pene e privazioni della loro libertà. Terzo caposaldo: il «qualcosismo», il «bisogna fare qualcosa», il «ci vuole una riforma», un po' come la palla calciata in tribuna dai terzinacci del calcio antico. E, con queste premesse, c'è da esser certi del contributo che Italia viva darà al lavoro parlamentare sollecitato dal capo dello Stato. Detto questo, possiamo finalmente dissipare un equivoco. Il Renzi autore di questo imperdibile saggio dev'essere un omonimo del Renzi che, nominato presidente del Consiglio a inizio 2014, promise per i mesi immediatamente successivi una grande riforma della Giustizia. Dev'essere un omonimo del Renzi che fu dominus del Pd e del Parlamento dall'inizio del 2014 alla fine del 2016. Dev'essere un omonimo del Renzi che contribuì all'ascesa al Csm di Giovanni Legnini. Dev'essere un omonimo del Renzi allora intimo amico e leader del Luca Lotti che pure ebbe un ruolo nelle frenetiche trattative che ora a Renzi appaiono normali, incluse le mosse per tentare di incidere sul vertice della procura di Roma e per scongiurare l'arrivo del procuratore capo di Firenze. E allora, più che della «mossa del cavallo», sarà il caso di parlare della «mossa dell'omonimo».