True
2021-12-19
Omissioni, contraddizioni e bugie sui rischi dell’iniezione ai più piccoli
(Ansa)
Nella fascia di età 6-11 anni i decessi per Covid registrati dall’Istituto superiore di sanità, dall’inizio della pandemia, sono stati nove, quindi circa cinque in un anno. L’Iss scrive anche che tra tutti i morti di Covid, soltanto tre su cento erano persone con nessuna patologia. Considerando che i bimbi morti sono stati appunto 9, dal punto di vista statistico la percentuale dei bambini sani morti è superiore allo zero in maniera infinitesimale e questo dato collima con quello della Germania: da uno studio enorme su tutta la popolazione, in fase di pubblicazione ma svolto da autori di massimo prestigio, tra cui Anna-Lisa Sorg, epidemiologa pediatrica dell’Università di Monaco, risulta che nessun bambino tedesco sano tra i 5 e gli 11 anni è morto dall’inizio della pandemia. Quanto ai ricoveri in terapia intensiva, in Italia l’Iss ne registra 37 nella fascia di età 6-11, sempre dal febbraio 2020. Ciò significa circa 20 in un anno. Vuol dire, calcolando il totale della popolazione per quella fascia di età (3.194.351), che su tutti i bambini italiani dai 6 agli 11 anni sono finiti in intensiva lo 0,0006 per cento del totale, cioè 6 su un milione. I morti in un anno sono stati cinque, quindi 3 su un milione e si trattava di bambini già sofferenti di altre patologie.
Questi sono alcuni numeri che dovrebbero far riflettere, anche se sul sito dell’Agenzia italiana del farmaco, nella nota che autorizza e consiglia la vaccinazione pediatrica contro il Covid-19, si citano numeri diversi. Sono diversi non perché derivino da altre fonti, bensì perché Aifa omette di comunicare il campione di riferimento. Esempio concreto: Aifa scrive che 1,4 su 10.000 bambini finisce in terapia intensiva ma non specifica che i 10.000 non sono tutti i bambini, bensì soltanto i bambini contagiati, che in totale sono stati nella fascia 6-11 appena 251.221 dall’inizio della pandemia, quindi in un anno circa 150.000 su un totale di quasi tre milioni e 200.000 bambini. Non è la sola omissione. Aifa scrive che «lo studio registrato nella popolazione 5-11 anni ha mostrato un’efficacia nella riduzione delle infezioni sintomatiche da Sars-Cov-2 pari al 90,7% rispetto al placebo e che «per gli aspetti di sicurezza lo studio non ha evidenziato eventi avversi gravi correlati», ma non specifica che lo studio è stato fatto da Pzifer su un campione considerato assai ridotto. Non solo. Aifa non scrive ciò che invece scrive Ema, l’Agenzia europea della medicina e cioè: se è vero che dei 1.005 bambini vaccinati nessuno ha sviluppato Covid-19, soltanto 16 bambini su 978 che hanno ricevuto il placebo si è infettato.
Tali omissioni appaiono fuorvianti per valutare il rischio rispetto al beneficio. Aifa riporta che «i dati di farmacovigilanza relativi ai circa 3.300.000 bambini di 5-11 anni già vaccinati, prevalentemente con una dose, negli Stati Uniti, non evidenziano al momento nessun segnale di allerta in termini di sicurezza», ma anche qui non riferisce che si tratta di farmacovigilanza passiva (ovvero di dati assai sottostimati, secondo la letteratura scientifica, in una proporzione di almeno 1 a 100). Aifa ammette che il periodo di osservazione di riferimento è stato di breve durata (media 16 giorni), ma questa comunicazione è in un inciso. Eppure, lo stesso comitato per la sicurezza dell’Ema (Prac), valutando i dati aggiornati su miocarditi e pericarditi, riferisce sulla base di uno studio francese - che ha seguito i vaccinati solo per una settimana - e di uno studio norvegese - che li ha seguiti per 4 settimane - che può essere colpita da questi eventi fino a una persona su 10.000. Il Prac definisce tale rischio «molto raro» e però scrive che «i dati mostrano che l’aumento del rischio di miocardite dopo la vaccinazione è maggiore nei maschi più giovani e che sono stati osservati più spesso questi eventi dopo la seconda somministrazione». Ciò rende dunque insignificante il dato che riporta Aifa sui bambini americani vaccinati «prevalentemente», come è scritto, con la prima dose. Lo studio norvegese citato da Ema che ha seguito i vaccinati di età tra i 16 e 24 anni per 4 settimane ha trovato peraltro un eccesso, rispetto all’atteso, di 1,9 casi di miocardite ogni 10.000 vaccinati, cioè il doppio della media fatta da Ema.
