2021-06-27
Ora ch’è dentro, la Procura di Milano vuole processare l’avvocato Amara
A 17 giorni dall'arresto per corruzione, cambio di trattamento per il super testimone del processo Eni-Nigeria, accusato di calunnia. Al centro una mail del 2017, ma le contestazioni sono a rischio prescrizione.«Potius sero quam numquam», assicurava lo storico di età augustea Tito Livio nel suo Ab Urbe condita. Devono averlo pensato anche in Procura a Milano: meglio tardi che mai! E il 25 giugno hanno inviato un avviso di chiusura indagini con l'accusa di calunnia a Piero Amara, teste coccolatissimo dalla stessa Procura durante il processo Eni-Nigeria, ma anche nel procedimento sul finto complotto ai danni dell'ad della compagnia petrolifera, Claudio Descalzi. La mossa è arrivata 17 giorni dopo che l'indagato eccellente è stato arrestato con l'accusa di corruzione giudiziaria su ordine del tribunale di Potenza.Secondo il procuratore aggiunto meneghino Laura Pedio, Amara e i presunti sodali Vincenzo Armanna (ex manager Eni cacciato nel 2013), Massimo Mantovani (già capo dell'ufficio legale della multinazionale dell'energia a partecipazione statale, licenziato nel 2019) e altri tre indagati, tutti accusati di concorso in calunnia, avrebbero confezionato e fatto recapitare al procuratore di Milano, in data 6 marzo 2017, una mail costruita a tavolino in cui Armanna, altro ex dirigente del Cane a sei zampe, accusava il suo difensore, l'avvocato Luca Santa Maria, di infedele patrocinio, poiché si sarebbe fatto «portatore delle istanze dei pm». Il legale, in accordo con il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, avrebbe cominciato a «parlare di patteggiamento e di come questa potesse essere la via per evitare il sequestro del conto corrente» dello stesso Armanna. Che però avrebbe ritenuto «assolutamente inaccettabile confessare qualcosa che non aveva fatto, indipendentemente dal fatto che questo» gli avrebbe permesso di «vendicarsi di Scaroni, Descalzi ed Eni». Per la Pedio, questa strategia doveva servire a «far cadere le accuse che Armanna aveva formulato nei confronti dei vertici dell'Eni nel cosiddetto processo Eni-Nigeria e di creare le condizioni di un procedimento disciplinare nei confronti del pm De Pasquale».Prima di andare avanti nel racconto conviene ricordare che il collega della Pedio, Paolo Storari, nel fascicolo sul cosiddetto complotto, aveva già provato inutilmente a far arrestare Amara accusandolo, tra l'altro proprio di calunnia. Ma sembra che i suoi superiori, compresa la Pedio, fossero di altro avviso. Va anche ricordato che il procuratore Francesco Greco e la Pedio avevano preso le accuse del «calunniatore» Amara nei confronti del giudice del processo Eni-Nigeria Marco Tremolada e le avevano portate a Brescia, tribunale competente per i reati delle toghe milanesi, con l'obiettivo, si dice, di far astenere il collega.All'epoca di processi meneghini ad Amara non c'era neanche l'odore, mentre a Roma il presunto «calunniatore» aveva patteggiato, potendo mantenere intatto il conto corrente milionario. Lo stesso trattamento che Armanna nella mail incriminata sosteneva gli fosse stato offerto dalla Procura di Milano. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti dei Navigli. A fine 2019 Amara ha iniziato a raccontare in una decina di verbali la storia della fantomatica loggia Ungheria, Storari ha chiesto inutilmente il suo arresto, le carte con le accuse di Amara sono finite nelle redazioni e al Csm, il tribunale di Milano, a marzo, ha assolto i vertici dell'Eni e, storia di tre giorni fa, sono arrivate altre due assoluzioni nella vicenda del petrolio nigeriano.Ecco allora che scopriamo che la Pedio, a distanza di quattro anni dalla consegna della mail da parte dei legali di Amara & C. e dalla quasi immediata denuncia dell'avvocato Santa