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Bimbo in ospedale (iStock)
Mentre Marco era in comunità la donna ha chiesto più volte che fosse visto da un medico, ma le dicevano che stava bene.
Un bimbo di 9 anni sta combattendo contro un tumore maligno senza poter avere la mamma al suo fianco. I sintomi del piccolo sarebbero stati trascurati per mesi, mentre sulla vita sua e del fratello di 10 anni si esercitava una violenza fatta di allontanamenti dalla madre ritenuta troppo ostativa nei confronti dell’ex compagno, chiusure in comunità, affidamenti al padre di cui si sospettano abusi sessuali. Intanto il medulloblastoma, tumore primario del sistema nervoso centrale a crescita rapida, si diffondeva e diventava maligno. «Chiedevo che mio figlio venisse visitato, ma il tribunale respingeva tutti i miei ricorsi dicendo che i bambini stavano bene perché il servizio sociale così relazionava, quando invece non era conforme alla verità», spiega la signora Giovanna (nome di fantasia). La storia di Marco e Luca, altri nomi di fantasia, sottratti due volte alla madre nel corso di un complesso iter giudiziario (...) di separazione, è la drammatica conferma di come il bene dei minori non sia affatto la priorità, la regola costante alla quale si attengono servizi sociali e magistratura.
Una vicenda cominciata nel novembre del 2019, quando la signora lascia Venezia e il suo compagno per tornare nella nativa Brescia assieme ai figlioletti. Sospetta abusi sessuali, vengono avviate una causa civile e una penale che finiscono archiviate, però inizia il calvario dei bambini che devono sottostare alle disposizioni più assurde e contraddittorie quanto alla loro collocazione.
Nel novembre del 2022, dopo un anno di insistenza, il padre di Marco e Luca ottiene il prelievo coattivo dei figli. «C’è il verbale in cui lui chiede esplicitamente questa cosa, perché dice che era necessario per riavvicinarli a lui», racconta alla Verità la mamma Giovanna. Il prelievo forzato dei bimbi fu documentato dal servizio di Raffaella Regoli nella puntata di Fuori dal coro del 29 novembre 2022, su Rete4.
Immagini tremende, dei fratellini barricati in casa pieni di paura mentre una trentina tra vigili del fuoco, poliziotti e assistenti sociali buttano giù la porta di casa, con i nonni attoniti che non riescono a impedire tanta violenza e la mamma a terra, ammanettata perché non lasciava che i figli venissero via in un blitz da cattura di camorristi.
I bimbi non erano in grave pericolo di vita, una simile modalità di «presa in carico» era contro la legge, eppure quelle creature furono vittime, oltre che del difficile clima familiare, anche della furia giudiziaria che dispose ben due volte l’allontanamento dei bimbi. Quando i piccoli sembravano poter vivere con la mamma, in base a un decreto che annullava il precedente, nell’ottobre del 2024 vennero prelevati da scuola e collocati nuovamente in casa famiglia. Addirittura in due strutture diverse, immaginiamoci la sofferenza di quei piccoli.
Da quel momento Marco ha presentato problemi di salute, con un primo accesso in pronto soccorso. I disturbi «sarebbero stati attribuiti al trauma da separazione e considerati di natura psicosomatica - da trattare quindi con terapia psicologica - e non sarebbero state effettuate tempestive visite mediche», afferma Marina Terragni, autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, intervenendo sulla vicenda. Intanto, dal 31 luglio di quest’anno i fratellini vengono collocati presso il padre, secondo decisioni che nemmeno a parole sembrano volere il bene di minori. Infatti, a inizio 2025 i bambini erano stati finalmente sentiti da due psicologi e psicoterapeuti, i quali avevano dichiarato che probabilmente avevano subito abusi ed erano in uno stato di «pericolo».
