2018-08-15
Opacità e favori agli amici degli amici. Così il sistema crea disastri in serie
Sulle autostrade lo Stato investe poco e male, favorendo per lo più pochi gruppi con appalti non trasparenti E mentre per la manutenzione si spende sempre meno, i guadagni vanno in massima parte ai concessionariAntonio Brencich, genovese, nel 2016 aveva criticato il perenne bisogno di lavori. Franco Bontempi (La Sapienza): «Fragilità note».Un'interrogazione parlamentare del 2016 di Maurizio Rossi poneva a Graziano Delrio domande sulle condizioni del ponte Morandi. «Ma l'allora ministro del Pd non mi ha risposto».Lo speciale contiene tre articoli.Documenti di gara ridotti all'osso, trasparenza nulla nelle operazioni di gara, strane aggregazioni degli appalti e verifiche di anomalia in pieno stile trattativa privata, sono solo alcune delle opacità nei rapporti tra il concedente, che in passato era l'Anas e che ora è il ministero dei Trasporti, e le società concessionarie. Alla tanto sbandierata (dall'ex ministro Graziano Delrio) desecretazione dei contratti non è seguita un'adeguata trasparenza. Basta sfogliare le pagine offerte alla consultazione per capire subito che ci sono buchi vistosi: ossia mancano gli allegati fondamentali. Un'opacità nella quale sguazza soprattutto (ma non solo) il duopolio dell'affare autostradale, che si chiama Atlantia e Gavio. Sono le concessionarie che si occupano di quasi il 70% dei chilometri autostradali in Italia. Le percorrenze restanti, ossia un quarto della torta, sono gestite da società controllate da enti pubblici locali e da altri concessionari, come il gruppo Toto.Bankitalia ha calcolato che ogni chilometro di autostrada rende oltre 1 milione di euro. Di questi, la gran parte (850.000 euro stimati al chilometro) finisce alle concessionarie. Il ponte Morandi, sul tratto autostradale che percorre tutta la Liguria e collega Genova a Ventimiglia, è in concessione ad Autostrade per l'Italia (Atlantia, gruppo Benetton). E pur presentando da tempo pesanti carenze strutturali se lo sono fatto sfuggire dalle mani. Ora è tardi per dire che era una tragedia annunciata e toccherà all'inchiesta aperta dalla magistratura genovese (per omicidio plurimo colposo e disastro colposo) affibbiare a qualcuno le responsabilità penali. La responsabilità morale però è di chi ha creato un meccanismo nel quale la politica ora non può più tardare a mettere le mani. Perché quello di ponte Morandi non un caso unico in Italia. Lo scorso anno franò un ponte lungo la A14, tra Ancona e Loreto, provocando la morte di due persone. Nel 2016 è venuto giù il cavalcavia di Annone, in provincia di Lecco, che passa sopra la Valassina: una vittima. È del 2015 il crollo del viadotto Himera sull'autostrada A19 Palermo-Catania. Nel 2014 toccò al viadotto Scorciavacche, sulla Palermo-Agrigento, sempre in Sicilia. E così via. Sulla bretella autostradale Potenza-Sicignano i crolli sono stati sventati dalla magistratura, che dopo aver sequestrato alcuni viadotti pericolanti, ha messo sotto inchiesta undici persone, tra tecnici e dirigenti dell'Anas. L'accusa: «Attentato alla sicurezza». L'andazzo, insomma, è questo.E mentre i costi di gestione diminuiscono, perché è cresciuta l'automazione (sono quasi scomparsi i casellanti visto che il 70% degli automobilisti usa il Telepass), gli investimenti complessivi sulla rete sono crollati a 800 milioni di euro, contro una media annuale di 2,4 miliardi all'anno del periodo tra il 2008 e il 2015.E così anche la spesa per le manutenzioni (gli ultimi dati disponibili risalgono al 2016): 7,5% in meno. Il segno meno sul capitolo degli investimenti per la sistemazione di strutture ormai obsolete, l'opacità nei contratti sulle concessioni e sulle gare e i classici lavori al risparmio in termini di tempo e