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2021-12-19
Omissioni, contraddizioni e bugie sui rischi dell’iniezione ai più piccoli
(Ansa)
Nella fascia di età 6-11 anni i decessi per Covid registrati dall’Istituto superiore di sanità, dall’inizio della pandemia, sono stati nove, quindi circa cinque in un anno. L’Iss scrive anche che tra tutti i morti di Covid, soltanto tre su cento erano persone con nessuna patologia. Considerando che i bimbi morti sono stati appunto 9, dal punto di vista statistico la percentuale dei bambini sani morti è superiore allo zero in maniera infinitesimale e questo dato collima con quello della Germania: da uno studio enorme su tutta la popolazione, in fase di pubblicazione ma svolto da autori di massimo prestigio, tra cui Anna-Lisa Sorg, epidemiologa pediatrica dell’Università di Monaco, risulta che nessun bambino tedesco sano tra i 5 e gli 11 anni è morto dall’inizio della pandemia. Quanto ai ricoveri in terapia intensiva, in Italia l’Iss ne registra 37 nella fascia di età 6-11, sempre dal febbraio 2020. Ciò significa circa 20 in un anno. Vuol dire, calcolando il totale della popolazione per quella fascia di età (3.194.351), che su tutti i bambini italiani dai 6 agli 11 anni sono finiti in intensiva lo 0,0006 per cento del totale, cioè 6 su un milione. I morti in un anno sono stati cinque, quindi 3 su un milione e si trattava di bambini già sofferenti di altre patologie.
Questi sono alcuni numeri che dovrebbero far riflettere, anche se sul sito dell’Agenzia italiana del farmaco, nella nota che autorizza e consiglia la vaccinazione pediatrica contro il Covid-19, si citano numeri diversi. Sono diversi non perché derivino da altre fonti, bensì perché Aifa omette di comunicare il campione di riferimento. Esempio concreto: Aifa scrive che 1,4 su 10.000 bambini finisce in terapia intensiva ma non specifica che i 10.000 non sono tutti i bambini, bensì soltanto i bambini contagiati, che in totale sono stati nella fascia 6-11 appena 251.221 dall’inizio della pandemia, quindi in un anno circa 150.000 su un totale di quasi tre milioni e 200.000 bambini. Non è la sola omissione. Aifa scrive che «lo studio registrato nella popolazione 5-11 anni ha mostrato un’efficacia nella riduzione delle infezioni sintomatiche da Sars-Cov-2 pari al 90,7% rispetto al placebo e che «per gli aspetti di sicurezza lo studio non ha evidenziato eventi avversi gravi correlati», ma non specifica che lo studio è stato fatto da Pzifer su un campione considerato assai ridotto. Non solo. Aifa non scrive ciò che invece scrive Ema, l’Agenzia europea della medicina e cioè: se è vero che dei 1.005 bambini vaccinati nessuno ha sviluppato Covid-19, soltanto 16 bambini su 978 che hanno ricevuto il placebo si è infettato.
Tali omissioni appaiono fuorvianti per valutare il rischio rispetto al beneficio. Aifa riporta che «i dati di farmacovigilanza relativi ai circa 3.300.000 bambini di 5-11 anni già vaccinati, prevalentemente con una dose, negli Stati Uniti, non evidenziano al momento nessun segnale di allerta in termini di sicurezza», ma anche qui non riferisce che si tratta di farmacovigilanza passiva (ovvero di dati assai sottostimati, secondo la letteratura scientifica, in una proporzione di almeno 1 a 100). Aifa ammette che il periodo di osservazione di riferimento è stato di breve durata (media 16 giorni), ma questa comunicazione è in un inciso. Eppure, lo stesso comitato per la sicurezza dell’Ema (Prac), valutando i dati aggiornati su miocarditi e pericarditi, riferisce sulla base di uno studio francese - che ha seguito i vaccinati solo per una settimana - e di uno studio norvegese - che li ha seguiti per 4 settimane - che può essere colpita da questi eventi fino a una persona su 10.000. Il Prac definisce tale rischio «molto raro» e però scrive che «i dati mostrano che l’aumento del rischio di miocardite dopo la vaccinazione è maggiore nei maschi più giovani e che sono stati osservati più spesso questi eventi dopo la seconda somministrazione». Ciò rende dunque insignificante il dato che riporta Aifa sui bambini americani vaccinati «prevalentemente», come è scritto, con la prima dose. Lo studio norvegese citato da Ema che ha seguito i vaccinati di età tra i 16 e 24 anni per 4 settimane ha trovato peraltro un eccesso, rispetto all’atteso, di 1,9 casi di miocardite ogni 10.000 vaccinati, cioè il doppio della media fatta da Ema.
