2023-06-04
L’Oms intasca 370 milioni per appaltare a Google la tecnocensura sanitaria
Tedros Adhanom Ghebreyesus (Ansa)
Patto tra l’Organizzazione guidata da Tedros Adhanom Ghebreyesus e il colosso delle Big tech per dare soltanto comunicazioni giudicate «credibili». Una stretta già vista in pandemia. La coop cacciata dall’hotspot frigna: «Fatto il massimo». Tensioni sulla rotta balcanica.Lo speciale contiene due articoli. Google e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno lavorato insieme «per fare avere le giuste informazioni alle persone quando ne avevano più bisogno», in epoca Covid. Adesso, «aumenteremo il nostro impatto sulla salute per miliardi di persone», dichiara l’azienda statunitense sviluppatrice dell’omonimo motore di ricerca, annunciando un accordo di collaborazione pluriennale con l’Oms «per continuare a fornire informazioni sanitarie credibili», rispondendo «a problemi di salute pubblica emergenti e futuri».Prospettiva rassicurante? Niente affatto. Non bastano i finanziamenti dati, per fornire garanzie. Google fa sapere di aver donato all’Oms oltre 320 milioni di dollari in pubblicità tramite Ad Grants, il programma per le no profit che permette di creare delle campagne sulla rete di ricerca. Si tratta della donazione più grande, in assoluto, fornita dall’azienda informatica. E, sempre Google, annuncia di avere stanziato altri 50 milioni di dollari per il 2023, sempre «per sostenere l’Oms nel continuare il suo lavoro di grande impatto nella sanità pubblica». In nome della scienza o dando voce solo a quello che si vuole propagandare in via ufficiale, come quando si è sostenuto il vaccino quale unico rimedio, senza contraddittorio? Basta guardare l’esito della strategia messa in atto con l’Oms, racchiusa nel dossier Il potere della collaborazione di fronte a la pandemia di Covid-19: Google e l’Organizzazione mondiale della sanità. Vi si legge che, dall’inizio dell’emergenza sanitaria internazionale, le persone che si sono affidate a Google «centinaia di milioni di volte al giorno, con domande relative alla salute», sarebbero state aiutate a trovare «prodotti di alta qualità, informazioni affidabili basate su dati pertinenti su dove vivevano, da fonti attendibili in risposta alle esigenze degli utenti». Hema Budaraju, direttore senior dell’impatto sociale della ricerca presso Google, ha sostenuto: «Non importa quello che stai cercando, la nostra mission è darvi informazioni tempestive, pertinenti». Peccato che nulla risulti dal motore di ricerca di Google in tema di studi che rivelino complicanze nelle campagne vaccinali e nell’utilizzo dei farmaci anti Covid a mRna, se non per classificarli come fake news.Il metodo adottato, grazie al quale ogni opinione contraria al vaccino veniva esclusa dal motore di ricerca, è subito chiarito. Per quando riguarda Youtube, la piattaforma video di Google che nel 2021 ha registrato oltre 110 miliardi di visualizzazioni sulla salute, «l’obiettivo principale è stato la rimozione di disinformazione dannosa, promuovendo contemporaneamente contenuti da autorità sanitarie credibili». È proprio l’azienda a vantarsi di aver rimosso «oltre 1,5 milioni di video correlati alla pericolosa disinformazione del coronavirus, bufale e fake news», nei primi due anni della pandemia.Nemmeno veniva lasciata agli utenti, la facoltà di scegliere che cosa leggere o come documentarsi perché da Internet spariva ogni riferimento estraneo al flusso informativo mainstream. Ma non basta, per il gigante della ricerca online, che afferma di voler continuare la collaborazione con l’Oms per «sostenere la trasformazione digitale in contesti con poche risorse», attraverso anche Open health stack, un programma lanciato a marzo per consentire agli sviluppatori di creare app relative alla salute di nuova generazione, con soluzioni già usate nell’Africa subsahariana, in India e nel Sud Est asiatico. App che seguirebbero le raccomandazioni dell’agenzia (come è accaduto in epoca Covid?) e che nascono avvalendosi di sviluppatori specializzati nel settore sanitario come Ona, Iprd Solutions, Argusoft, Intellisoft, cui saranno fornite «le giuste informazioni di cui hanno bisogno, decisioni basate sull’evidenza per i loro pazienti». Quale evidenza? Quella che epura i contraddittori nel mondo scientifico? Il tutto, grazie a partnership con multinazionali come Samsung. Salute sì, forse, ma anche tanto business con la benedizione dell’Oms. Google dichiara pure l’obiettivo di «preparare le comunità per future minacce alla salute pubblica», rivelando una presunzione assoluta nel fornire strumenti adeguati, sempre d’intesa con l’Oms, «per un positivo impatto sulla vita delle persone», fa sapere la dottoressa Karen DeSalvo, responsabile sanitario dell’azienda informatica.Non più solo sul Covid: Ad Grants sarà usato per tematiche quali salute mentale, influenza, vaiolo delle scimmie, Ebola, con oltre 28 milioni di annunci di servizio pubblico in sei lingue. Quest’anno arriveranno altri 50 milioni di dollari per sostenere la versione gratuita di Google Ads, marketing digitale, grazie alla quale l’Oms metterà in contatto «il maggior numero possibile di persone con informazioni autorevoli».Molti dubbi rimangono sull’effettiva autorevolezza dei contenuti forniti a così tanti utenti e sull’oscurazione, invece, di questioni scomode ma fondamentali di salute pubblica. Anche perché Andy Pattison, responsabile dei canali digitali dell’Organizzazione mondiale della sanità, sostiene che «il lavoro svolto durante la pandemia ci ha permesso di dare informazioni importanti a così tante persone che ne avevano bisogno, come altrimenti non avremmo potuto fare». Una trasformazione digitale, con gli approcci di censura scientifica che abbiamo drammaticamente sperimentato in tre anni di emergenza Covid, non fa sperare in molto di buono.