Le quattro ruote sono più sicure dei mezzi pubblici ma servono incentivi per il settore, che era in crisi già da tempo. Le quotazioni di molte aziende si sono dimezzate: chi compra adesso può fare un affare.
Le quattro ruote sono più sicure dei mezzi pubblici ma servono incentivi per il settore, che era in crisi già da tempo. Le quotazioni di molte aziende si sono dimezzate: chi compra adesso può fare un affare.Il settore automobilistico è stato fra i più colpiti dal lockdown, con cadute delle vendite in tutto il mondo. E anche per la fase 2 gli scenari sono molto dibattuti.«Dal punto di vista borsistico», fa notare Salvatore Gaziano, direttore investimenti di Soldiexpert scf, «l'indice automobilistico europeo ha perso il 33% e anche negli Stati Uniti i colossi del settore sono arrivati perfino a dimezzare le quotazioni. Il momento in effetti è duro: un fermo impianti e zero ricavi per aziende con costi fissi molto elevati rischia di mandare in default il settore, tanto che Ford motor company (il cui titolo a Wall Street si è quasi dimezzato), per raccogliere 8 miliardi di euro con un'emissione obbligazionaria, ha dovuto offrire un tasso di rendimento di circa il 9-9,5%. Il tasso è così alto perché il titolo ha perso il rating “investment grade" ed è considerato alla stregua dei titoli “spazzatura"».In Italia la stessa Unrae (l'associazione delle case automobilistiche estere ) non sa definire uno scenario futuro, dopo che nel 2019 il settore si è mostrato debole con vendite in crescita dello 0,3% grazie soprattutto alla forte spinta del noleggio a lungo termine e alle vendite di modelli a chilometro zero.«Su cosa potrà accadere nella fase 2», continua Gaziano, «ci sono pareri molto discordanti e alcune ricerche, come quella commissionata a Ipsos su un campione di consumatori cinesi (il primo mercato automobilistico al mondo e il primo Paese a essere entrato nella fase 2 qualche settimana fa), dicono che a livello di intenzioni l'auto ritorna al primo posto come soluzione di mobilità superando gli autobus e le metropolitane (erano al primo) e le due ruote (al secondo). Viaggiare da soli sarà considerato maggiormente un “guscio" protettivo e quindi meno rischioso per l'assenza di contatti con altre persone. In tanti ripenseranno il modo in cui si muoveranno in futuro. E ciò potrebbe far crescere il desiderio di acquistare un'auto».In Cina però molti non possiedono ancora una macchina e sono al primo acquisto mentre nel Vecchio e Nuovo Continente saranno le tasche dei risparmiatori (che in questo momento pensano a mettere «fieno» in cascina soprattutto con la quota di soldi sui conti correnti che stanno salendo ovunque) a determinare le scelte: senza incentivi significativi è difficile pensare che il primo pensiero dei consumatori sarà acquistare un'auto nuova o rinnovare il parco auto.In Germania secondo il ministro federale dell'economia Peter Altmaier, la protezione del clima non dovrebbe essere trascurata in caso di possibili stimoli all'industria automobilistica a causa della crisi del coronavirus. «Dobbiamo anche aiutare l'industria automobilistica a sopravvivere alla crisi economica globale», ha dichiarato e «questo è possibile solo con soluzioni nuove e innovative che alla fine ci portano anche a raggiungere gli obiettivi climatici del governo federale più velocemente e meglio». Non è un caso, infatti, che ci siano titoli che, nonostante la crisi che sta affossando il settore, operano ancora in territorio positivo. È il caso ad esempio di Toyota, colosso automobilistico giapponese che da tempo punta sull'ibrido e sulle basse emissioni di anidride carbonica. In tre anni e con i chiari di luna degli ultimi mesi il titolo è salito del 12,3%. Lo stesso vale per Piaggio, società che ha puntato sulla mobilità urbana e che è salito del 16,3%. Anche Fca, in un settore dove il segno meno la fa da padrone, in tre anni ha ceduto solo l'1,8%.Ci sono però altri titoli che secondo gli esperti sono destinati a risalire la china in fretta. Brembo, ad esempio, in 36 mesi ha perso il 45% a causa della produzione ridotta di questi tempi. Non appena però le fabbriche torneranno a funzionare le azioni dovrebbero tornare a salire. I più scaltri potrebbero decidere di puntare su questo titoli comprandolo a prezzo di saldo. Lo stesso vale per il Lyxor stoxx Europe 600 aurt & parts etf. Nonostante un crollo del 34,3% in tre anni, è molto probabile che con la fase 2 si inizierà a vedere una risalita.
Francesco Zambon (Getty Images)
Audito dalla commissione Covid Zambon, ex funzionario dell’agenzia Onu. Dalle email prodotte emerge come il suo rapporto, critico sulle misure italiane, sia stato censurato per volontà politica, onde evitare di perdere fondi per la sede veneziana dell’Organizzazione.
Riavvolgere il nastro e rivedere il film della pandemia a ritroso può essere molto doloroso. Soprattutto se si passano al setaccio i documenti esplosivi portati ieri in commissione Covid da Francesco Zambon, oggi dirigente medico e, ai tempi tragici della pandemia, ufficiale tecnico dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Di tutte le clamorose notizie diffusamente documentate in audizione, ne balzano agli occhi due: la prima è che, mentre gli italiani morivano in casa con il paracetamolo o negli ospedali nonostante i ventilatori, il governo dell’epoca guidato da Giuseppe Conte (M5s) e il ministro della salute Roberto Speranza (Pd) trovavano il tempo di preoccuparsi che la reputazione del governo, messa in cattiva luce da un rapporto redatto da Zambon, non venisse offuscata, al punto che ne ottennero il ritiro. La seconda terribile evidenza è che la priorità dell’Oms in pandemia sembrava proprio quella di garantirsi i finanziamenti.
Quest’anno in Brasile doppio carnevale: oltre a quello di Rio, a Belém si terrà la Conferenza Onu sul clima Un evento che va avanti da 30 anni, malgrado le emissioni crescano e gli studi seri dicano che la crisi non esiste.
Due carnevali, quest’anno in Brasile: quello già festeggiato a Rio dei dieci giorni a cavallo tra febbraio e marzo, come sempre allietato dagli sfrenati balli di samba, e quello - anch’esso di dieci giorni - di questo novembre, allietato dagli sfrenati balli dei bamba che si recheranno a Belém, attraversata dall’equatore, per partecipare alla Cop30, la conferenza planetaria che si propone di salvarci dal riscaldamento del clima.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.