Questi dunque i numeri sui rischi noti, che se confrontati con il rischio che hanno i bambini di morire di Covid parlano chiaro: almeno un vaccinato su 10.000 potrà avere una miocardite, ma i bambini morti di Covid nella fascia di età 5-11 sono stati 3 su un milione e nessuno di loro era un bambino sano. Non si conoscono poi i rischi a medio e a lungo termine, perché il vaccino è ancora in fase sperimentale, così come lo è quello già inoculato in massa agli adolescenti. Stiamo vedendo che i bugiardini vengono continuamente aggiornati con nuovi effetti collaterali e Moderna non viene più somministrato agli under 30 in Danimarca, Svezia, Germania e Francia, mentre da noi ancora viene fatto. Astrazeneca è stato vietato pure in Italia agli under 65, ma solo dopo che si sono verificati eventi fatali. Anche per gli adolescenti i numeri dei morti di Covid sono infimi e dunque su questo bisognerebbe ancora riflettere: l’Iss registra 8 decessi (dall’inizio della pandemia) tra i 12 e i 19 anni (meno di 5, dunque, in un anno) e sette decessi nella fascia 16-19 (quattro circa in un anno). Le statistiche ci dicono che anche in questo caso si trattava di ragazzi già malati. Complessivamente, nella fascia tra gli 0 e 19 anni, i morti di Covid, dall’inizio della pandemia, sono stati 35, tutti già malati. Nel 2019 sono morti di incidenti stradali 40 bambini ( presumibilmente sani) e nel quinquennio 2015- 2019 sono morti in media ogni anno ben 2.505 tra bambini e ragazzi tra gli 0 e i 19 anni, di cui 356 per cancro.
«I genitori sappiano che i trial su questi vaccini termineranno nel 2024 e questi prodotti non sono stati testati né per gli effetti cancerogeni né per quelli genotossici (alterazioni del genoma , potenzialmente gravi per le gravidanze, ndr)» sostiene Patrizia Gentilini, oncologa in pensione con una carriera ospedaliera lunga 35 anni. Ora fa parte di una commissione medico-scientifica indipendente insieme ai colleghi Paolo Bellavite, ematologo, Marco Cosentino, farmacologo, Giovanni Frajese, endocrinologo, Alberto Donzelli, già membro del Consiglio superiore di sanità ed Eugenio Serravalle, pediatra. La commissione ha chiesto un confronto basato sui dati scientifici con le nostre autorità sanitarie, invano. «Ci hanno ignorato e intanto il coordinatore del Cts, Franco Locatelli, ha affermato qualcosa che contraddice la stessa Ema: egli ha dichiarato che le miocarditi, dopo il vaccino, hanno solo forme lievi e reversibili quando invece Ema scrive che il decorso della miocardite e della pericardite dopo la vaccinazione non è diverso dalla miocardite o dalla pericardite nella popolazione generale», fa notare Alberto Donzelli, ricordando che anche quando si guarisce dalla miocardite, che è comunque un effetto avverso «grave», potenzialmente mortale, «le cellule cardiache non si rigenerano».
