Pedro Sánchez (Ansa)
I socialisti del premier crollano alle elezioni regionali. Vola Vox: exploit al 17%.
Per il Psoe, crollato al 26% in una delle roccaforti socialiste della Spagna mentre i partiti di destra hanno ottenuto il 60% dei voti, le elezioni in Estremadura sono state un totale fallimento. ll Partito popolare (Pp) si è affermato come principale forza politica alle regionali di domenica (43,2%) e con un solo seggio in più, raggiungendo quota 29, ha ampliato il suo vantaggio sul partito del premier Pedro Sánchez.
Ma la scossa più forte alla sinistra istituzionale è stata data da Vox: con il 17% dei voti, cresciuto da 5 a 11 seggi, diventa il secondo partito a Badajoz, la città più grande della Regione autonoma, davanti al Psoe che ha registrato il suo peggior risultato di sempre. Meno 10 seggi rispetto a due anni fa (da 28 a 18), una perdita di oltre 100.000 voti (da 242.659 a 136.017) e un calo di 15 punti percentuali di consenso (dal 39,9% al 25,7%).
In una Regione dove il Psoe aveva governato per 36 anni senza mai scendere al di sotto del 39% dei consensi, la sconfitta risulta pesantissima anche se era attesa, considerata l’ondata di scandali che ha travolto il premier assieme ad alcuni suoi fedelissimi e la paralisi del Parlamento. «È devastante», ha dichiarato il socialista Miguel Ángel Morales, presidente del Consiglio provinciale di Cáceres. Il candidato sconfitto, Miguel Ángel Gallardo, ieri si è dimesso dalla carica di segretario generale del Psoe in Estremadura.
L’attuale presidente e candidata del Pp, María Guardiola, con il 43,2% dei consensi guida il partito leader sebbene le manchino quattro seggi per raggiungere la maggioranza assoluta. Per governare ha bisogno del sostegno di Vox, il cui leader Santiago Abascal ha promesso che gli elettori «non saranno resi invisibili né traditi», dopo averlo votato in 89.360. C’è stato un raddoppio di consensi, nel 2023 la destra di Vox aveva ottenuto 49.342 voti (8,12%). Tra i messaggi concreti di Vox, la difesa della centrale nucleare di Almaraz (e relativi posti di lavoro) contro il green che non convince.
Le trattative per formare un governo in Estremadura si stanno rivelando, però, difficili: il presidente del Pp, Alberto Núñez Feijóo, vuole risultare l’unica opzione praticabile e aspetta i risultati delle prossime elezioni in Aragona, Castiglia e León e Andalusia per candidarsi come l’unica possibile alternativa alla Moncloa. La svolta a destra uscita dalle regionali di domenica è comunque un dato di cui dovrà tenere conto.
Su X Abascal ha scritto: «È il Pp che deve scegliere se stringere un patto con il Psoe per attuare politiche socialiste, se stringere un patto con Podemos per attuare il femminismo estremo di Irene Montero o se stringere un patto con Vox per realizzare il cambiamento che è stato rubato e tradito dalla signora Guardiola».
Per la presidente della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, il primo ministro è un «perdente» e un «perdente professionista» alle elezioni, ma Pedro Sánchez, intanto, fa finta di nulla. Ieri, dopo aver annunciato alcuni cambiamenti nel governo (la nuova portavoce Elma Saiz e il nuovo ministro per l’Istruzione, la Formazione professionale e lo Sport, Milagros Tolón), il premier ha rivendicato il ruolo del Psoe come «garante dei servizi pubblici, dell’uguaglianza e del progresso».
La realtà è che il partito del premier ha subito una sconfitta clamorosa e gli elettori, di diversi strati sociali che hanno votato a destra dimostrano la perdita di fiducia nel Psoe e nel suo leader, travolto dagli scandali e dall’inconcludenza. Eppure c’è chi vede nel crollo in Estremadura un’arma in più che Sánchez utilizzerà per restare disperatamente attaccato alla guida del governo.
Nel suo sbrigativo discorso di fine anno, il primo ministro sosteneva che non si possono tenere elezioni nazionali anticipate perché equivarrebbe ad aprire le porte della Moncloa «alla destra e all’estrema destra». Secondo Ricardo T. Lucas, opinionista di Expansión, «Sánchez sarà comunque in grado di presentarsi come il campione della resistenza progressista contro l’ascesa dell’estrema destra in tutta Europa». Bisogna vedere fino a quando l’elettorato stanco gli permetterà di prendere in giro gli spagnoli.
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Andrea Abodi (Ansa)
Si voterà per due giorni, al prossimo cdm la scelta su quale domenica-lunedì. Nel testo anche la semplificazione fiscale e la riforma del servizio civile universale.
