2024-04-10
Nuovo via libera ai contadini di Kiev. Così l’Ue dà la zappa sui piedi ai suoi
Il Consiglio sospende i dazi all’importazione fino a giugno 2025. Come contentino ai trattori garantisce il freno d’emergenza, ma non fa nulla sui pesticidi, sulle triangolazioni e sui profitti delle multinazionali.Ogni promessa dell’Ue per gli agricoltori, e in particolare per quelli italiani, diventa debito. Assediata dai trattori, la presidente Ursula von der Leyen aveva giurato: basta importazioni selvagge, sì alle clausole specchio; ciò che entra in Europa deve rispettare le stesse regole che imponiamo ai nostri produttori. Passano sei settimane ed ecco il nuovo via libera senza dazi e senza controlli per un altro anno a tutto quello che arriva dall’Ucraina: pollame, uova, zucchero, avena, granturco, semole e miele, grano, semi e olio di semi di girasole, sfarinati sia zootecnici che per alimentazione umana, maiali, carni bovine, latte e cagliate, formaggi, fertilizzanti, concimi. A Volodymyr Zelensky che chiede missili, munizioni, carri armati pare che l’Europa risponda reinterpretando il monito di Sandro Pertini: se agli ucraini non riusciamo a riempire gli arsenali, almeno svuotiamo i loro granai. Che poi questo significhi crollo dei prezzi e nostri agricoltori sul lastrico è un effetto collaterale, per dirlo con i militari. La decisione assunta ieri dal Coreper - il comitato dei rappresentanti permanenti - ratifica l’intesa raggiunta tra Consiglio europeo e Parlamento di dare via libera alla merce ucraina a partire dal 6 giugno per 12 mesi ed è accompagnata da una nota: «Si ribadisce l’incrollabile sostegno politico ed economico dell’Ue all’Ucraina, dopo due anni di aggressione militare non provocata e ingiustificata da parte della Russia». I trattori che hanno ricoperto di letame Bruxelles però sono serviti, perché gli eurocrati si sono ricordati di porre il cosiddetto freno d’emergenza se da Kiev arrivasse troppa roba. Questo freno ora può essere azionato anche da un singolo Paese. La clausola di salvaguardia scatta se le quantità importate superano la media calcolata, tenendo conto dei dati dalla seconda metà del 2021 a tutto il 2023. La Commissione sarà obbligata a «reintrodurre contingenti tariffari se le importazioni di pollame, uova, zucchero, avena, granturco, semole e miele superano la media aritmetica dei quantitativi importati». Tra le concessioni fatte agli agricoltori europei ci sono altri due elementi: il tempo per l’attivazione della salvaguardia passa da 21 a 14 giorni dopo l’accertamento degli sforamenti e c’è «l’impegno della Commissione a rafforzare il monitoraggio delle importazioni di cereali, in particolare di frumento, e a utilizzare gli strumenti a sua disposizione in caso di perturbazioni del mercato, nonché l’impegno ad adottare le misure necessarie nell’ambito dell’accordo di associazione con l’Ucraina per il processo di liberalizzazione tariffaria». Basterà questo a far digerire ai coltivatori europei la «beneficenza» agli ucraini? Probabilmente no, per tre motivi. Il primo è che da Kiev vengono triangolati molti prodotti - si veda il boom dell’export di grano della Turchia. Il secondo è che il beneficio per i coltivatori ucraini è assai limitato, visto che a commercializzare soprattutto cereali, olio, latte e pollo sono le multinazionali americane che controllano quel mercato. Terzo, che nulla si dice relativamente all’uso di pesticidi e altre sostanze vietate in Europa. Stando al rapporto «Mari in Tempesta» del centro studi Divulga, diretto dal professor Felice Adinolfi, che ha monitorato gli effetti di due anni di conflitto sull’agricoltura, i contadini ucraini hanno ricevuto circa 530 milioni di dollari di aiuti, che hanno consentito a 800.000 famiglie di continuare a coltivare. Attraverso le corsie di solidarietà - informa sempre Divulga - l’Ucraina ha spedito in Europa il 60% della sua produzione, «circa 112 milioni di tonnellate di merci esportate da Kiev, che ha importato circa 40 milioni di tonnellate di beni (aiuti militari e umanitari, carburante e ad altri prodotti) per un valore totale degli scambi commerciali di oltre 120 miliardi di euro. Nei due anni del conflitto, l’Italia ha aumentato di oltre il 150% le importazioni dall’Ucraina, in particolare: grano tenero (+260%), mais (+230%) e orzo (+128%), ma a crescere sono anche gli arrivi di carni avicole (oltre 700 tonnellate complessive), semi di girasole (+368%) e soia (+108%)». Ma non c’è solo l’import «umanitario» da Kiev ad agitare gli agricoltori. Ieri la Coldiretti ha continuato il suo presidio al Brennero per denunciare che negli ultimi dieci anni le importazioni di cibo straniero sono aumentate del 60% arrivando a 65 miliardi. L’Italia - specifica Coldiretti - produce appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della carne di maiale e di salumi, il 49% della carne di capra e pecora, mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoproduzione. Per avere un’idea del nostro deficit basta sottolineare che lo scorso anno abbiamo importato 50 milioni di tonnellate di ortofrutta (più 14%), abbiamo comprato all’estero 3 milioni di tonnellate di grano duro, quasi 5 milioni di tonnellate di grano tenero, 900.000 tonnellate di carne di maiale. L’import massiccio si traduce anche in allarmi per la salute: se ne sono avuti 440 lo scorso anno. La maggior parte riguarda i vegetali, ma 107 sono per il pesce. Le cause? Dalle sostanze chimiche, alle patologie che riguardano sei prodotti su dieci extra Ue importati. «Per garantire reddito ai nostri agricoltori e salute ai cittadini», sostiene il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, «c’è solo una strada: l’etichetta d’origine e noi questo chiediamo all’Europa con la forza di un milione di firme».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 17 settembre con Carlo Cambi
Dario Franceschini (Imagoeconomica)
Papa Leone XIV (Getty Images)
Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)