La mamma lo scopre solo a giugno di quest’anno, dice, entrando in possesso di un documento del servizio di Neuropsichiatria della Aulss3 di Venezia che però non è mai stato segnalato né alla Procura né alla Corte d’Appello di Venezia, dove era in corso il procedimento di revocazione per la custodia dei bambini. Finita come abbiamo ben visto, malgrado la signora sia uno dei 36 casi esemplari di vittimizzazione secondaria denunciati nel 2022 dalla Commissione parlamentare di inchiesta del Senato sul femminicidio.
Il 25 ottobre scorso, dopo un altro accesso al pronto soccorso, mamma Giovanna riceve una telefonata dal padre dei suoi figli che le comunica le condizioni di Marco. Sta molto male, gli verrà diagnosticato un medulloblastoma di grado IV, il più maligno. I sintomi possono includere mal di testa, nausea, vomito, visione offuscata e doppia, proprio quello di cui per mesi soffriva il bambino e che tanto aveva allarmato la signora.
«Mentre erano in comunità potevo avere solo incontri protetti una volta la settimana. Avevo chiesto che venissero videoregistrati, a tutela mia e dei bambini. In alternativa avevo chiesto la presenza dell’avvocato, mi è stato rifiutato tutto perché hanno detto che dovevo fidarmi. Non ho potuto vederli. Ma sapevo che Marco stava male».
La signora non riesce a vederlo nemmeno adesso che gli è stato tolto il tumore. «Una massa di cinque centimetri, deve fare la chemio. Il referto dice che non riesce più a camminare, a parlare. Eppure io sarei autorizzata solo ad avere incontri protetti».
Una cosa inaudita, che richiede l’intervento immediato di un giudice. L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza «auspica a tutela del bambino e in base a principi di elementare umanità che alla madre sia consentito di fargli visita». Così pure che si accerti «se vi siano effettivamente stati negligenze e ritardi […], se i servizi sociali e la struttura in cui il bambino era collocato abbiano efficacemente tutelato la sua salute» e se l’iter giudiziario «presenti eventuali irregolarità».
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Zerocalcare (Ansa)
La presenza di Passaggio al bosco alla fiera dell’editoria manda al manicomio i compagni: Zerocalcare annulla (di nuovo) l’impegno, Berizzi chiede di ampliare la lista dei reprobi. E i pro Pal attaccano Emanuele Fiano.
Quando non sanno più come cavarsela, boicottano, per via dell’antica regola per cui li si nota di più se non vanno. La parte di quello che si tira indietro tocca a Zerocalcare (a cui si è accodato l'assessore romano Massimiliano Smeriglio): «Ciao, purtroppo non sarò alla fiera romana Più libri più liberi», ha scritto. «Purtroppo ognuno c’ha i suoi paletti, questo è il mio. Quando l’ho deciso, quindici anni fa, mi pareva semplicissimo da applicare. Oggi è una specie di campo minato. Penso che questo ci costringa a rifletterne insieme, di più, e in modo più efficace. Gente a cui voglio bene ha fatto scelte diverse, sono sicuro che sapranno far sentire le loro voci e faccio il tifo per loro».
Anche lo scorso anno era andata così: il fumettista rinunciò alla kermesse perché tra gli invitati c’era il filosofo Leonardo Caffo, coinvolto in una vicenda di maltrattamenti domestici per cui è stato condannato (in primo grado, in attesa di ulteriori passaggi: lui ha sempre definito ingiusta la condanna). Altri seguirono e ne scaturì una faida tutta interna alla sinistra. Quest’anno se non altro per i compagni della cultura la faccenda è più lineare, nel senso che non debbono salire sul piedistallo e prendere le distanze da qualcuno proveniente dal loro mondo: stavolta si tratta di fare gli antifascisti, e di protestare contro l’inclusione dell’editore Passaggio al bosco nella manifestazione libraria. La casa editrice è di destra estrema, dicono, dunque non può partecipare. Motivo per cui si sono tutti messi in fila a firmare l’appello rivolto all’Associazione italiana editori, chiedendo la rimozione del marchio sgradito.