Un cdm tranquillo senza nodi o questioni spinose poste sul tavolo. Oltre agli aiuti, infatti, non si è discusso anche della legge di Bilancio. «Un clima sereno» ha assicurato il ministro dello Sport e delle Politiche Giovanili Andrea Abodi in conferenza stampa, l’unico a presiederla. È un’altra la questione che sembra essersi posta ieri, silentemente. Dal cdm la decisione più importante è stata presa sul referendum. Le votazioni sulla riforma della Giustizia si svolgeranno in due giornate: domenica e lunedì. Così si legge tra le «disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2026».
È però interessante quello che non si legge in questo caso. Nessuna decisione è stata presa sul quando si andrà al voto e sembra che i giorni verranno stabiliti nel prossimo cdm. Singolare che non si sia fatto ieri vista la convocazione dell’ordine del giorno ed è da escludere che sul tema non ci sia sintonia interno alla maggioranza. L’ipotesi più accreditata è quindi che si vogliano evitare strappi con il Quirinale che preferirebbe si votasse con calma, senza fretta, in accordo con le istanze che arrivano dalla magistratura al capo dello Stato Sergio Mattarella che, urge ricordare, ricopre anche il ruolo di Capo del Csm.
Il governo intende incassare il più velocemente possibile il consenso che si è costruito attorno alla riforma della giustizia, sfruttare la sfiducia nei confronti delle toghe e cavalcare lo sdegno che è montato grazie al caso Garlasco e non solo. Prima si vota e meglio è; donare più tempo alle opposizioni rischierebbe di far perdere l’abbrivio. Più tempo, per altro, darebbe ai comitati del No l’opportunità di portare avanti la campagna elettorale in un momento in cui, è vero che i sondaggi danno avanti il sì, ma è anche vero che il consenso perde forza. L’obiettivo del governo è andare al voto il prima possibile cercando però di trovare la quadra col Quirinale in un momento in cui, evidentemente, si cerca di abbassare la tensione.
Tanti i punti all’ordine del giorno ieri a Palazzo Chigi. Procede la riforma del Fisco messa in campo dal viceministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Leo. «Si prosegue a passo spedito verso l’obiettivo della massima semplificazione».
Il cdm inoltre autorizza a Sogin S.p.a. l’operazione di acquisizione della partecipazione totalitaria di Deposito Avogadro S.p.a., che appartiene al gruppo Stellantis e che gestisce un ex reattore nucleare di ricerca sperimentale arrestato nel 1971.
A sedersi davanti alla stampa, come già scritto, ci ha pensato Abodi per illustrare il ddl di delega al governo in materia di politiche per i giovani e Servizio civile universale. Due le deleghe legislative: «Una per il riordino e il coordinamento delle politiche nazionali per i giovani e l’altra per una revisione complessiva della normativa sul servizio civile. Si tratta di interventi che consentono di recuperare la stratificazione legislativa di questi anni razionalizzando i due aspetti (politiche giovanili e Servizio civile)».
Al via anche la riforma dei Porti, cannibalizzati sempre più da asset stranieri. Nascerà Porti d’Italia Spa, una società pubblica partecipata dal ministero dell’Economia e delle Finanze e vigilata dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, chiamata a svolgere un ruolo di regia nazionale.
Sorprende poi la nomina Giuseppe Francesco Maria Marinello a Commissario straordinario del governo per gli interventi di restauro e valorizzazione dell’ex carcere borbonico dell’isola di Santo Stefano (Ventotene), un feticcio per la sinistra italiana. Attesi i rinnovi del capo del Mef Giancarlo Giorgetti per gran parte dei dirigenti. Arera invece cambia presidente: da gennaio 2026 ci sarà Nicola dell’Acqua.
Si può dire che ci si attendeva di più da questo cdm cui si arriva con evidente stanchezza. Inizia la fase più delicata del mandato, quella finale. Si chiudono i provvedimenti e le riforme più importanti, i partiti tornano in clima da campagna elettorale, anche quelli della maggioranza, in vista di un anno che si preannuncia esplosivo. Ed è per questo che all’inizio del cdm Meloni ai suoi ministri - ai quali ha regalato un pacchetto con un regalo ciascuno - ha detto: «Buon Natale a tutti, riposatevi...».
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Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.
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2025-12-22
Dagli antichi romani a Melegatti. Così il pandoro è diventato un dolce simbolo del Natale
(IStock)
La sua data di nascita è ufficiale: il 14 ottobre 1894 a Verona. Ma sugli «antenati» si discute ancora. Leggero al gusto più del panettone, è però molto «generoso» con le calorie.
