Il musicista Olivier Latry, titolare dello strumento sopravvissuto al rogo del 15 aprile 2019: «Tornerà nel 2024, ma l’acustica non sarà più la stessa. Il nostro non è un un lavoro, ma servizio: siamo il ponte tra chi ascolta e l’altro mondo».
Il musicista Olivier Latry, titolare dello strumento sopravvissuto al rogo del 15 aprile 2019: «Tornerà nel 2024, ma l’acustica non sarà più la stessa. Il nostro non è un un lavoro, ma servizio: siamo il ponte tra chi ascolta e l’altro mondo».Il rogo che divampa tra i ponteggi. Le fiamme che conquistano il tetto della cattedrale e riducono in cenere la «foresta di legno». La lotta impari tra i pompieri parigini e la colonna di fuoco che risveglia i fantasmi dell’11 settembre e l’incubo del crollo delle due torri. Sono passati tre anni dall’incendio di Notre Dame, ma sembrano molti di più. Anche perché nel 2019 nessuno si sarebbe sognato di indossare una mascherina o di ipotizzare - a parte papa Francesco - una terza guerra mondiale.È alle 18.50 del 15 aprile che il mondo si ferma. La prima nuvola di fumo nero che si alza dal cantiere dei restauri del capolavoro gotico non lascia dubbi: uno dei più importanti simboli della cultura occidentale è stato colpito. Ed è chiaro a tutti che si tratta di una catastrofe. Meno di due ore dopo, mentre sul ponte della Tournelle i fedeli pregano in ginocchio, l’imponente guglia di 500 tonnellate brucia come un fiammifero e collassa su sé stessa, in mondovisione.Da una camera d’albergo di Vienna, Olivier Latry, organista titolare della cattedrale, è pietrificato davanti alla tv. Si trova in Austria per l’incisione di un disco, ma fino a tarda notte assiste all’impresa dei vigili del fuoco che - si scoprirà poi - si ritrovano all’inferno, ma devono combattere con truppe e mezzi inadeguati. Alle 4 del mattino il peggio è evitato: la chiesa madre dell’arcidiocesi di Parigi non crollerà. «Ancora 20 minuti d’incendio e non sarebbe rimasto nulla», ci rivela Latry. A cominciare dal grande organo del XV secolo. Uno strumento unico al mondo, con 7.952 canne, 132 registri, cinque tastiere e pedaliera, continuamente perfezionato durante la storia. E già sopravvissuto all’esondazione della Senna (1910), ma soprattutto alla volontà di essere fatto a pezzi alla fine del Settecento dai capi della Rivoluzione francese. La leggenda narra che l’organista dell’epoca ne evitò la fine suonando La Marsigliese per placare l’ira dei rivoluzionari. Olivier Latry davanti al grande organo nella Cattedrale di Notre DameAnche questa volta l’organo principale è riuscito a cavarsela solo con qualche ammaccatura. Come se lo spiega?«A volte i miracoli accadono. Si sono salvati anche i rosoni, l’altare maggiore, le reliquie e la statua della Vergine (Notre Dame de Paris, la scultura trecentesca davanti alla quale, nel 1886, si convertì il poeta Paul Claudel, ndr). I vigili del fuoco hanno utilizzato migliaia di litri d’acqua, tanto che i gargoyl della chiesa hanno rigettato fuori tutto per quattro giorni. Eppure le candele davanti alla Madonna sono state ritrovate accese…».Da quel giorno lei è orfano della cattedrale e del suo organo. Ha più avuto modo di suonarlo?«Non è stato possibile. Sono entrato a Notre Dame subito dopo l’incendio. Lo strumento aveva raggiunto temperature elevatissime, cenere e polvere di piombo erano ovunque. Fortunatamente però l’acqua aveva lambito solo un paio di canne. Poi lo strumento è stato smontato ed è iniziato il restauro».Quando tornerà al suo posto?«L’obiettivo è il 2024, anno in cui la stessa cattedrale dovrebbe tornare alla sua vita normale, anche se per la parte esterna servirà altro tempo».Com’è stato possibile secondo lei questo disastro? Il destino, l’errore umano o altro?«Non riesco a spiegarmelo, ma la storia dei monumenti passa anche attraverso le catastrofi. Come è avvenuto in Italia con la Fenice di Venezia».L’acustica della chiesa secondo lei sarà la stessa?