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Negli Usa, il «Wall Street Journal» ammette di aver formulato previsioni sbagliate. Qui da noi invece i giornaloni fischiettano.
Il Wall Street Journal ha chiesto scusa. Con un articolo in prima pagina ha riconosciuto che le previsioni fatte a inizio anno sull’economia americana erano sballate. Dazi, occupazione, entrate: alla fine i dati non sono stati così negativi come ci si sarebbe aspettati. O meglio: come ci raccontavano vari commentatori. Bene. Ma in Italia, i giornaloni quando chiederanno scusa per tutte le cose sbagliate che hanno raccontato ai lettori in questi anni? Le vogliamo mettere in fila? Se si parte dal periodo Covid bisognerebbe scrivere un’enciclopedia, tante sono state le balle spacciate per verità. Dai vaccini «garanzia di non contagiarsi e di non contagiare» per finire al green pass come soluzione finale per debellare il contagio.
Lasciando perdere il periodo della pandemia, credo che sia sufficiente prendere i dati economici conseguiti dal nostro Paese. Secondo le previsioni, l’arrivo a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni, cioè di una populista in camicia nera, avrebbe contribuito a scassare i conti pubblici e a farci perdere quel briciolo di rispetto che era stato conquistato con Mario Draghi alla guida del governo. Invece niente di tutto questo è accaduto. In tre anni sono stati smantellati il reddito di cittadinanza e il Superbonus, dando garanzia ai mercati sul contenimento del deficit sotto il 3 per cento. I poveri non sono aumentati, come invece sosteneva l’opposizione e prima ancora qualche professore. Né sono crollate le imprese edili. I salari sono saliti e, anche se non hanno recuperato il gap degli anni precedenti, quanto meno sono stati al passo con l’inflazione dell’ultimo triennio. Quanto all’occupazione il saldo è positivo, come da tempo non si vedeva. Per non parlare poi dei dazi, di cui la sinistra unita ai suoi trombettieri quotidiani attribuiva la responsabilità indiretta all’attuale maggioranza, giudicata troppo trumpiana. Nonostante l’aumento delle tariffe, l’export delle nostre imprese verso gli Stati Uniti è andato addirittura meglio che in passato.
I centri per il trattenimento e il rimpatrio in Albania, tanto criticati dai compagni e dalla stampa e osteggiati in ogni modo dalla magistratura, dopo oltre un anno di pregiudizi ora sono ritenuti una soluzione possibile se non auspicabile addirittura dal Consiglio d’Europa.
Ma il meglio la classe politica e quella giornalistica l’hanno dato con la guerra in Ucraina. Per anni ci sono state raccontate un cumulo di fesserie, sia sull’efficacia delle sanzioni messe in campo contro la Russia (ricordate la famosa atomica finanziaria, ossia l’esclusione della banche russe dal circuito delle transazioni internazionali, che avrebbe dovuto mettere Putin con le spalle al muro in un amen?) sia sugli armamenti decisivi del conflitto che America ed Europa avrebbero potuto mettere a disposizione di Kiev. Per non dire poi delle iniziative Ue, con i volenterosi a spacciare patacche per soluzioni. Anche in questo caso l’Italia era descritta come una Cenerentola, tenuta ai margini delle iniziative concordate da quei due fulmini di guerra di Keir Starmer e Emmanuel Macron: fosse per loro, e per i giornalisti che gli hanno dato credito, la tregua forse si raggiungerebbe nel secolo prossimo venturo. Tralascio quelli che spingevano per il riconoscimento della Palestina, invitando a seguire l’esempio di Francia e Spagna: come si è visto, le varie dichiarazioni non sono servite a nulla e l’unica speranza per Gaza era e resta il piano di Trump.
Che dire? Se i giornaloni volessero riconoscere di aver scritto una montagna di sciocchezze andremmo avanti per settimane. Ma state tranquilli, nemmeno questa volta ammetteranno gli errori. Sono giornalisti con l’eskimo, mica cretini.
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Roberto Gualtieri (Ansa)
Dal 7 gennaio prossimo, ingresso a pagamento per i turisti alla Fontana di Trevi. Il Comune di Roma valuta un ticket da 2 euro. Centinaio (Lega): vogliono fare cassa.