denaro creano il cortocircuito. Il risultato più grave sono i crolli. Sui misteriosi meccanismi delle concessioni è andato a fondo Mario Giordano, che nel suo Avvoltoi, pubblicato da Mondadori lo scorso marzo, ha dedicato agli affaroni autostradali il capitolo «Il casello dalle uova d'oro». E lì si scopre che la concessione della A22 è stata da poco rinnovata per i prossimi 30 anni. «Fino al 2045», scrive Giordano, «quando forse viaggeremo su auto volanti e ci fermeremo al bar a prendere un caffè con gli alieni. Quando tutto sarà cambiato, insomma, tranne che per l'Autobrennero». La quale attraverso gli introiti dei pedaggi continuerà a produrre quattrini a pioggia. Ben sapendo che piove sempre nelle tasche dei soliti noti. Nel 2016 gli utili sono stati pari a 71,7 milioni. Ma potrebbero essere anche di più. È stato calcolato che mettendo all'asta per 30 anni l'Autobrennero con una gara pubblica lo Stato avrebbe potuto incassare 5 miliardi di euro. Ma ha deciso di rinunciarci. A ringraziare è la società che dal 1961, con un emendamento al decreto fiscale, la gestirà grazie alla solita trattativa privata fino al 2045.Al gruppo Toto, invece, nessuno ha regalato 5 miliardi di euro. La cordata guidata dall'imprenditore abruzzese si è dovuta accontentare di 121 milioni. Un «Totoregalo» lo ha definito Giordano. Era la notte del 23 maggio 2017 quando nel caos della manovrina economica spuntò l'emendamento giusto: a Toto furono abbuonati i debiti con l'Anas. Sono nelle sue mani la strada dei Parchi, la società che gestisce le autostrade A24 e A25, la Roma-Teramo e la Torino-Pescara: 281 chilometri d'asfalto sui quali transitano ogni giorno 150.000 vetture. Nel 2016 i pedaggi hanno reso 164 milioni di euro. E i Gavio? Leggendo Avvoltoi si scopre che gestiscono 11 concessioni, per un totale di 1.460 chilometri di asfalto. Nell'ultimo anno hanno incassato, solo di pedaggi, 1.239.342.464 euro, cioè quasi 3,5 milioni al giorno. Guadagni quasi sicuri, rischi quasi nulli. Come per tutte le concessionarie.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/opacita-e-favori-agli-amici-degli-amici-cosi-il-sistema-crea-disastri-in-serie-2595911678.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="unopera-contestata-da-oltre-mezzo-secolo-fior-di-ingegneri-ci-avevano-avvertito" data-post-id="2595911678" data-published-at="1758188358" data-use-pagination="False"> Un’opera contestata da oltre mezzo secolo. Fior di ingegneri ci avevano avvertito Per alcuni era l'opera spettacolare di un genio: Riccardo Morandi, ovverosia l'ingegnere razionalista che aveva brevettato un sistema di precompressione del calcestruzzo. Per altri era soltanto un ponte vecchio, e soprattutto pericoloso. Costruito a partire dal 1963 e inaugurato il 4 settembre 1967, il viadotto di Morandi divideva i tecnici anche prima della sua caduta. Figurarsi ora. Antonio Brencich, docente di Costruzioni in cemento armato e cemento armato precompresso all'università di Genova, era da tempo fra i critici più severi. Due anni fa, aveva lanciato i suoi strali sul lungo viadotto, contestandone la qualifica di capolavoro e definendolo (testualmente) «un fallimento»: «Quell'opera», aveva dichiarato Brencich, «ha presentato aspetti problematici fin da subito. Era stata sbagliata la valutazione della viscosità del calcestruzzo, e questo ha reso non perfettamente orizzontale il piano viario del ponte. Ancora nei primi anni Ottanta, chi lo percorreva era costretto a fastidiosi alti e bassi: solamente ripetute correzioni hanno creato le attuale accettabili condizioni di semiorizzontalità». A Brencich era stato chiesto (per la cronaca, la data dell'intervista era il 19 luglio 2016) se esistessero problemi di stabilità. Il tecnico si era schermito con la solidarietà di categoria: «Della