2021-07-15
Obbligo di vaccino mascherato, governo diviso
Mariastella Gelmini e Matteo Salvini (Ansa)
Sinistra ed «esperti» favorevoli a vietare la socialità a chi non è immunizzato. Mariastella Gelmini (Fi) parla di «una via italiana all'utilizzo ampio del certificato». Matteo Salvini si oppone: «Il vaccino rimanga una scelta».Il giurista Giovanni Guzzetta: «Per adottare il lasciapassare verde serve trasparenza. Oggi invece viviamo in un Paese dove i verbali del Cts sono noti 45 giorni dopo le riunioni».Lo speciale contiene due articoli.Anche il green pass potrebbe avere la sua «variante». Neanche il tempo di digerire la decisione del presidente francese Emmanuel Macron di imporre l'uso della certificazione verde in tutti luoghi della socialità, come esercizi commerciali o mezzi pubblici, che già si inizia a studiare la «versione italiana». Gli indizi sono arrivati tutti nella giornata di ieri: il primo ad aprire è stato il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, favorevole a estendere l'uso «per il ritorno alla normalità di tutte le attività e per garantire la socializzazione nella scuola, sui luoghi di lavoro e nelle occasioni di svago»; a ruota, i ministri per la Famiglia Bonetti («proposta interessante») e soprattutto quello per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, che a margine di un incontro al Parlamento europeo ha lanciato la sua proposta: «La variante Delta ci preoccupa, credo che si debba trovare una via italiana all'uso ampio del Green pass. Non inseguiamo modelli stranieri, ma certamente il governo valuterà di estendere l'utilizzo ad altri servizi, nella logica di incentivare le vaccinazioni». I contorni della soluzione nostrana al dilemma della certificazione non sono ancora chiari, eppure c'è già chi pensa di imporre il lasciapassare per qualsiasi occasione, non solo per partecipare a eventi, entrare negli stadi o nelle Rsa. Nella lista, ci sono ristoranti, bar, cinema e teatri. E persino «treni e autobus», come spera Sandra Zampa, ex sottosegretario alla Salute e responsabile Sanità del Pd. Insomma, senza codice a barre vietato vivere. L'ipotesi ha scatenato un piccolo cortocircuito all'interno della stessa maggioranza, con Matteo Salvini che si è schierato contro l'uso massiccio della certificazione, criticando duramente la posizione di Macron: «L'obbligo, la costrizione, chiedere il green pass per chi prende l'autobus o un caffè è fuori discussione», ha spiegato il segretario della Lega, al termine del colloquio avuto a Palazzo Chigi con il premier Draghi. «Quello francese non è un modello. Il vaccino deve essere una scelta consapevole, non un obbligo. Si può spiegare, ma non inseguo con la siringa nessuno per strada, a scuola o al ristorante». L'unico spiraglio lasciato aperto da Salvini riguarda gli eventi particolarmente affollati o gli ingressi allo stadio, per i quali la richiesta di controlli è «sacrosanta». Nonostante gli appelli delle associazioni dei commercianti e dei ristoratori, che chiedono di «respirare» dopo più di un anno di restrizioni e chiusure, il coro di chi auspica l'estensione del green pass continua ad ingrossarsi. «Facciamo subito come ha fatto la Francia, è la scelta giusta», ha spiegato al Messaggero il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, per il quale il green pass andrebbe «applicato sul serio». Entusiasta della soluzione francese anche il capogruppo di Italia Viva al Senato, Davide Faraone, secondo cui la certificazione per gli spostamenti sarebbe «un grandissimo strumento di libertà, per mettere al sicuro tutti e continuare a circolare liberamente, senza restrizioni, coprifuoco e lockdown». E poi ancora, l'intera pattuglia parlamentare del Pd, sempre più orientata a considerare «l'obbligo del pass come la soluzione migliore», secondo quanto riferiscono fonti del Nazareno. «Estendere l'uso del green pass potrebbe essere decisivo per garantire una piena ripresa economica e un completo ritorno