Per fortuna, almeno finora, l’Aie ha tenuto botta, ma in contemporanea si è scatenato il consueto psicodramma progressista. Ciascuno degli antifascisti di professione sta cercando di farsi notare sparandola grossa e alzando il più possibile l’asticella. Insomma è partita la gara a chi è più puro. Paolo Berizzi, fascistologo di Repubblica, si è scatenato contro Passaggio al bosco e ha rilanciato segnalando un altro marchio da censurare, ovvero Idrovolante edizioni. A questo punto, tanto verrebbe cambiare il nome della manifestazione in Più libri, più censura. O Meno libri più liberi, come gli amici sinistrorsi preferiscono. Berizzi tuttavia è superato a sinistra dai portavoce di Red Star Press, casa editrice dichiaratamente comunista, come si evince dal nome. I ragazzi della stella rossa non diserteranno la fiera come Zerocalcare, rimarranno al loro posto e rilanciano: i fascisti a loro fanno schifo, dicono, ma non è che i democratici siano poi tanto meglio. «Fa davvero specie che l’ex deputato dem Emanuele Fiano, presidente di Sinistra per Israele, si stupisca di presenze come quella di Passaggio al bosco a Più libri più liberi», scrivono sui social. «Assumendo come reale lo stupore di Fiano, sarà bene far notare al politico del Pd come, nel corso del genocidio in Palestina, le posizioni più estremisticamente a favore di Israele - i sionisti non abbiano fatto altro che trovare nella destra e nell’estrema destra i propri alleati più fedeli. II risultato, oltre all’impunito massacro di decine di migliaia di palestinesi, è stato anche un ulteriore spostamento a destra dell’asse politico dell’intero Occidente, dove i governi si sono ostinatamente rivelati sordi alle oceaniche manifestazioni che hanno continuato a rivendicare giustizia e libertà per la Palestina, preoccupandosi solo dei modi per silenziare le voci dissonanti, aggredendo le persone comuni, il nemico interno».
Capito? I fasci sono brutti, ma anche i sionisti della sinistra riformista fanno un po’ ribrezzo. Queste prese di posizione non stupiscono: quando parte la corsa all’epurazione c’è sempre qualcuno che si sente più puro degli altri e pensa di poter determinare chi debba parlare e chi no. Anche ai sinceri democratici tocca stare attenti, perché in assenza di destra sono loro i primi a passare per fascisti. Fiano ne sa qualcosa, visto come hanno cercato di zittirlo nelle aule universitarie, e in teoria chi subisce censura dovrebbe essere il primo a reclamare la libertà di parola per tutti. Ormai però sappiamo da tempo immemore che per i progressisti tale libertà vale a corrente alternata. I giornali liberal che strepitano contro Passaggio al bosco sono, per dire, gli stessi che prendono le difese dell’imam piemontese Mohamed Shahin, beccato a dichiarare in piazza che il 7 ottobre non c’è stata violenza né qualche tipo di violazione. Del predicatore invasato si vogliono tutelare pensiero e espressione, e a sinistra si giustificano pure (anche se con qualche distinguo) le intemerate di Francesca Albanese. C’è persino chi, come Annalisa Cuzzocrea di Repubblica, straparla in merito all’aggressione dei centri sociali alla Stampa e sostiene che gli antagonisti abbiano attaccato il giornale sbagliato. In buona sostanza nel variegato universo progressista ciascuno, in base alle sue convinzioni, si riserva il diritto di mettere il bavaglio a questo o a quell’altro. La possibilità di confrontarsi con l’altro e ascoltarne le ragioni, magari solo per confutarle, non è minimamente presa in considerazione. Si chiede la censura, si fa di tutto per oscurare, e se non ci si riesce, ci si leva di torno per non mescolarsi con gli sgradevoli inferiori: sia mai che si rischi di farsi sfiorare da qualche idea che possa riempire il vuoto mentale pneumatico.
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(Ansa)
Passeggeri della metro di Milano picchiati e rapinati, o scippati in tempo record (due minuti) da giovani nordafricani già autori di altri reati simili, uno dei quali nuovamente arrestato ad una decina di giorni dall’ultima aggressione. È lo scenario dell’indagine della Polizia di Stato che ha portato all’arresto di cinque soggetti, tutti egiziani. Il video.
