
Giusto che Israele si difenda, ma l’organizzazione terroristica è così profondamente ancorata nel tessuto sociale della Palestina da renderne difficile l’annientamento per via bellica. Il conflitto a oltranza farà danni pure a Tel Aviv. La soluzione? La politica. In questa situazione lacerante e dolorosa, è il caso di mettere da parte le spinte emotive e di concentrarsi sui fatti. E i fatti sono che Israele non poteva non rispondere all’attacco portato il 7 ottobre da Hamas. Se il tuo nemico esistenziale ti ferisce, e dimostra la tua vulnerabilità, diviene inevitabile replicare con inaudita durezza, per il semplice fatto che i rapporti internazionali sono rapporti di forza, e la debolezza semplicemente non è ammissibile. A ben vedere, lo Stato ebraico sta già rispondendo, e con forza terrificante, come dimostra la macabra contabilità delle vittime. Si discute, tuttavia, di un eventuale inasprimento della reazione, che prevederebbe l’ingresso di truppe di terra nella Striscia di Gaza, evento che si tradurrebbe quasi inevitabilmente in un bagno di sangue palestinese ma anche ebraico. A differenza del conflitto in Ucraina, tuttavia, l’attuale azione militare israeliana ha un obiettivo preciso: l’annichilimento di Hamas. Lo ha detto esplicitamente, qualche giorno fa, il primo ministro Benjamin Netanyahu. Il concetto era: non importa quanto tempo ci vorrà, ma alla fine Israele distruggerà Hamas e concluderà la guerra più forte di prima. «Questo è soltanto l’inizio», ha dichiarato Bibi. «I nostri nemici hanno solo iniziato a pagarne il prezzo e non dirò di più. Questo è soltanto l’inizio». Il fatto che i vertici militari stiano premendo per dare mano libera ai propri uomini e che il ministro della Difesa Yoav Galant insista a ripetere ai soldati di tenersi pronti conferma la smania di affrontare e cancellare il nemico. A ben vedere, però, l’obiettivo dichiarato della distruzione di Hamas è leggermente meno credibile e raggiungibile di quanto appaia. Soprattutto, comporta una serie di conseguenze che forse Israele e i suoi alleati occidentali dovrebbero valutare con notevole attenzione. Sono interessanti, a tale proposito, le dichiarazioni rilasciate in una intervista televisiva da Hanan Ashrawi, accademica e già portavoce dell’Autorità Nazionale Palestinese. Cristiana anglicana, la Ashrawi rappresenta un partito di minoranza in Palestina che da tempo cerca di porsi come terza forza tra Fatah e Hamas. Al cronista che le chiedeva che cosa sarebbe avvenuto una volta annientato Hamas, cioè che movimento lo avrebbe sostituito, Ashrawi ha risposto sorridendo amaramente. «Pensa che Hamas sarà rimosso dalla Striscia di Gaza? Ma sa che cosa sia Hamas? Hamas è un grande movimento, ha un braccio militare e uno armato, ha il governo e le istituzioni, ha un movimento femminile e uno studentesco, è nel tessuto stesso della società palestinese. Come lo rimuoveranno? Pensate che si possano uccidere tutte queste persone? E in questo modo screditeranno Hamas agli occhi dei suoi sostenitori?». Secondo la Ashrawi, in sostanza, Hamas non si può semplicemente rimuovere come un tumore dal corpo della nazione palestinese. Perché almeno una parte del popolo della Striscia di Gaza sostiene il movimento islamico. Continuare a colpire quel territorio, con l’inevitabile corredo di vittime collaterali, significa in realtà rafforzare Hamas e indebolire i più moderati rappresentanti dei palestinesi, che appaiono inerti o complici della mattanza. La signora non ha tutti i torti, a prescindere da come la si pensi. L’idea di sradicare Hamas è ambiziosa e forse perfino giustificata, ma è poco realistica. Questo nella migliore delle ipotesi. Perché esiste anche una versione peggiore della storia, e cioè quella in cui Hamas viene brutalmente colpita ma come una idra rialza la testa. E non è impossibile che accada almeno fino a che non saranno sciolte le cause profonde del conflitto palestinese. Nei fatti, procedere tetragoni con i bombardamenti e entrare nella Striscia significa non soltanto autorizzare un massacro a Gaza che colpirà soprattutto i civili (producendo numerosi altri aspiranti terroristi). Ma anche esporre la popolazione israeliana a nuovi e possibili attacchi, attentati suicidi e altre atrocità che il passato ci ha già mostrato. Per tacere ovviamente di quello che potrebbe accadere in Europa ai danni di ebrei e gentili. Non spetta a noi ovviamente dire a Israele in che modo reagire e come comportarsi. Ma spetta alla lucidità, a costo di fare esercizio di cinismo, suggerire che esiste una sola via di uscita sicura: la politica. Che esclude dolorosamente la vendetta, ma forse potrebbe garantire la vita e, un domani, la fine della carneficina.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