Due euro. È quello che dovranno pagare i turisti per poter vedere la Fontana di Trevi a Roma dal 7 gennaio. Eccetto per i romani, loro continueranno a entrare gratis. Una trovata, quella del Comune di Roma, che dovrebbe portare nelle casse urbane 20 milioni di euro, secondo quanto scrive il Corriere della Sera.
Già da circa un anno il deflusso dei visitatori è contingentato, con un tetto massimo di 400 persone che possono sostare nell’area. Ma dal nuovo anno la novità sembrerebbe essere tutta nelle code: due corsie separate, una per i romani e l’altra per i turisti che dovranno pagare il ticket.
La scelta, voluta dall’assessore al Turismo e grandi eventi Alessandro Onorato e condivisa dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Roberto Gualtieri, va nella direzione di salvaguardare la fontana più grande di Roma, capolavoro tardo-barocco di Nicola Salvi. I numeri, del resto, parlano chiaro: soltanto nei primi sei mesi di quest’anno la Fontana di Trevi ha registrato oltre 5,3 milioni di visitatori, più di quanti ne ha totalizzati il Pantheon nell’intero 2024 (4.086.947 ingressi).
Ma la decisione sembrerebbe non essere ancora ufficiale. «Si tratta solo di una ipotesi di lavoro», precisa il Campidoglio in una nota, «su cui l’amministrazione capitolina, come è noto, sta ragionando da tempo. Tuttavia, ad oggi, non sono state decise date, né sono state prese decisioni in merito».
Nonostante questo, già insorgono voci contro il ticket per i turisti. «Siamo da sempre contrari alla monetizzazione di monumenti, piazze, fontane e siti di interesse storico e culturale, e crediamo che istituire biglietti di ingresso a pagamento sia un danno per i turisti», tuona il Codacons, «i soldi raccolti non vengono utilizzati per migliorare i servizi all’utenza ma solo per coprire i buchi di bilancio». L’associazione dei consumatori, pur opponendosi al ticket, sostiene gli ingressi contingentati.
Ancora più duro il vicepresidente del Senato e responsabile Turismo della Lega, Gian Marco Centinaio: «Il Comune di Roma non può impedire la libera circolazione dei turisti su uno spazio pubblico. È come fare uscire Fontana di Trevi dall’Unione europea». Secondo Centinaio, «Gualtieri e Onorato vogliono solo fare cassa a scapito di chi viene a visitare la Capitale».
Che ci sia bisogno di una regolamentazione dei flussi turistici per evitare sovraffollamenti è fuori discussione. Ma la sensazione è che l’amministrazione capitolina, dopo aver incassato per anni le monetine che i turisti lanciano nella fontana (tradizione che vale circa 1,5 milioni di euro annui devoluti alla Caritas), ora voglia tassare anche l’ingresso.
Se l’ipotesi diventasse realtà, il turista del futuro pagherebbe 2 euro per entrare, poi lancerebbe la sua monetina per tornare a Roma, spendendo di fatto 3 euro per un solo desiderio. Una sorta di tassa anticipata sul gesto più iconico della Capitale. Del resto, perché aspettare che i visitatori lancino spontaneamente le monete quando si potrebbe riscuotere subito alla porta? L’amministrazione Gualtieri avrebbe semplicemente tagliato i tempi: il Comune incasserebbe prima, la Caritas dopo. Il turista, nel frattempo, girerebbe le spalle alla fontana e lancerebbe la sua moneta, ignaro di averla già praticamente pagata al botteghino. Magari con carta di credito e scontrino fiscale. La leggenda dice che chi lancia una moneta nella Fontana di Trevi tornerà a Roma. E probabilmente è vero: per vedere cos’altro sia diventato a pagamento nel frattempo.
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Keir Starmer (Ansa)
Nuovo bavaglio del governo per difendere le «persone percepite come musulmane».
Per anni il Regno Unito si è presentato come una sorta di Eden multietnico che, magicamente, sarebbe rimasto incontaminato da razzismo e discriminazione. Salvo poi accorgersi che la politica delle porte spalancate ha prodotto i consueti frutti dell’immigrazione selvaggia: criminalità, ghettizzazione, terrorismo. La rabbia popolare, com’è noto, è infine esplosa nelle strade e nelle piazze, con proteste di massa che hanno messo Sir Keir Starmer all’angolo.