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In due anni di pandemia, i bambini italiani morti sono stati 9. I contagiati finiti in intensiva 6 su un milione. Nel magnificare la necessità della baby vaccinazione, Aifa glissa sul campione di riferimento, assai ridotto.Nella fascia di età 6-11 anni i decessi per Covid registrati dall’Istituto superiore di sanità, dall’inizio della pandemia, sono stati nove, quindi circa cinque in un anno. L’Iss scrive anche che tra tutti i morti di Covid, soltanto tre su cento erano persone con nessuna patologia. Considerando che i bimbi morti sono stati appunto 9, dal punto di vista statistico la percentuale dei bambini sani morti è superiore allo zero in maniera infinitesimale e questo dato collima con quello della Germania: da uno studio enorme su tutta la popolazione, in fase di pubblicazione ma svolto da autori di massimo prestigio, tra cui Anna-Lisa Sorg, epidemiologa pediatrica dell’Università di Monaco, risulta che nessun bambino tedesco sano tra i 5 e gli 11 anni è morto dall’inizio della pandemia. Quanto ai ricoveri in terapia intensiva, in Italia l’Iss ne registra 37 nella fascia di età 6-11, sempre dal febbraio 2020. Ciò significa circa 20 in un anno. Vuol dire, calcolando il totale della popolazione per quella fascia di età (3.194.351), che su tutti i bambini italiani dai 6 agli 11 anni sono finiti in intensiva lo 0,0006 per cento del totale, cioè 6 su un milione. I morti in un anno sono stati cinque, quindi 3 su un milione e si trattava di bambini già sofferenti di altre patologie. Questi sono alcuni numeri che dovrebbero far riflettere, anche se sul sito dell’Agenzia italiana del farmaco, nella nota che autorizza e consiglia la vaccinazione pediatrica contro il Covid-19, si citano numeri diversi. Sono diversi non perché derivino da altre fonti, bensì perché Aifa omette di comunicare il campione di riferimento. Esempio concreto: Aifa scrive che 1,4 su 10.000 bambini finisce in terapia intensiva ma non specifica che i 10.000 non sono tutti i bambini, bensì soltanto i bambini contagiati, che in totale sono stati nella fascia 6-11 appena 251.221 dall’inizio della pandemia, quindi in un anno circa 150.000 su un totale di quasi tre milioni e 200.000 bambini. Non è la sola omissione. Aifa scrive che «lo studio registrato nella popolazione 5-11 anni ha mostrato un’efficacia nella riduzione delle infezioni sintomatiche da Sars-Cov-2 pari al 90,7% rispetto al placebo e che «per gli aspetti di sicurezza lo studio non ha evidenziato eventi avversi gravi correlati», ma non specifica che lo studio è stato fatto da Pzifer su un campione considerato assai ridotto. Non solo. Aifa non scrive ciò che invece scrive Ema, l’Agenzia europea della medicina e cioè: se è vero che dei 1.005 bambini vaccinati nessuno ha sviluppato Covid-19, soltanto 16 bambini su 978 che hanno ricevuto il placebo si è infettato. Tali omissioni appaiono fuorvianti per valutare il rischio rispetto al beneficio. Aifa riporta che «i dati di farmacovigilanza relativi ai circa 3.300.000 bambini di 5-11 anni già vaccinati, prevalentemente con una dose, negli Stati Uniti, non evidenziano al momento nessun segnale di allerta in termini di sicurezza», ma anche qui non riferisce che si tratta di farmacovigilanza passiva (ovvero di dati assai sottostimati, secondo la letteratura scientifica, in una proporzione di almeno 1 a 100). Aifa ammette che il periodo di osservazione di riferimento è stato di breve durata (media 16 giorni), ma questa comunicazione è in un inciso. Eppure, lo stesso comitato per la sicurezza dell’Ema (Prac), valutando i dati aggiornati su miocarditi e pericarditi, riferisce sulla base di uno