alla vita sociale», si sbilancia Piero De Luca, evidentemente fedele alla linea paterna, quella del presidente della Campania Vincenzo De Luca, anche lui elettrizzato alla sola idea di «prendere l'aereo, i treni, di andare al cinema, al teatro e al ristorante» con la tessera di vaccinazione. Meno convinti sono tanti altri colleghi governatori, che sull'ipotesi hanno espresso più di un dubbio. «In questo momento, non direi di attuare nel Paese il green pass proposto da Macron un po' per tutti i settori», si è messo di traverso il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini. «Si deve usare nei luoghi di maggiore assembramento o aggregazione, come impianti sportivi e discoteche», sulla cui ripresa c'è più di un punto interrogativo, dopo che anche la Camera dei Deputati ha bocciato un ordine del giorno al decreto Sostegni bis, presentato da Fratelli d'Italia, per la riapertura immediata e in sicurezza. «In questi giorni vediamo e leggiamo «di feste e balli» non autorizzati - ha continuato Bonaccini - allora è meglio garantire controlli laddove si può con il green pass, che permetterebbe a chi non ha la possibilità di contagiare di poter entrare in sicurezza. Altrimenti, c'è un settore che sta morendo». Sulla stessa linea anche il presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, che auspica «equilibrio» nella gestione della certificazione verde: «Allo stato attuale potremmo pensare di favorire con il green pass l'apertura di attività chiuse, come le discoteche. Ma non sono d'accordo con chi sostiene che il green pass serva anche per andare in bagno: per i bar e i ristoranti non avrebbe senso». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/obbligo-vaccino-mascherato-governo-diviso-2653784908.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="se-le-limitazioni-diventano-un-obbligo-mascherato-la-norma-e-unipocrisia" data-post-id="2653784908" data-published-at="1626304413" data-use-pagination="False"> «Se le limitazioni diventano un obbligo mascherato la norma è un’ipocrisia» Giovanni Guzzetta (Wikimedia Commons) «Per imporre il green pass serve come minimo una legge. E comunque dovrebbe essere molto chiara, per evitare si ripeta l'intollerabile confusione che abbiamo già vissuto per gran parte della pandemia». La Verità ha chiesto a Giovanni Guzzetta, professore di diritto costituzionale all'Università Tor Vergata di Roma, di spiegare quali siano i limiti costituzionali se davvero Italia volesse introdurre, sul modello francese, l'obbligo di presentare un certificato di avvenuta vaccinazione per accedere a ristoranti, trasporti pubblici e altri servizi. Professor Guzzetta, prima di tutto: il green pass sarebbe giuridicamente ammissibile in Italia? «In un dibattito molto ideologizzato e divaricato, il giurista spesso si trova fuori asse. La mia risposta è: dipende. Sui vaccini la Corte costituzionale, soprattutto con la sentenza numero 5 del 2018, ha messo in chiaro che non ci sono automatismi e che il diritto individuale alla libera scelta va contemperato con la salute della collettività. È un equilibrio difficile. La Consulta ha stabilito, tra l'altro, che certe attività possano essere condizionate alla vaccinazione, per esempio l'accesso a scuola per gli studenti. Ma poi ha dato anche altre linee guida». Quali? «Che un trattamento obbligatorio deve essere sempre e comunque imposto per legge. E che serve flessibilità: dev'essere continuamente monitorato l'andamento epidemiologico, e ogni intervento richiede proporzionalità tra costi e benefici. Anche il principio di precauzione è a doppio taglio: può servire per consigliare la vaccinazione obbligatoria, ma anche per sconsigliarla se i suoi effetti sono incerti. Insomma, il legislatore ha ampi margini di discrezionalità per decidere. Per questo la mia risposta alla sua prima domanda non può essere secca, sì o no. E la materia è delicata, pretende l'applicazione del principio di ragionevolezza. Non per