«Temo di no. Gli esperti mi dicono che non ci sono speranze. Il tetto è stato sfondato e ci sono stati molti interventi. Prima del rogo, le pietre della cattedrale avevano accumulato secoli di polvere. Toccava a noi farle cantare e rispondevano in modo speciale. Ora questa pellicola è stata rimossa e il risultato sarà diverso. Però le pietre potrebbero vibrare più di prima…».Si è discusso molto su come restaurare Notre Dame. I più critici hanno denunciato il rischio di snaturare la cattedrale, trasformandola in una location alla Walt Disney. «Credo che questo rischio ci sia stato all’inizio, quando alcune archistar hanno proposto idee bizzarre come giardini e piscine sul tetto. Basta non perdere di vista l’essenza del monumento e tutto ciò svanisce: Notre Dame è innanzitutto una chiesa. E anche un patrimonio dell’Unesco, per cui non può essere snaturato».Perché il grande organo di Notre Dame è unico? «Si tratta di uno strumento trascendentale con una tavolozza di colori, di volumi e di dinamiche che non ha eguali. Mi piace pensare che il respiro di Dio abbia questo suono».Cosa intende?«Una nota sul pianoforte è destinata a svanire in breve tempo, anche se il tasto resta premuto. Questo non accade sull’organo, dove il suono può durare all’infinito. È uno strumento che ha già in sé l’idea dell’eternità. E la massa sonora viene costruita con una combinazione quasi infinita di registri, in una moltitudine di voci che canta una sola cosa, come avviene nella Chiesa. A Notre Dame l’effetto è ancora più incredibile perché il fedele che istintivamente alza lo sguardo non vede lo strumento, ma la grande vetrata. E viene illuminato dalla musica e dai colori».Per lei non si tratta solo di una prestazione artistica...«Sono un credente e penso che tutti gli artisti credano in Dio, anche se non lo sanno. Se uno ha la fortuna di suonare l’organo di Notre Dame capisce che c’è qualcosa di più grande. L’organista è il ponte tra chi ascolta e l’altro mondo. Quindi più che un lavoro è un servizio».Nel box che contiene tutte le sue incisioni per Deutsche Grammophon, c’è un brano di Olivier Messiaen, Combat de la mort et de la vie, che rischia di atterrire l’ascoltatore. «L’organo può fare questo effetto più di qualunque altro tipo di strumento. Anzi, direi che con quella mole di suono e di basse frequenze, spaventare è abbastanza semplice. Ma di questa potenza non bisogna abusare». Messiaen, genio della composizione contemporanea, di lei disse: «Latry è il nuovo Marcel Dupré…».«Lo conobbi tardi, ma fu un grande maestro che mi incoraggiò e aiutò in tutti i modi. Diventare l’organista titolare di Notre Dame a 23 anni, insieme a Philippe Lefebvre e Vincent Dubois, ha voluto dire assumersi una bella responsabilità…». Grande libertà di improvvisazione e possibilità di spaziare nel repertorio, arrivando fino alla musica colta contemporanea. Questi due aspetti difficilmente hanno lasciato indifferente chi ha potuto ascoltare l’organo di Notre Dame prima dell’incendio.«È così e in Francia, a differenza di altri posti nel mondo, è piuttosto normale. Durante una celebrazione posso improvvisare partendo dalle parole del sermone o da una melodia di Bach o di Mozart che ho in mente. Dipende dall’atmosfera che voglio creare. Negli Stati Uniti, ad esempio, è diverso: ho saputo che un collega ha perso il posto dopo aver suonato Messiaen». Su Youtube si può rivedere la sua interpretazione della Marsigliese durante la celebrazione in memoria delle vittime del Bataclan. Cosa voleva esprimere?«L’idea mi è venuta la notte prima, ma avevo molti dubbi. Poi ho visto il tricolore francese proiettato sulla statua della Madonna e ho pensato che fosse un segno. L’improvvisazione è un percorso dalla tragedia alla gloria durante l’offertorio, il momento in cui abbiamo messo ai piedi di Dio tutta la sofferenza della nostra nazione».
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?