studio francese - che ha seguito i vaccinati solo per una settimana - e di uno studio norvegese - che li ha seguiti per 4 settimane - che può essere colpita da questi eventi fino a una persona su 10.000. Il Prac definisce tale rischio «molto raro» e però scrive che «i dati mostrano che l’aumento del rischio di miocardite dopo la vaccinazione è maggiore nei maschi più giovani e che sono stati osservati più spesso questi eventi dopo la seconda somministrazione». Ciò rende dunque insignificante il dato che riporta Aifa sui bambini americani vaccinati «prevalentemente», come è scritto, con la prima dose. Lo studio norvegese citato da Ema che ha seguito i vaccinati di età tra i 16 e 24 anni per 4 settimane ha trovato peraltro un eccesso, rispetto all’atteso, di 1,9 casi di miocardite ogni 10.000 vaccinati, cioè il doppio della media fatta da Ema. Questi dunque i numeri sui rischi noti, che se confrontati con il rischio che hanno i bambini di morire di Covid parlano chiaro: almeno un vaccinato su 10.000 potrà avere una miocardite, ma i bambini morti di Covid nella fascia di età 5-11 sono stati 3 su un milione e nessuno di loro era un bambino sano. Non si conoscono poi i rischi a medio e a lungo termine, perché il vaccino è ancora in fase sperimentale, così come lo è quello già inoculato in massa agli adolescenti. Stiamo vedendo che i bugiardini vengono continuamente aggiornati con nuovi effetti collaterali e Moderna non viene più somministrato agli under 30 in Danimarca, Svezia, Germania e Francia, mentre da noi ancora viene fatto. Astrazeneca è stato vietato pure in Italia agli under 65, ma solo dopo che si sono verificati eventi fatali. Anche per gli adolescenti i numeri dei morti di Covid sono infimi e dunque su questo bisognerebbe ancora riflettere: l’Iss registra 8 decessi (dall’inizio della pandemia) tra i 12 e i 19 anni (meno di 5, dunque, in un anno) e sette decessi nella fascia 16-19 (quattro circa in un anno). Le statistiche ci dicono che anche in questo caso si trattava di ragazzi già malati. Complessivamente, nella fascia tra gli 0 e 19 anni, i morti di Covid, dall’inizio della pandemia, sono stati 35, tutti già malati. Nel 2019 sono morti di incidenti stradali 40 bambini ( presumibilmente sani) e nel quinquennio 2015- 2019 sono morti in media ogni anno ben 2.505 tra bambini e ragazzi tra gli 0 e i 19 anni, di cui 356 per cancro.«I genitori sappiano che i trial su questi vaccini termineranno nel 2024 e questi prodotti non sono stati testati né per gli effetti cancerogeni né per quelli genotossici (alterazioni del genoma , potenzialmente gravi per le gravidanze, ndr)» sostiene Patrizia Gentilini, oncologa in pensione con una carriera ospedaliera lunga 35 anni. Ora fa parte di una commissione medico-scientifica indipendente insieme ai colleghi Paolo Bellavite, ematologo, Marco Cosentino, farmacologo, Giovanni Frajese, endocrinologo, Alberto Donzelli, già membro del Consiglio superiore di sanità ed Eugenio Serravalle, pediatra. La commissione ha chiesto un confronto basato sui dati scientifici con le nostre autorità sanitarie, invano. «Ci hanno ignorato e intanto il coordinatore del Cts, Franco Locatelli, ha affermato qualcosa che contraddice la stessa Ema: egli ha dichiarato che le miocarditi, dopo il vaccino, hanno solo forme lievi e reversibili quando invece Ema scrive che il decorso della miocardite e della pericardite dopo la vaccinazione non è diverso dalla miocardite o dalla pericardite nella popolazione generale», fa notare Alberto Donzelli, ricordando che anche quando si guarisce dalla miocardite, che è comunque un effetto avverso «grave», potenzialmente mortale, «le cellule cardiache non si rigenerano».
