Operatrice no vax lasciata a casa. Il giudice si rivolge alla Consulta
Sottrarre a chi lavora presso strutture sanitarie, e non intende vaccinarsi, la possibilità di «mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione» e sottrargli lo stipendio e «l’erogazione dell’assegno alimentare» potrebbe essere incostituzionale. Lo ha stabilito il tribunale di Brescia in un provvedimento a firma del giudice del lavoro Mariarosa Pipponzi, decidendo per questo di ordinare l’«immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale».
Gli atti sono quelli d’una vertenza che ha per protagonista un’ausiliaria socio-sanitaria specializzata, dipendente Azienda socio sanitaria bresciana, la quale, lo scorso 13 gennaio, è stata sospesa dal lavoro - restando così senza retribuzione e senza altro emolumento - perché non vaccinata. La signora è così ricorsa alle vie legali. Nello specifico, ha mosso vari rilievi agli atti del governo, sia per quanto riguarda il perdurare della normativa emergenziale oltre il periodo di vigenza dello stato di emergenza, sia rispetto alla legittimità dell’obbligo vaccinale, sollevando in tal senso varie eccezioni. Infine la donna, assistita dai suoi legali, ha richiesto la reintegrazione sul posto di lavoro - anche con altre mansioni - a prescindere sia dal proprio status vaccinale sia dal possesso del green pass da tampone, con il pagamento della retribuzione previo accertamento dell’illegittimità della sospensione di cui, come si diceva, è protagonista da mesi.
L’Azienda sanitaria ha invece rivendicato la legittimità del proprio operato. In particolare, rispetto al tema vaccinale, ha ricordato che la Corte costituzionale aveva già precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’articolo 32 della Carta, se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri. Argomentazioni, queste ultime, che il tribunale di Brescia non ha mancato di considerare fondate, senza con ciò non notare che vi sono almeno due temi costituzionalmente tutt’altro che pacifici.
La prima questione di legittimità costituzionale «rilevante e non manifestamente infondata» riguarda la compatibilità tra gli articoli 3 e 4 della nostra Carta e il decreto legge 1 aprile 2021, n. 44 - quello dell’obbligo vaccinale per il mondo sanitario - «nella parte in cui limita ai soggetti esentati o differiti la possibilità di essere adibiti» a «mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da Sars-cov-2».
Se tale aspetto risultasse fondato - ma sarà la Consulta a dirlo -, vuol dire che all’ausiliaria sospesa dal lavoro avrebbero dovuto essere offerte «mansioni anche diverse», prima della sospensione del lavoro. In caso ciò fosse confermato, la notizia sarebbe esplosiva dato che in Italia ancora nel settembre scorso, oltre a 650 medici sospesi, si contavano migliaia di sanitari non vaccinati. Ma andiamo avanti, perché non è finita.
Il tribunale di Brescia ha deciso di rinviare difatti alla Consulta l’esame pure di un altro tema: l’effettiva compatibilità tra gli articoli 3 e 4 della Costituzione e il decreto legge 44 laddove, «nel prevedere che per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento» a chi è stato sospeso esclude «nel periodo di disposta sospensione, l’erogazione dell’assegno alimentare».
Certo, non si può parlare ancora di dichiarata incostituzionalità di nulla, tanto meno dell’obbligo vaccinale. Tuttavia la magistratura bresciana, pur muovendosi - com’è ovvio - in punta di diritto, ha stabilito che non tutto torna, nelle disposizioni varate dal governo. E non è la prima volta che la palla passa alla Consulta per verificare che la Carta non sia stata calpestata. Se quindi non si può parlare di terremoto, è l’ennesimo campanello d’allarme.