manutenzione si occupano altri ingegneri», aveva risposto, «e penso non ci siano problemi». Ma poi aveva anche ricordato che negli anni Novanta erano stati necessari «lavori enormi». In particolare, su una delle tre campate del ponte Morandi gli stralli erano stati affiancati da nuovi cavi. «Quell'intervento», aveva concluso Brencich, «era indice di una corrosione più elevata e più veloce del previsto». Un ponte deve durare almeno 70-100 anni, aveva ricordato l'ingegnere; se dopo 30 si rende necessario un rifacimento così imponente, qualcosa non va. Brencich aveva anche gettato una luce inquietante sul futuro del ponte: avrebbe dovuto essere «sostituito», aveva detto, «quando la manutenzione costerà più della sua sostituzione». E a quel punto l'ingegnere aveva segnalato un dato allarmante: alla fine degli anni Novanta, dopo appena un trentennio di vita, la spesa nella manutenzione del viadotto aveva già raggiunto «l'80% del suo prezzo di realizzazione». Decisamente troppo. Più clemente, se non nei confronti dell'opera sicuramente almeno verso il suo progettista, è uno dei massimi esperti italiani di tecnica delle costruzioni: il professor Franco Bontempi, docente alla Sapienza di Roma. «Non conosciamo ancora i motivi del crollo», dice alla Verità, «ma va riconosciuto che il viadotto Morandi era un tipico ponte concepito negli anni Sessanta: bello ed elegante, un capolavoro strutturale. Mezzo secolo fa, però, si dava grande attenzione all'equilibrio delle strutture, mentre si sottovalutavano i loro movimenti, e anche la corrosione. Soprattutto, si pensava che il calcestruzzo fosse un materiale eterno. Invece nel ponte si crearono presto fessurazioni. E va riconosciuto che la struttura aveva sue effettive fragilità di congruenza, cioè nel campo che attiene a deformazioni e spostamenti». Anche Pier Giorgio Malerba, docente del Politecnico di Milano e tra i massimi tecnici di ponti, in qualche modo «difende» la memoria del progettista Morandi: «Dopo mezzo secolo, è facile criticare. Ma negli anni Sessanta i calcoli venivano fatti ancora con il regolo a mano, e perfino quando si disponeva di macchine avveniristiche una divisione poteva durare 30 secondi». Ma lo stesso Malerba riconosce la vulnerabilità e i punti deboli della struttura crollata: «Le campate, come in tutti i ponti dell'epoca costruiti con quella tecnica, erano tenute da pochi tiranti. Ma anche questo è un potente fattore di fragilità: perché ne “parte" uno, e tutto cade. Oggi invece gli stralli sono decine, si compensano tra loro, e sono realizzati in resistentissimi trefoli d'acciaio». Gli stralli del viadotto genovese, invece, erano stati fatti in calcestruzzo precompresso, proprio la tecnologia ideata da Morandi. «Ma circa 25 anni fa, su una campata del viadotto, quegli stralli erano stati disattivati», conferma Malerba, «ed era stato creato una specie di esoscheletro per rafforzarli». Così il problema si sposta inevitabilmente sulla manutenzione. E a leggere la storia anche recente del ponte crollato emerge con piena evidenza che interventi e rifacimenti erano praticamente continui. Proprio ieri, subito dopo il disastro, Autostrade per l'Italia ha comunicato che «erano in corso lavori di consolidamento della soletta del viadotto» e che era stato installato anche un carro-ponte «per consentire lo svolgimento delle attività di manutenzione». E sempre di recente, lo scorso 3 maggio, Autostrade per l'Italia aveva annunciato l'ennesima ristrutturazione. Sul sito della società si legge che la spesa per le opere stradali appaltate «a procedura ristretta» ammonta a 20,1 milioni di euro: per l'esattezza, 14.758.000 euro per «lavori parte a corpo e parte a misura» e 5.401.000 euro «per oneri di sicurezza, non soggetti a ribasso». Le domande di partecipazione alla gara, si legge, «dovranno pervenire entro l'11 giugno 2018». È da ipotizzare che, soltanto due mesi dopo, le procedure per avviare quell'appalto non fossero ancora state concluse. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/opacita-e-favori-agli-amici-degli-amici-cosi-il-sistema-crea-disastri-in-serie-2595911678.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-senatore-disse-i-giunti-cedono" data-post-id="2595911678" data-published-at="1758188358" data-use-pagination="False"> Il senatore disse: «I giunti cedono» Nella sua interrogazione era contenuta una denuncia che è caduta nel vuoto, ma è stata profetica. È finita in un limbo, al Senato, senza alcuna risposta. Snobbata. Il 28 aprile 2016 il senatore genovese Maurizio Rossi, imprenditore, titolare dell'emittente locale Primocanale, aveva messo nero su bianco quello che doveva suonare come un campanello d'allarme: «Recentemente il ponte Morandi è stato oggetto di un preoccupante cedimento dei giunti che hanno reso necessaria un'opera straordinaria di manutenzione senza la quale è concreto il rischio di una sua chiusura». Il suo commento, al telefono con La Verità proprio mentre in auto sta rientrando nella sua Genova, è amaro: «Il ministro Graziano Delrio non mi ha mai risposto». Era una grande occasione per avviare controlli specifici. Il senatore Rossi è da sempre un sostenitore della Gronda, la nuova infrastruttura autostradale di 61 chilometri che doveva cambiare completamente registro al traffico del nodo genovese e scaricarlo, «sgrondarlo», dalla quota molto rilevante che, in realtà, oggi passa da Genova diretta a Nord o a Ponente. La Gronda avrebbe sgrondato dal traffico extraurbano proprio il tratto della A10 che comprende il ponte Morandi (libero da pedaggio) e che è decisamente sovraccaricato. E quindi il senatore Rossi, solo qualche mese dopo, è tornato alla carica, questa volta in Commissione: «Abbiamo un ultimo punto, il ponte Morandi, il ponte autostradale sopra Genova. Voi purtroppo sapete che ne è crollato uno recentemente. Quando si vedono 100 tir in coda su quel ponte viene da chiedersi per quanti anni potrà reggere?». Fu proprio durante una discussione nella trasmissione Macaia di Primocanale che il Comune in qualche modo ammise di essere a conoscenza dei problemi del ponte Morandi: un ex assessore ricordò in diretta tv di quando, per motivi di stabilità vennero aggiunti gli stralli, i tiranti, le parti più scenografiche che conferivano al ponte quell'aria vagamente americana. Ma che servivano in realtà per tenerlo in piedi. Da allora la tv di Rossi si è occupata delle difficoltà della viabilità genovese e del ponte centinaia di volte. E la questione del ponte era all'ordine del giorno. «Fummo i primi», ricorda il senatore, «a intervistare un ingegnere che già parlava di pericoli». «La situazione di Genova», aggiunge, «la conosco estremamente bene e purtroppo la criticità del ponte Morandi ci è nota da sempre. È stato realizzato quando i traffici non erano abbondanti come adesso. Sono aumentati di centinaia di migliaia i tir che attraversano la città e su quel viadotto si vedevano spesso le code ferme». E ricorda ancora una volta che «il progetto della Gronda, fermo da 18 anni, avrebbe dovuto risolvere questo snodo fondamentale: sul ponte Morandi, ora crollato, passava tutto il traffico, soprattutto quello commerciale, in arrivo dalla Francia e da Savona verso Genova, e da lì sia in direzione Milano, sia giù per la costa tirrenica verso La Spezia e Roma. Immagina di che mole stiamo parlando?». Messa in archivio la profezia, ora, resta la rabbia: «Si pensi che la Gronda è stata approvata nel 2001. C'è da chiedersi perché non si sia voluto capire per tempo la necessità di costruire un'alternativa».
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.