Questi dunque i numeri sui rischi noti, che se confrontati con il rischio che hanno i bambini di morire di Covid parlano chiaro: almeno un vaccinato su 10.000 potrà avere una miocardite, ma i bambini morti di Covid nella fascia di età 5-11 sono stati 3 su un milione e nessuno di loro era un bambino sano. Non si conoscono poi i rischi a medio e a lungo termine, perché il vaccino è ancora in fase sperimentale, così come lo è quello già inoculato in massa agli adolescenti. Stiamo vedendo che i bugiardini vengono continuamente aggiornati con nuovi effetti collaterali e Moderna non viene più somministrato agli under 30 in Danimarca, Svezia, Germania e Francia, mentre da noi ancora viene fatto. Astrazeneca è stato vietato pure in Italia agli under 65, ma solo dopo che si sono verificati eventi fatali. Anche per gli adolescenti i numeri dei morti di Covid sono infimi e dunque su questo bisognerebbe ancora riflettere: l’Iss registra 8 decessi (dall’inizio della pandemia) tra i 12 e i 19 anni (meno di 5, dunque, in un anno) e sette decessi nella fascia 16-19 (quattro circa in un anno). Le statistiche ci dicono che anche in questo caso si trattava di ragazzi già malati. Complessivamente, nella fascia tra gli 0 e 19 anni, i morti di Covid, dall’inizio della pandemia, sono stati 35, tutti già malati. Nel 2019 sono morti di incidenti stradali 40 bambini ( presumibilmente sani) e nel quinquennio 2015- 2019 sono morti in media ogni anno ben 2.505 tra bambini e ragazzi tra gli 0 e i 19 anni, di cui 356 per cancro.
«I genitori sappiano che i trial su questi vaccini termineranno nel 2024 e questi prodotti non sono stati testati né per gli effetti cancerogeni né per quelli genotossici (alterazioni del genoma , potenzialmente gravi per le gravidanze, ndr)» sostiene Patrizia Gentilini, oncologa in pensione con una carriera ospedaliera lunga 35 anni. Ora fa parte di una commissione medico-scientifica indipendente insieme ai colleghi Paolo Bellavite, ematologo, Marco Cosentino, farmacologo, Giovanni Frajese, endocrinologo, Alberto Donzelli, già membro del Consiglio superiore di sanità ed Eugenio Serravalle, pediatra. La commissione ha chiesto un confronto basato sui dati scientifici con le nostre autorità sanitarie, invano. «Ci hanno ignorato e intanto il coordinatore del Cts, Franco Locatelli, ha affermato qualcosa che contraddice la stessa Ema: egli ha dichiarato che le miocarditi, dopo il vaccino, hanno solo forme lievi e reversibili quando invece Ema scrive che il decorso della miocardite e della pericardite dopo la vaccinazione non è diverso dalla miocardite o dalla pericardite nella popolazione generale», fa notare Alberto Donzelli, ricordando che anche quando si guarisce dalla miocardite, che è comunque un effetto avverso «grave», potenzialmente mortale, «le cellule cardiache non si rigenerano».