Le roboanti promesse di porre un argine all’illegalità diffusa, ovviamente, sono rimaste lettera morta. Eppure, non tutto è perduto. Per dare un segnale forte ai cittadini, l’esecutivo laburista ha avuto un’idea geniale: elaborare una nuova definizione di «odio anti musulmano». Pochi giorni dopo l’efferata strage di matrice islamista a Sydney, infatti, la Bbc ha reso noto che il lungo lavoro del ministero per le Comunità e gli enti locali ha partorito una bozza quasi ufficiale. Stando al documento, divulgato in anteprima dall’emittente britannica, ecco la nuova definizione di islamofobia: «L’ostilità anti musulmana è il compimento o l’incitamento ad atti criminali, compresi atti di violenza, vandalismo contro la proprietà, molestie e intimidazioni - fisiche, verbali, scritte o veicolate elettronicamente - dirette contro i musulmani o contro persone percepite come musulmane a causa della loro religione, etnia o aspetto». In tale fattispecie, «rientrano inoltre l’uso di stereotipi pregiudiziali e la “razzializzazione” dei musulmani come gruppo collettivo dotato di caratteristiche prefissate».
Effettivamente, si fa fatica a prendere sul serio un documento del genere: per esempio, che vorrà mai dire «persone percepite come musulmane»? Mistero della fede progressista. Eppure, la gestazione di questa perla di vacuità dialettica ha tenuto impegnata un’intera commissione per la bellezza di quasi un anno: il gruppo di lavoro era stato istituito lo scorso febbraio, con a capo l’ex procuratore generale Dominic Grieve, e i suoi risultati erano stati presentati all’esecutivo in ottobre.
Tra i passaggi più controversi - e futili - c’è anche il riferimento al concetto di «razzializzazione», ennesimo neologismo cacofonico che tanto piace ai sacerdoti del politicamente corretto. Per difendere la scelta, è scesa in campo Shaista Gohir in persona, baronessa di origine pachistana e membro di punta della commissione. Stando alla pasionaria islamica, che siede nella Camera dei Lord, «questa definizione riconosce anche che i musulmani sono spesso presi di mira non solo per le loro convinzioni religiose, ma anche per l’aspetto, la razza, l’etnia o altre caratteristiche», ha spiegato. «L’inclusione del concetto di razzializzazione dà riconoscimento a queste esperienze vissute».
Chiacchiere a parte, occorre specificare che questa definizione di «odio anti musulmano» non avrà valore normativo: non sarà cioè né sancita per legge né giuridicamente vincolante, ma offrirà una formulazione di riferimento che gli enti pubblici potranno adottare. Eppure, è proprio qui che sta la fregatura. Non a caso, contro quest’obbrobrio politicamente corretto si è scagliata con forza la Free speech union, autorevole organizzazione britannica nata nel 2020 per tutelare la libertà d’espressione dai deliri dei questurini progressisti: «Questa definizione è superflua, perché è già un reato incitare all’odio religioso ed è già illegale per datori di lavoro o fornitori di servizi discriminare le persone sulla base della loro religione o delle loro convinzioni», ha tuonato il fondatore e presidente dell’associazione, il lord conservatore Toby Young. «Concedere ai musulmani tutele aggiuntive non estese ad altri», ha aggiunto, «avrà l’effetto di aumentare l’ostilità anti musulmana, anziché ridurla». In effetti, di fronte al fallimento del multiculturalismo reale, i laburisti rispondono con il multiculturalismo lessicale. Non potendo controllare le strade, tentano di controllare il linguaggio. Con il risultato paradossale di rendere ancor più fragile la libertà di parola e ancor più esplosivo il conflitto che fingono di voler disinnescare.
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Federico Vecchioni (imagoeconomica)
Il gruppo di Federico Vecchioni, leader nel settore agroindustriale, raddoppia il valore della produzione grazie all’acquisto per 220 milioni della Fratelli Martini, azienda che realizza mangimi per animali e carne. Rilevato l’intero capitale, closing entro il prossimo maggio.