Diciamolo subito. Ormai è diventata prassi la dicotomia team pandoro o team panettone: pensate che ci sono anche le magliette con queste scritte per dichiararsi dell’una o dell’altra fazione. Ma, dicevamo, diciamolo: esiste anche la terza via dei doppiostaffisti, o ecumenici, che dir si voglia, che apprezzano sia il panettone che il pandoro.
Senza il pandoro, così come senza il panettone, non sarebbe Natale. È però un fatto che il pandoro è considerato un di più, un elemento dolce ancillare del panettone. Se il pandoro può mancare sulla tavola natalizia, non lo può il panettone. In realtà questa subordinazione del pandoro al panettone è abbastanza ingiusta. Il pandoro non è un dolce meno saporito del panettone, da un punto di vista tecnico non è meno complesso e dal punto di vista gustativo come il panettone soddisfa il bisogno di abbondanza, così il pandoro soddisfa quello di leggerezza, offrendo al gusto un sapore univoco non complicato da sospensioni come sono le uvette e i canditi nel panettone tradizionale e tutte quelle che passano per la mente del creatore nel panettone di ricerca. E leggera è anche la consistenza, che ricorda più una torta, un pan di Spagna o una torta paradiso, più che un pane addolcito e (assai) lievitato come invece fa il panettone. Questa nettezza di gusto lo rende aperto ad abbinamenti estemporanei: tipico di bambini e golosi è il sandwich di pandoro che si realizza con due fette di pandoro e un ripieno dolce che può andare dalla tavoletta di cioccolato al torrone.
La storia anzi la probabile storia del pandoro ci porta indietro fino agli antichi Romani. Plinio il Vecchio, infatti, raccontando le abitudini culinarie dell’antica Roma parla di un panis preparato abitualmente con fior di farina, burro e olio da Virgilius Stephanus Senex. Marco Gavio Apicio parla di un pane da liberare della crosta e poi imbibire di latte, friggere e cospargere di miele, perciò dorato. Da questi esempi di panis dorato antico-romano secondo molti deriva il levà veronese, anch’esso un pane dolce, di occasione festiva, ma più dolce del suo avo, con tanto di copertura di glassa con mandorle. Pare che nella corte veneziana il levà, come altri dolci locali, fosse ricoperto di sottilissime foglie d’oro zecchino e perciò fosse chiamato pane de oro. Dal levà deriverebbe il nadalin, nome veneto del dolce natalino ossia di Natale che si chiamerebbe così proprio perché sarebbe nato a Natale del XIII secolo per festeggiare l’investitura dei Della Scala a Signori di Verona. Il nadalin presenta un impasto morbido, una cupola decorativa di crosticina e frutta secca e una forma a stella di otto punte. Dal 2012 è anche un prodotto De.Co. del Comune di Verona, con tanto di ricette ufficiali per le due versioni, quella con lievito di birra oppure quella con lievito madre.
Questi i presunti prototipi - finora - del pandoro. Zoomiamo, quindi, sul pandoro. Del pandoro come lo conosciamo oggi abbiamo una data ufficiale di nascita. È il 14 ottobre 1894, il giorno in cui il pasticcere Domenico Melegatti brevetta la ricetta e il nome del suo dolce, Pandoro, ottenendo poi l’attestato di privativa industriale del ministero di Agricoltura Industria e Commercio del Regno d’Italia qualche tempo dopo: il 20 marzo 1895 il ministero di Agricoltura Industria e Commercio del Regno d’Italia, infatti, rilascia l’«attestato di privativa industriale della durata di anni tre per un brevetto designato col titolo Pandoro (dolce speciale)». La nascita del Pandoro con tanto di data presenta anche una… annunciazione! E già, in perfetto calco del paradigma religioso natalizio di nascita precedentemente annunciata. Sul quotidiano veronese L’Arena del 21 e 22 marzo 1894 (sei mesi prima del brevetto) compare l’avviso pubblicitario di annuncio del prodotto: «Il Pasticcere Melegatti… avverte la benevola e numerosissima sua clientela di aver allestito un nuovo dolce per la sua squisitezza, leggerezza, inalterabilità e bel formato l’autore lo reputa degno del primo posto nomandolo Pan d’oro». Nel depositare il brevetto il nome perde la sua composizione triplice e diventa un tutt’uno, quel «Pandoro» che, come succede alle grande invenzioni, per antonomasia, da nome proprio poi diventerà nome generico. Oggi pandoro è un marchionimo (così si chiamano i nomi originati da marchi) ovvero un tipo di dolce che tutti i pasticceri artigianali e industriali realizzano, non solo Melegatti e non solo i pasticceri di professione, essendo tanti i cucinieri casalinghi che si