Continua a leggere
Riduci
In due anni di pandemia, i bambini italiani morti sono stati 9. I contagiati finiti in intensiva 6 su un milione. Nel magnificare la necessità della baby vaccinazione, Aifa glissa sul campione di riferimento, assai ridotto.Nella fascia di età 6-11 anni i decessi per Covid registrati dall’Istituto superiore di sanità, dall’inizio della pandemia, sono stati nove, quindi circa cinque in un anno. L’Iss scrive anche che tra tutti i morti di Covid, soltanto tre su cento erano persone con nessuna patologia. Considerando che i bimbi morti sono stati appunto 9, dal punto di vista statistico la percentuale dei bambini sani morti è superiore allo zero in maniera infinitesimale e questo dato collima con quello della Germania: da uno studio enorme su tutta la popolazione, in fase di pubblicazione ma svolto da autori di massimo prestigio, tra cui Anna-Lisa Sorg, epidemiologa pediatrica dell’Università di Monaco, risulta che nessun bambino tedesco sano tra i 5 e gli 11 anni è morto dall’inizio della pandemia. Quanto ai ricoveri in terapia intensiva, in Italia l’Iss ne registra 37 nella fascia di età 6-11, sempre dal febbraio 2020. Ciò significa circa 20 in un anno. Vuol dire, calcolando il totale della popolazione per quella fascia di età (3.194.351), che su tutti i bambini italiani dai 6 agli 11 anni sono finiti in intensiva lo 0,0006 per cento del totale, cioè 6 su un milione. I morti in un anno sono stati cinque, quindi 3 su un milione e si trattava di bambini già sofferenti di altre patologie. Questi sono alcuni numeri che dovrebbero far riflettere, anche se sul sito dell’Agenzia italiana del farmaco, nella nota che autorizza e consiglia la vaccinazione pediatrica contro il Covid-19, si citano numeri diversi. Sono diversi non perché derivino da altre fonti, bensì perché Aifa omette di comunicare il campione di riferimento. Esempio concreto: Aifa scrive che 1,4 su 10.000 bambini finisce in terapia intensiva ma non specifica che i 10.000 non sono tutti i bambini, bensì soltanto i bambini contagiati, che in totale sono stati nella fascia 6-11 appena 251.221 dall’inizio della pandemia, quindi in un anno circa 150.000 su un totale di quasi tre milioni e 200.000 bambini. Non è la sola omissione. Aifa scrive che «lo studio registrato nella popolazione 5-11 anni ha mostrato un’efficacia nella riduzione delle infezioni sintomatiche da Sars-Cov-2 pari al 90,7% rispetto al placebo e che «per gli aspetti di sicurezza lo studio non ha evidenziato eventi avversi gravi correlati», ma non specifica che lo studio è stato fatto da Pzifer su un campione considerato assai ridotto. Non solo. Aifa non scrive ciò che invece scrive Ema, l’Agenzia europea della medicina e cioè: se è vero che dei 1.005 bambini vaccinati nessuno ha sviluppato Covid-19, soltanto 16 bambini su 978 che hanno ricevuto il placebo si è infettato. Tali omissioni appaiono fuorvianti per valutare il rischio rispetto al beneficio. Aifa riporta che «i dati di farmacovigilanza relativi ai circa 3.300.000 bambini di 5-11 anni già vaccinati, prevalentemente con una dose, negli Stati Uniti, non evidenziano al momento nessun segnale di allerta in termini di sicurezza», ma anche qui non riferisce che si tratta di farmacovigilanza passiva (ovvero di dati assai sottostimati, secondo la letteratura scientifica, in una proporzione di almeno 1 a 100). Aifa ammette che il periodo di osservazione di riferimento è stato di breve durata (media 16 giorni), ma questa comunicazione è in un inciso. Eppure, lo stesso comitato per la sicurezza dell’Ema (Prac), valutando i dati aggiornati su miocarditi e pericarditi, riferisce sulla base di uno studio francese - che ha seguito i vaccinati solo per una settimana - e di uno studio norvegese - che li ha