L’attività, eseguita dal Commissariato Greco-Turro, è stata coordinata dalla Procura della Repubblica e dalla Procura per i Minorenni di Milano, tramite misure cautelari e fermi. Venerdì 21 novembre, i poliziotti hanno infatti sottoposto a fermo due 22enni. Nel corso della settimana, inoltre, gli agenti hanno eseguito un’altra ordinanza nei confronti di tre giovani di 15, 20 e 22 anni.
Il 22enne destinatario di quest’ultimo provvedimento è anche uno dei due indagati fermati il 21 novembre per la rapina avvenuta a Caiazzo una decina di giorni prima.
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Anna Gallucci e Roberto Scarpinato (Imagoeconomica)
Il giornale tenta di scaricare sulla pm il fallimento di «Voto connection». Senza riuscirci.
L’attacco alla pm Anna Gallucci sul Fatto quotidiano continua. La donna, in un’intervista alla Verità, ha avuto l’ardire di riferire ciò che il suo ex capo alla Procura di Termini Imerese, Ambrogio Cartosio, le avrebbe detto sull’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato. E cioè che quest’ultimo, per quanto riguardava l’inchiesta Voto connection, condivideva la decisione di chiedere la misura di custodia cautelare per due esponenti leghisti e l’archiviazione per i rappresentanti del centrosinistra.
Tra i nomi più significativi del campo progressista c’era Giuseppe Ferrarello, ras delle preferenze, tuttora sotto processo. Nell’articolo del Fatto di ieri, l’articolista prova a scaricare sulla pm la responsabilità per il fallimento della nota indagine sul voto di scambio, a partire dal proscioglimento dei due uomini vicini al Carroccio, addebitando alla Gallucci l’effettuazione di intercettazioni poi dichiarate inutilizzabili. Il cronista, oltre a non ricordare che Ferrarello non è stato archiviato e resta alla sbarra, afferma che la sentenza di «non luogo a procedere» del gup è del giugno 2021 senza tuttavia precisare che le intercettazioni furono richieste dalla Gallucci e autorizzate dal gip negli anni 2018 e 2019 mentre la cosiddetta sentenza Cavallo delle sezioni unite della Corte di cassazione, che ha sancito l’inutilizzabilità delle captazioni disposte in altri procedimenti, è stata depositata il 2 gennaio 2020. Ma ciò che ha dichiarato alla Verità la Gallucci nulla ha a che fare con tali profili tecnici, evidentemente non ben compresi, che hanno condotto ad assoluzioni generalizzate non soltanto a Termini Imerese, ma in tutti i tribunali della Penisola che avevano, fino a quella data, utilizzato le intercettazioni a prescindere dal procedimento nel quale erano state disposte. Per estenderne l’uso ad altri fascicoli bastava perseguire reati puniti con pena superiore ai cinque anni. La Gallucci ha sollevato il problema dell’indipendenza interna del pubblico ministero, vale a dire del rapporto tra il pm titolare delle indagini e il dirigente dell’ufficio, che spesso interviene sulle scelte di merito orientando le indagini «a destra o a sinistra», spesso senza conoscere gli atti e senza che questa cattiva abitudine venga mai sottoposta al vaglio del Csm e dei Consigli giudiziari, avallando quella prassi che ha consentito l’isolamento e la punizione dei magistrati «non allineati» e il riconoscimento di meriti e promozioni ai dirigenti allineati al pensiero dominante che nella magistratura, anche in quella apparentemente moderata, si identifica con la sinistra giudiziaria antileghista e antiberlusconiana.
La Gallucci ha denunciato tale tendenza subita, nel silenzio, da tutti i pubblici ministeri che ben sanno quali siano le regole auree per continuare la propria vita professionale senza scossoni e, magari, ottenere le agognate promozioni assicurate ai fedeli osservanti del suddetto pensiero dominante.
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