Ansa
Cinque giorni di sciopero con la città bloccata dai sindacalisti. «È stata, però, una mobilitazione di lotta necessaria, non solo per la difesa di più di 1.000 posti di lavoro ma anche per tutta Genova. Abbiamo strappato un’importante continuità produttiva per lo stabilimento di Cornigliano, almeno fino a febbraio Cornigliano non chiude e con esso continua a vivere la città e il quartiere». Lancio di fumogeni e uova contro gli agenti, mezzi di lavoro contro le reti di protezione, stazione di Brignole occupata oltre agli insulti sessiti al premier Giorgia Meloni per la Cgil sono stati «disagi», non certo una guerriglia urbana molto vicina a una rivolta sociale.
Inoltre, nessun accenno alle polemiche e alla degenerazione scaturita venerdì scorso quando una parte della Fiom e alcuni esponenti politici hanno indetto uno sciopero territoriale a cui la Uilm non ha aderito. «Noi partecipiamo agli scioperi proclamati dalle organizzazioni sindacali legittimate, non da partiti politici o da singoli esponenti», aveva spiegato il segretario generale Uilm, Rocco Palombella, riferendosi alla proclamazione attribuita all’ex dirigente Fiom, Franco Grondona. Comunque, pur non partecipando all’assemblea dei lavoratori delegati e sindacalisti, si erano avvicinati ai cancelli dello stabilimento e lì «sono stati presi a calci e pugni da individui con la felpa Fiom. Un’azione premeditata di Lotta continua», aveva commentato Antonio Apa, segretario generale della Uil Liguria. «Un attacco squadrista», aveva rincarato la dose il segretario generale della Uil Liguria, Riccardo Serri.
A rimetterci, il segretario generale della Uilm Genova, Luigi Pinasco, raggiunto da alcuni cazzotti e da una testata, mentre il segretario organizzativo Claudio Cabras aveva ricevuto colpi al petto e a una gamba. Entrambi, finiti al pronto soccorso, hanno poi presentato denuncia in questura. E benché il leader nazionale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, abbia parlato di «episodio squadrista che rischia di portare a derive vicine al terrorismo», dai colleghi di Cgil e Cisl non è arrivata alcuna condanna. Anzi, in una nota congiunta del leader Maurizio Landini e del segretario generale della Fiom, Michele De Palma, si legge: «Il forte clima di tensione al presidio sindacale non può essere in alcun modo strumentalizzato né, tanto meno, irresponsabilmente associato al terrorismo. La Fiom e la Cgil si sono sempre battuti contro il terrorismo e per affermare la democrazia, anche a costo della perdita della vita come accaduto proprio all’ex Ilva di Genova al nostro delegato Guido Rossa. Restiamo impegnati a ripristinare un clima di confronto costruttivo e di rispetto delle differenze per dare una positiva soluzione alla vertenza ex Ilva, in sintonia con le legittime aspettative di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori rese manifeste dallo sciopero dei metalmeccanici tenutosi a Genova».
Quasi fosse responsabilità dei sindacalisti Uil, il segretario Landini ha minimizzato l’episodio così come continua a non voler vedere il distacco con la Uil, prima sempre al fianco della Cgil per scioperare e, soprattutto, attaccare il governo. Un fatto grave che non ha meritato parole di solidarietà. Fim e Fiom si scusano con i genovesi per i pesanti disagi provocati per la loro mobilitazione sul futuro dell’ex Ilva ligure ben sapendo che nell’ex Ilva di Taranto è proprio la Uilm il primo sindacato.
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La scritta apparsa a Marina di Pietrasanta (Ansa)
La polizia del commissariato di Forte dei Marmi ha avviato gli accertamenti per individuare i responsabili e sta verificando la presenza di telecamere nella zona che possano aver ripreso l’autore o gli autori del gesto. Non il primo ai danni del presidente del Consiglio, ma sicuramente annoverabile tra i più violenti.