dilettano a impastare e cucinare pandori e panettoni in casa per le feste natalizie. Il Pandoro di Melegatti è un dolce ispirato alla morbidezza del levà, grazie ad un impasto diverso e allo stampo di cottura, ideato sempre da Domenico Melegatti, spiega il sito Internet dell’azienda, con forma di stella troncoconica a otto punte, brevettato anch’esso. La forma a stella del pandoro ricorda certamente quella del nadalin, rispetto al quale però è assai più alto e privo di qualsiasi topping. Secondo lo studioso Andrea Brugnoli il pandoro potrebbe però trovare altre fonti, ovvero il pane di Natale del monastero di San Giuseppe a Fidenzio: nei registri dell’economato del ministero il 21 dicembre 1790 si acquistano 500 uova, tantissimo burro e tantissimo altro zucchero. Altra fonte di ispirazione per Brugnoli sarebbe il Pan d’Oro che nel 1871 Cesare Capri di Verona porta ad un’esposizione pasticcera regionale presentandolo come «panettone di pasta dolce». Non si sa e in fondo non è nemmeno così interessante saperlo, essendo il pandoro talmente perfetto da interessarci dalla sua nascita ufficiale in poi. Tornando alla questione linguistica, perché il nome pandoro passi da proprio a generico bisogna attendere il 1927. In quell’anno, entra nella quinta edizione dell’importantissimo - per la costruzione della lingua italiana - Dizionario moderno di Alfredo Panzini. La voce «pandoro» nel dizionario recita: «Dolce di lievito, ricchissimo di burro (Verona). Dal colore aurato dovuto al rosso d’uovo».
Voi siete team pandoro, team panettone o team entrambi? In tutti i casi vi, anzi ci, sarà utile una breve disamina nutrizionale del pandoro, per capire cosa mangeremo quando lo mangeremo alla tavola natalizia. Non si può certamente sostenere che il pandoro sia dietetico. Si tratta al contrario di un dolce generoso di zuccheri e grassi saturi, che sono i macronutrienti tipici delle festività, ma anche quelli che dobbiamo tenere a bada. Generoso, conseguentemente, di calorie: 100 g ne hanno tra 390 e 435. Considerato che da un pandoro di 1 kg traiamo 8 fette (sono le 8 punte) si capisce come ogni fetta pesi 125 grammi. Se ragioniamo sui 100 g, abbiamo tra i 49 e i 53 g di carboidrati di cui tra 22 e 26,5 di zuccheri. Considerato che il pandoro si mangia alla fine di un pasto in cui i primi piatti sono sontuosi e abbondanti anch’essi e che questo pasto festivo e festoso si ripete (il cenone della Vigilia, il Pranzo del Natale, il Pranzo di Santo Stefano, minimo) si capisce come introiettare ulteriori 400 calorie circa composte per lo più di carboidrati e tra questi di zuccheri sia un elemento da tenere attenzionato, cercando dunque di non mangiare troppo nel resto delle giornate festive. I carboidrati sono solo l’inizio. Abbiamo tra 20 e 21 grammi di grassi, di cui tra 10 e 13 sono saturi e sono dovuti all’abbondanza di tuorlo d’uovo e burro. Infine abbiamo tra 7 e 8 grammi di proteine che sì, abbassano lievemente l’indice glicemico del dolce e si affiancano anche all’indice lipidico, tuttavia - com’è ovvio - non li annulla. In definitiva, chi è a dieta e chi deve limitare fortemente i grassi saturi, magari perché ipercolesterolemico, ipertrigliceridico o afflitto da altra patologia del metabolismo dei grassi e in generale del metabolismo dovrebbe mangiare giusto un pezzetto, forse evitare il pandoro. Non ne deve abusare nemmeno chi ha una forma e una salute perfette, perché - ricordiamoci - un eccesso di grassi saturi fa ingrassare e aumenta il rischio cardiovascolare, oltre a sovraffaticare l’apparato digestivo. Nel caso si voglia o si desideri un consumo più virtuoso, il consiglio è quello di optare o per il panettone o per il pandoro e non mangiare entrambi alla fine dello stesso pasto, per il dispiacere del team che definiremo «entrambi e pure uno insieme all’altro». Altri consigli: mangiare mezza fetta di pandoro anziché una fetta intera, stare molto leggeri per quanto riguarda grassi e zuccheri al pasto successivo o precedente, fare una bella passeggiata dopo il pranzo della festa. Il consiglio più strong di tutti è quello di non mangiare proprio il pandoro, ma come si fa? Quello semi strong è di non mangiarlo a fine pasto, ma a merenda (con un tè o un caffè rigorosamente senza zucchero) o a colazione. Tuttavia noi preferiamo pensare che mangiare il pandoro a fine pasto vuol dire anche seguire una tradizione e quindi vi riproponiamo il «trucchetto» di mangiarne, magari, mezza fetta.
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