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/oms-google-la-tecnocensura-sanitaria-2660888382.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="seicento-sbarchi-in-un-giorno-solo-lampedusa-torna-sotto-pressione" data-post-id="2660888382" data-published-at="1685860140" data-use-pagination="False"> Seicento sbarchi in un giorno solo. Lampedusa torna sotto pressione Dagli undici barconi approdati ieri a Lampedusa sono sbarcati in 600. L’hotspot di contrada Imbriacola, formalmente passato in gestione, da qualche giorno, alla Croce rossa, è al suo primo stress test. Anche perché si prevede un incremento delle partenze, complice il bel tempo. E gli ospiti sono già arrivati a quota 800. Prefettura di Agrigento e Viminale hanno già cominciato ad alleggerire la struttura, disponendo il trasferimento di almeno 200 persone verso i centri d’accoglienza.Intanto Badia Grande, la coop che ha gestito l’hotspot e che è stata sottoposta a ispezioni e contestazioni della prefettura (che ha poi risolto l’affidamento), ha cominciato a frignare: «Dall’1 marzo 2022, data di inizio della nostra gestione posta in essere con una telefonata della prefettura di Agrigento e con appena cinque ore di preavviso, a oggi si è registrato un transito di oltre 80.000 immigrati. Numeri importanti che hanno indotto il governo a proclamare lo stato di emergenza e ad affidare la gestione della struttura alla Croce rossa italiana».Ed ecco il tentativo di difesa: «In questi mesi la coop è stata accusata di incapacità nella gestione o, peggio, di voler speculare sulla vita dei migranti, senza voler considerare che, nei fatti, ha dovuto affrontare con mezzi ordinari una situazione straordinaria». Secondo la cooperativa, i funzionari del ministero dell’Interno, nei giorni scorsi, avrebbero fornito «una visione corretta e oggettiva dello stato delle cose, sottolineando come non si possa «giudicare l’operato di chi c’era prima, perché qualunque altro soggetto avrebbe vissuto le stesse difficoltà, a cominciare dalla difficoltà di approvvigionamento del cibo». E hanno scaricato le responsabilità sul «sovrannumero di ospiti rispetto alle previsioni». Ma, soprattutto, «sui ritardi nell’effettuare i trasferimenti».Infine, Badia Grande fa sapere che «la quasi totale attività manutentiva degli immobili e degli impianti, di proprietà demaniale, non è di competenza del gestore dei servizi d’accoglienza». Bagni insufficienti e problemi igienico-sanitari sarebbero derivati «da uno stress nell’uso della struttura». Si autoassolve, Badia Grande. Ma i primi giorni della gestione della Croce rossa sembrano aver già dimostrato che un cambio di passo sia possibile. Oltre agli sbarchi autonomi, però, anche ieri le Ong hanno continuato a traghettare migranti. Andrà a Civitavecchia la Humanity One della Sos Humanity, con i 30 tirati a bordo da un gommone, partito dalla Libia, che si è trovato in difficoltà in acque internazionali. Le due navi che, invece, hanno violato il regolamento voluto dal ministro Matteo Piantedosi, la Mare Go (36 passeggeri) e la Sea Eye 4 (49 passeggeri), entrambe tedesche, dovranno restare ferme in porto per venti giorni. La prima, l’altro giorno, si è rifiutata di raggiungere il porto di Trapani, indicato dal governo, mentre la seconda ha effettuato più di un salvataggio prima di procedere verso il porto assegnato, ovvero quello di Ortona. «Applicato il decreto Ong con il blocco delle navi e, alla prossima violazione, scatta il sequestro», ha commentato il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, che ha aggiunto: «Il governo non delega a imbarcazioni private che battono bandiera straniera, finanziate da Stati esteri, il controllo delle frontiere e il soccorso». Ma anche a Nord, per l’invasione dalla rotta balcanica, è andato in affanno il meccanismo d’identificazione a Gradisca d’Isonzo (Gorizia), con 140 migranti (alcuni sarebbero affetti da difterite) da fotosegnalare in coda al comando stazione dei carabinieri. E Antonio Nicolosi, segretario generale del sindacato Unarma, è sbottato: «Non ci sono protocolli sanitari e neppure un mediatore culturale. Strumenti e figure che, invece, sono a disposizione della polizia di Stato. Inoltre segnaliamo che di fotosegnalamenti ne vengono fatti al massimo tre al giorno e questi immigrati rimangono così a bivaccare per il paese prima di essere ricollocati nel Cara».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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