Risale ad appena pochi mesi fa l’altra scritta che aveva suscitato parecchia indignazione: «Meloni come Kirk». Una frase per augurare al premier la fine dell’attivista americano Charlie Kirk, morto ammazzato durante un comizio a causa di una pallottola. Un gesto d’odio che evidentemente alimenta altro odio. La frase di Marina di Pietrasanta potrebbe essere una risposta a un’altra frase, pronunciata da Giorgia Meloni lo scorso 25 settembre in occasione di Fenix, la festa di Gioventù nazionale, partendo da una considerazione proprio sui post contro Charlie Kirk: «Non abbiamo avuto paura delle Brigate rosse, non ne abbiamo oggi». Fdi ha diffuso una nota dove si parla di «minacce al presidente Meloni, firmate dall’estremismo rosso: l’ennesima prova di un clima d’odio che qualcuno continua a tollerare». Nel testo si ribadisce che «la violenza si argina isolando i facinorosi, non strizzando loro l’occhio. La condanna unanime resta, per certa sinistra, ancora un esercizio difficile. Non ci intimidiscono. Non ci hanno mai intimidito». Anche la Lega ha espresso immediatamente la sua solidarietà al presidente del Consiglio. «Una frase aberrante, una minaccia di morte tutt’altro che velata. Auspichiamo una condanna unanime e bipartisan. Un clima d’odio inaccettabile che non può essere minimizzato», ha commentato Andrea Crippa, deputato toscano del Carroccio.
«Un gesto vile che conferma un clima di odio politico sempre più preoccupante. Da tempo denuncio questa deriva: nessun confronto può giustificare incitamenti alla violenza», commenta il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Parole di vicinanza e di condanna anche da parte del ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli: «Un gesto intimidatorio inaccettabile».
«Ha ragione il ministro Crosetto: c’è il rischio di trovarsi da un giorno all’altro con le Brigate rosse 4.0 se si continuerà a minimizzare l’offensiva di violenza dell’estrema sinistra», sostiene il capo dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Piena solidarietà al Presidente del consiglio Giorgia Meloni per la scritta minacciosa», commenta Paolo Barelli (Fi): «È indispensabile uno stop immediato a questo clima avvelenato: serve una condanna unanime e trasversale, e occorre abbassare i toni per riportare il dibattito pubblico entro i confini del rispetto».
Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, si tratta di un fatto «gravissimo che va condannato senza ambiguità: evocare le Brigate rosse significa richiamare una stagione buia che l’Italia non vuole e non deve rivivere». Solidarietà anche da Maria Stella Gelmini .
Durissima la presa di posizione dell’Osservatorio nazionale Anni di Piombo per la verità storica, che parla di «atto infame» e di un gesto che «evoca la stagione del terrorismo e delle esecuzioni politiche».
Giornaliste italiane esprime «la più ferma condanna» per il gesto invitando «tutti i colleghi giornalisti, i media, le forze politiche, i rappresentanti della società civile a condannare e non far calare il silenzio su un episodio che colpisce le nostre istituzioni. Contribuire, ciascuno nel proprio ambito, alla costruzione di un clima pubblico rispettoso, lontano da logiche che alimentano tensioni e contrapposizioni assolute è una responsabilità che coinvolge tutti». Da Pd, Avs e M5s silenzio assoluto.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa dell'8 dicembre con Carlo Cambi
È stata confermata in appello la condanna di primo grado pronunciata nei confronti di Mario Roggero (Ansa)
Nel 2015 Roggero subì una rapina devastante. «Naso, tre costole, operato alla spalla destra il mese dopo, oltre 6 mesi di terapia molto dolorosa», racconta ora davanti alle telecamere del programma condotto da Mario Giordano su Rete 4. «Mi hanno aggredito con una tale aggressività che non ho potuto fare niente. Erano due picchiatori e mi hanno sopraffatto completamente». È il passaggio che demolisce la lettura della Corte, secondo cui nel 2021 Roggero avrebbe «agito con la stessa modalità del 2015». Il gioielliere commenta: «Penoso. Ma stiamo scherzando?». Nel 2015 fu massacrato da due individui che continuarono a picchiarlo quando era a terra. «Chiunque ha visto il video di quella rapina», aggiunge Roggero, «è rimasto profondamente impressionato». E infatti le immagini mandate in onda mostrano un’aggressione brutale, con l’uomo inerme a terra e sangue ovunque. Una scena che per Roggero è trauma puro. Ma per i giudici non è ammissibile che un uomo massacrato nel 2015, che vive un dramma simile nel 2021, abbia reazioni difensive. Il salto di cornice che Roggero mette in evidenza è questo: nel 2015 non si difende, viene pestato, finisce in ospedale. Risultato: innocente, vittima. Nel 2021 reagisce, neutralizza chi minaccia con la pistola e fugge. Risultato: imputato, condannato, trattato da aggressore. Roggero fotografa senza filosofia: «Le vere vittime siamo noi».