nulla, credo che anche in Francia l'idea del green pass lanciata due giorni fa da Emmanuel Macron sia già in fase di aggiustamento: per andare al ristorante, a Parigi ora ipotizzano possa valere in alternativa un tampone fatto di recente. Quanto all'Italia, suggerirei almeno tre importanti cautele». La prima cautela? «La chiarezza. Visto che il green pass riguarderebbe l'intera popolazione, se davvero si vorrà adottarlo sarà bene che la legge sia molto semplice e comprensibile. Bisogna insomma evitare l'effetto confusione, già vissuto durante il lockdown, quando non si sapeva più come comportarsi». La seconda? «La trasparenza. La norma dovrebbe essere il frutto di un dibattito chiaro e consapevole. Oggi, invece, viviamo in un regime dove i verbali del Comitato tecnico scientifico vengono resi noti soltanto 45 giorni dopo le sue riunioni. È inaccettabile che dati tanto importanti siano così poco accessibili. Anche perché solo un dibattito pieno consentirebbe di valutare e soppesare i pro e i contro scientifici di una misura come il green pass». E la terza cautela? «La proporzionalità. Nel campo dei vaccini e della sanità, lo dice la stessa Corte costituzionale, il principio di precauzione richiede che le scelte del legislatore tengano conto di ogni loro possibile effetto e che i mezzi siano congruenti e proporzionati rispetto al fine, soprattutto là dove sono in gioco diritti fondamentali». Ma lei, personalmente, è favorevole al green pass? «Non sono un no-vax e sono vaccinato. Come ho detto, però, tutto dipende da come sarebbe fatta la legge. E da come verrebbe motivata sul piano scientifico». Per introdurre il green pass in Italia potrebbe bastare anche un decreto legge? «Sì. Di certo non basterebbe un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, un dpcm come quelli di cui s'è abusato sotto il governo Conte. Anche la scelta di un decreto legge, però, dovrebbe essere esposta a un dibattito pubblico davvero trasparente. Questo consentirebbe al Parlamento, che entro 60 giorni dovrebbe convertire il decreto in legge, di avere tutti gli elementi per decidere in piena consapevolezza. Sottolineo però che la trasparenza in questa materia, purtroppo, è ancora un optional: se il Comitato tecnico scientifico prende decisioni importanti che vengono rese note solo 45 giorni dopo, a quel punto alle Camere - per decidere - di giorni ne resterebbero appena 15. Quella del Cts è una situazione che va risolta, anche per legittimare le decisioni del governo davanti all'opinione pubblica: davanti a scelte incomprensibile, i cittadini giustamente sono diffidenti». In effetti sono tanti i dati fondamentali che ignoriamo… «Basta una domanda, per capirlo: chi è vaccinato può o non può essere un vettore del virus? È ovvio che in base alla risposta tutto cambia. Lo stesso green pass potrebbe diventare inutile». In Italia discutiamo di green pass, ma intanto il Garante della privacy ha proibito alle aziende di chiedere ai dipendenti se siano vaccinati o no. Non le pare che tutto questo sia irrazionale? «La pronuncia del Garante conferma che serve una legge. È vero, comunque: il dibattito è surreale. Del resto, in base al decreto 52 del 2021 un certificato di avvenuta vaccinazione è già obbligatorio per andare allo stadio e nelle residenze per anziani. In alternativa, però, basta anche un test rapido. Diciamo che si sta creando un preoccupante “effetto Arlecchino"». Tornando alla privacy, un ristorante comunque non è diverso da un'azienda, no? «È un servizio aperto al pubblico, quindi credo che in assenza di una legge il Garante si pronuncerebbe come ha già fatto per le aziende». Obiezione finale: è corretto uno Stato che garantisce la libertà di non vaccinarsi, ma poi introduce regole che impediscono una vita normale a chi non si vaccina? «È una questione di misura. Se gli oneri sono così tanti da diventare un obbligo mascherato, è un'ipocrisia. E anche questo è un aspetto che il legislatore deve valutare».