seguiti per 4 settimane - che può essere colpita da questi eventi fino a una persona su 10.000. Il Prac definisce tale rischio «molto raro» e però scrive che «i dati mostrano che l’aumento del rischio di miocardite dopo la vaccinazione è maggiore nei maschi più giovani e che sono stati osservati più spesso questi eventi dopo la seconda somministrazione». Ciò rende dunque insignificante il dato che riporta Aifa sui bambini americani vaccinati «prevalentemente», come è scritto, con la prima dose. Lo studio norvegese citato da Ema che ha seguito i vaccinati di età tra i 16 e 24 anni per 4 settimane ha trovato peraltro un eccesso, rispetto all’atteso, di 1,9 casi di miocardite ogni 10.000 vaccinati, cioè il doppio della media fatta da Ema. Questi dunque i numeri sui rischi noti, che se confrontati con il rischio che hanno i bambini di morire di Covid parlano chiaro: almeno un vaccinato su 10.000 potrà avere una miocardite, ma i bambini morti di Covid nella fascia di età 5-11 sono stati 3 su un milione e nessuno di loro era un bambino sano. Non si conoscono poi i rischi a medio e a lungo termine, perché il vaccino è ancora in fase sperimentale, così come lo è quello già inoculato in massa agli adolescenti. Stiamo vedendo che i bugiardini vengono continuamente aggiornati con nuovi effetti collaterali e Moderna non viene più somministrato agli under 30 in Danimarca, Svezia, Germania e Francia, mentre da noi ancora viene fatto. Astrazeneca è stato vietato pure in Italia agli under 65, ma solo dopo che si sono verificati eventi fatali. Anche per gli adolescenti i numeri dei morti di Covid sono infimi e dunque su questo bisognerebbe ancora riflettere: l’Iss registra 8 decessi (dall’inizio della pandemia) tra i 12 e i 19 anni (meno di 5, dunque, in un anno) e sette decessi nella fascia 16-19 (quattro circa in un anno). Le statistiche ci dicono che anche in questo caso si trattava di ragazzi già malati. Complessivamente, nella fascia tra gli 0 e 19 anni, i morti di Covid, dall’inizio della pandemia, sono stati 35, tutti già malati. Nel 2019 sono morti di incidenti stradali 40 bambini ( presumibilmente sani) e nel quinquennio 2015- 2019 sono morti in media ogni anno ben 2.505 tra bambini e ragazzi tra gli 0 e i 19 anni, di cui 356 per cancro.«I genitori sappiano che i trial su questi vaccini termineranno nel 2024 e questi prodotti non sono stati testati né per gli effetti cancerogeni né per quelli genotossici (alterazioni del genoma , potenzialmente gravi per le gravidanze, ndr)» sostiene Patrizia Gentilini, oncologa in pensione con una carriera ospedaliera lunga 35 anni. Ora fa parte di una commissione medico-scientifica indipendente insieme ai colleghi Paolo Bellavite, ematologo, Marco Cosentino, farmacologo, Giovanni Frajese, endocrinologo, Alberto Donzelli, già membro del Consiglio superiore di sanità ed Eugenio Serravalle, pediatra. La commissione ha chiesto un confronto basato sui dati scientifici con le nostre autorità sanitarie, invano. «Ci hanno ignorato e intanto il coordinatore del Cts, Franco Locatelli, ha affermato qualcosa che contraddice la stessa Ema: egli ha dichiarato che le miocarditi, dopo il vaccino, hanno solo forme lievi e reversibili quando invece Ema scrive che il decorso della miocardite e della pericardite dopo la vaccinazione non è diverso dalla miocardite o dalla pericardite nella popolazione generale», fa notare Alberto Donzelli, ricordando che anche quando si guarisce dalla miocardite, che è comunque un effetto avverso «grave», potenzialmente mortale, «le cellule cardiache non si rigenerano».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggere
Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggere
Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggere
Riduci