Lui lo dice in modo semplice: «Con la pistola in alto non avrei sparato, ma quando lui me la punta in faccia, me la punta in fronte, che faccio?». L’ultimo passaggio delle sue parole è dedicato alla Suprema corte. Sembra un atto di fede laica: «Per la Cassazione», dice Roggero, «si presuppone e si spera che abbiano buon senso i giudici». Per comprendere il percorso dei giudici d’Appello, bisognerà attendere le motivazioni. Già in primo grado, però, era emersa una doppia narrazione: con Roggero nel ruolo di vittima durante la rapina e di aggressore fuori dal negozio. La moglie ha riferito che uno dei rapinatori, «soggetti con plurimi precedenti penali per reati contro il patrimonio» riconoscono i giudici, dopo averla colpita al volto le puntava il coltello al collo e minacciava di uccidere tutti. Alla figlia erano stati legati i polsi dietro la schiena. Roggero ha riferito che il rapinatore gli ha puntato la pistola in faccia, urlando «ti ammazzo». Entrano, lo afferrano, lo spingono verso il registratore di cassa. Lo portano nella zona ripresa dalle telecamere e, mentre afferra il rotolo dei gioielli, l’altro continua a strattonarlo. Poi lo spostano nell’ufficio in cui c’è la cassaforte. Lui ha ancora l’arma puntata alla testa. La scena non dura pochi secondi. Va avanti finché il gioielliere, approfittando di un attimo di distrazione, riesce a schiacciare il pulsante dell’allarme antirapina. Uno dei malviventi se ne accorge e torna verso la cassa. Roggero sente di nuovo la moglie urlare. Riesce a prendere la sua pistola e a spostarsi nel retro. Un gesto istintivo, dettato, dirà in aula, dalla convinzione che la moglie fosse stata presa in ostaggio. I giudici evidenziano anche che la famiglia «è stata sicuramente vittima di una rapina connotata da uso di armi e anche dai citati atti di violenza fisica; condotte che hanno sicuramente generato una forte e comprensibile paura nelle vittime». Fuori c’era un’auto parcheggiata. Ed è a questo punto che la Corte introduce un teorema: quando i rapinatori escono dal negozio, con armi e refurtiva, il pericolo svanisce. Quando si tratta di qualificare la reazione di Roggero all’esterno, i rapinatori diventano di colpo soggetti in fuga, innocui e vulnerabili. Per i giudici, «ha deliberatamente deciso di affrontare i rapinatori con il precipuo fine di assicurarli, lui, alla giustizia, o meglio alla sua giustizia privata, con immediata “esecuzione” della pena nei confronti dei colpevoli». La prova? Da ricercare, secondo i giudici, in alcune interviste, non perfettamente allineate alla ricostruzione giudiziaria, rilasciate dal gioielliere a giornali e tv dopo i fatti. L’azione, in primo grado, è stata giudicata punibile con 17 anni di carcere. Ora lo sconto di pena: 14 anni e 9 mesi (più 3 milioni di euro richiesti dalle parti offese). «Praticamente un ergastolo per una persona di 72 anni», aveva detto Roggero in udienza. E a Fuori dal coro ha aggiunto: «C’è qualcosa che non quadra».
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