Maria, ha aperto quest'inverno un fascicolo per calunnia (quando ormai per tutti Amara era un calunniatore conclamato) e ha deciso che la vittima delle sue accuse fosse sì l'avvocato Santa Maria, ma anche il grande sconfitto del processo Eni-Nigeria, ovvero De Pasquale.Ammettendo che Amara sia un teste poco credibile la Procura ha anche messo nero su bianco un'ulteriore accusa in filigrana, anche se non esplicitata: dietro alla retromarcia processuale di Armanna c'era l'ennesimo complotto o forse in questo caso un complottino a favore dell'Eni.Quindi la Procura di Milano, pur scaricando il proprio testimone, lo stesso di cui aveva raccolto una decina di verbali, conservati come il Sacro Graal, non arretra di un millimetro dalla propria posizione: De Pasquale era il nemico giurato dei marrazzoni e dietro al fallimento dell'accusa nel processo Eni-Nigeria ci sono giochi sporchi.Insomma i magistrati, cronologicamente parlando, decidono di fare a meno di Amara solo quando la sua credibilità è stata definitivamente minata e le sue accuse non hanno portato a nessun risultato processuale. Tutto questo, lo ripetiamo per chi non lo avesse ancora memorizzato, quattro anni dopo l'arrivo in Procura della mail considerata oggi calunniosa.La decisione degli inquirenti milanesi ricorda molto da vicino quella dei colleghi di Perugia, con tanto di resipiscenza tardiva.Anche questo filone va contestualizzato: a fine 2020 nelle redazioni dei giornali hanno iniziato a girare i verbali di Amara e Storari ha messo l'elmetto contro i suoi capi, rei di dare troppa corda all'avvocato. Ecco che allora la Procura di Milano invia in Umbria, a inizio 2021, le dichiarazioni di Amara contro il quasi omonimo Luca Palamara e l'ex pm Stefano Fava, che di Amara aveva chiesto, come Storari, inutilmente l'arresto. I magistrati perugini interrogano di nuovo Amara e il sodale Giuseppe Calafiore e introducono a sorpresa le loro dichiarazioni nel processo per corruzione contro Palamara, in un momento in cui l'accusa sembrava aver perso smalto. Ma quando scoppia il bubbone mediatico sui verbali di Amara e sulla presunta loggia Ungheria anche la Procura di Perugia, il 4 maggio 2021, a distanza di ben quattro anni da una notizia di reato che si prescrive in sei anni, notifica ad Amara e ad altri due indagati un avviso di conclusione delle indagini preliminari per traffico di influenze e per l'abrogato millantato credito. Sino ad allora il fascicolo, giunto da Roma, aveva un po' sonnecchiato.Nella Capitale, nel 2018, avevano raccolto le solite accuse fumose di Amara contro il suo grande nemico, l'allora pm Fava. Per l'avvocato siciliano dietro alle fughe di notizie a suo favore ci sarebbe stato dietro niente meno che il suo principale inquisitore. Ma queste incredibili accuse si erano rapidamente dissolte quando, nel marzo 2019, lo 007 che materialmente aveva fornito informative riservate della Guardia di finanza ad Amara aveva tirato in ballo un altro magistrato, l'aggiunto Paolo Ielo, che con Fava era in rotta di collisione. A quel punto la Procura di Roma aveva rapidamente concluso che quelle di Amara erano solo millanterie. Una versione che Perugia ha fatto propria nel 2021, ma solo dopo aver provato a usare Amara contro Palamara.Adesso la lezione perugina sembra aver fatto scuola a Milano, dove i pm, due giorni fa, con Amara dietro le sbarre del carcere di Potenza, hanno deciso, anziché sequestrargli i conti a Dubai, di notificargli l'avviso di conclusione delle indagini per calunnia per fatti risalenti a oltre quattro anni orsono e per un reato che si prescriverà il 10 marzo 2023. Anche in questo caso quindi i reati contestati ad Amara con così grave ritardo intaseranno inutilmente i ruoli di udienza per concludersi con la solita prescrizione.
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