Con l’acquisto della Fratelli Martini, il gruppo BF spa raddoppia quasi il giro d’affari avvicinandosi ai tre miliardi di fatturato l’anno. Il calcolo è presto fatto: il gruppo guidato dall’ad Federico Vecchioni a fine 2024 aveva messo a segno un valore della produzione di 1,5 miliardi, risultato che, se unito a quello della F.lli Martini di 1,2 miliardi, porta il totale del gruppo a 2,7 miliardi di euro. Si tratta a tutti gli effetti di una tra le più importanti operazioni nell’agroindustria negli ultimi dieci anni.
L’accordo è avvenuto attraverso la controllata BF International best fields best food limited, che ha rilevato l’azienda da Trust Girasole, Filippo Martini, Annalisa Martini e Carla Martini dando il via a una società di nuova costituzione.
La F.lli Martini rappresenta un gruppo industriale italiano con oltre 100 anni di storia e presenza integrata in tre aree di business - mangimistica, zootecnica e alimentare - che nel 2024 ha registrato un valore della produzione consolidata di circa 1,2 miliardi di euro e un margine operativo lordo consolidato di circa 72 milioni di euro. Quello dei fratelli Martini appare, insomma, un gruppo le cui competenze possono essere molto rilevanti per BF, soprattutto per quanto riguarda la presenza a livello internazionale.
Il prezzo di acquisto previsto per l’operazione è pari a 220 milioni di euro e l’acquisizione verrà realizzata tramite una holding veicolo (Holdco) che sarà dotata delle risorse necessarie con una struttura mista costituita da equity e debito. In particolare, BFI e alcuni soci reinvestiranno parte del corrispettivo incassato (20 milioni di euro), al fine di detenere una partecipazione di circa il 15% del capitale sociale della nuova realtà.
Gli altri venditori concederanno un finanziamento di 10 milioni di euro, mentre il residuo importo di 190 milioni di euro sarà devoluto alla nuova realtà per 110 milioni di euro da BFI, tramite ricorso a risorse proprie, e per 80 milioni tramite finanziamento da parte di alcune banche.
Sotto il profilo contrattuale, l’accordo prevede il rilascio, da parte dei venditori a favore di BFI e quindi della nuova società, di un set di dichiarazioni e garanzie e di obblighi di indennizzo usuali per operazioni di questo genere. È inoltre prevista la sottoscrizione di una polizza assicurativa a servizio dell’operazione, con funzione di copertura dei rischi tipici di accordi come questo.
Alla data di esecuzione è prevista anche la sottoscrizione di un patto parasociale tra i soci della società di nuova costituzione, destinato a disciplinare diritti e obblighi reciproci, con particolare riferimento alle regole di governance e alla circolazione delle partecipazioni, in linea con la prassi di mercato per operazioni analoghe. Il patto include anche un impegno di lock-up per una durata di cinque anni (un’intesa che blocca la vendita di azioni o quote societarie per un periodo di tempo stabilito).
Inoltre, sono previsti alcuni poteri di veto in capo ai soci re-investitori, la facoltà per questi ultimi di nominare due membri del consiglio di amministrazione, un sindaco effettivo e un sindaco supplente, nonché opzioni di put e call per l’eventuale uscita di questi ultimi dal capitale della nuova società. Queste opzioni sono esercitabili rispettivamente a partire dal 2031 e dal 2032, sulla base di meccanismi di valorizzazione della partecipazione che tengono conto anche di specifiche caratteristiche del gruppo.
Per assicurare continuità gestionale è previsto che Antonio Montanari e Filippo Martini mantengano ruoli apicali all’interno del gruppo Martini. Il perfezionamento dell’operazione è inoltre subordinato a condizioni sospensive, tra cui l’esito positivo delle procedure legate alla golden power e al via libera dell’Antitrust, la sottoscrizione del contratto di finanziamento tra Holdco e gli istituti di credito per il reperimento del supporto finanziario residuo. Al momento si prevede che l’operazione possa diventare operativa entro maggio 2026.
L’intesa si inserisce nella strategia di crescita e integrazione verticale del Gruppo BF, con l’obiettivo di sviluppare modelli produttivi sostenibili, tracciabili e ad alto valore aggiunto in grado di contribuire, anche in ambito internazionale, alla sicurezza alimentare. «Il Gruppo BF intende presidiare la filiera delle proteine animali considerando la stessa strategica per la crescita del valore economico e sociale dei contesti produttivi di suo interesse», ha detto Federico Vecchioni, presidente esecutivo di BF e ad di BF International.
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