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2020-09-18
Nuovo trucco Ong: tuffo in mare e salvataggio
Ansa
I 76 immigrati «volontari» hanno indossato un giubbotto salvagente color arancio ciascuno e si sono tuffati in mare. Ufficialmente è per una protesta. Ma in realtà è perché così la nostra Guardia costiera è costretta a recuperarli. O, almeno, è questo, a quanto risulta alla Verità, il pensiero comune tra i soccorritori. Aggirati i divieti previsti dai Decreti sicurezza, sono partite decine di comunicazioni notturne inviate alla Capitaneria di porto. Il pressing della Ong Open Arms si è concentrato su asseriti «problemi di sicurezza» a bordo, perché gli immigrati volevano sbarcare a tutti i costi. La strategia è continuata sui social: «Da ieri (martedì per chi legge ndr) davanti al porto di Palermo, come da indicazioni, siamo rimasti in attesa di istruzioni per sbarcare cercando di gestire la situazione critica a bordo». Poi, i tuffi. I 76 della protesta sono stati tutti recuperati dalle motovedette della Capitaneria di porto prima che raggiungessero a nuoto la terraferma. Fanno parte dei 275 (provenienti da Egitto, Burkina Faso, Ghana, Siria e Costa d'Avorio), tra i quali ci sarebbero anche 56 minori, tirati su in tre distinti interventi dalla nave della Ong Spagnola, che dopo aver tentato un approdo a Malta ha puntato verso Palermo. «L'altro giorno», ha twittato la Ong, «momenti di tensione sulla Open Arms dopo la risposta negativa di Malta di concedere riparo per il temporale». E dopo aver ricevuto il solito «niet» definitivo dalle autorità maltesi, alcuni immigrati si sono buttati giù dalla nave. È a quel punto che Roma ha concesso alla nave spagnola di dirigersi verso Palermo, con l'ordine di tenersi ad almeno cinque miglia dalla costa, in attesa di successive indicazioni. Una volta giunta di fronte al porto siciliano, la Open Arms ha chiesto istruzioni al Viminale sulla possibilità di sbarco. Ma la pressione sull'Italia è cominciata martedì: «Continuiamo a ripararci in acque territoriali italiane, con grande tensione a bordo». E siccome i tuffi in mare avevano già funzionato, gli immigrati ci hanno riprovato. Qualcuno ha fornito loro i giubbotti di salvataggio e uno dopo l'altro si sono tuffati. Open Arms pian piano si è avvicinata alla costa, fermandosi a meno di un miglio, nello specchio d'acqua del porto, a poche centinaia di metri dalla Sea Watch 4.
I 76 che si erano tuffati, dopo gli accertamenti sanitari, saliranno sulla nave Allegra, che nel frattempo ha fatto sbarcare 41 minori non accompagnati e una decina di donne.
E mentre la Ong spagnola attende indicazioni dal governo italiano, fa sapere che «tutte le persone che soccorriamo fuggono da contesti di violenza nei propri Paesi di origine e rischiano la vita in mare in cerca di un futuro migliore per loro e per le proprie famiglie. Quello che vogliono è costruirsi un futuro in paesi democratici dove possano vivere in pace e sicurezza». È per questo motivo che la Ong, sostenuta anche da Emergency, propone «protocolli di ricerca e soccorso strutturali». La finalità è un «approdo in un porto sicuro come previsto dalle Convenzioni internazionali, dal diritto del mare, e dalle costituzioni democratiche». L'ultima comunicazione usata come una leva per tentare di aprire il porto è questa: «A bordo alcune delle persone salvate presentano ustioni di terzo grado, problemi di salute e sintomi da stress post traumatico dovuti alla violenza o agli abusi che hanno subito nei Paesi di origine e di transito, oltre che alla dura traversata in mare». Il leader del Carroccio Matteo Salvini ha sparato ad alzo zero: «Dall'Europa sono arrivate solo parole, ma la certezza è che al momento ci sono 2.000 clandestini a bordo di navi da crociera al largo della Sicilia, a spese degli italiani, e altri 275 stanno arrivando a bordo di una nave di una Ong spagnola, visto che sono stati rifiutati da Malta. L'Italia non può essere il campo profughi d'Europa». Anche il governatore siciliano Nello Musumeci è stato molto duro: «Leggere sui giornali che l'Europa cambia la linea sui migranti, mentre tutte le Ong si dirigono solo verso i porti siciliani, suona come una beffa. Sembra che la cosa non interessi più a nessuno, ma continua ad essere la Sicilia a sostenere il peso più grande di questa emergenza nell'emergenza».
Il fronte caldo dell'immigrazione resta la Sicilia. Sette dei 60 sbarcati sulla spiaggia di Calamosche, nell'area della riserva naturale di Vendicari, a Sud di Siracusa, sono risultati positivi al Covid. Ora sono su una nave per la quarantena ormeggiata nella rada di Siracusa. E Musumeci comincia a perdere la pazienza: «Non si è visto un solo intervento concreto per restituire sicurezza sanitaria a quei luoghi e alla nostra popolazione. Tanti impegni ma nessun fatto concreto. Quando le parole diventeranno azioni? Siate veloci, presidente Conte e ministro Lamorgese, come fate quando impugnate una nostra ordinanza. Non costringeteci ad agire di nuovo». Ma anche in Sardegna continuano gli arrivi. Ieri un tentativo di sbarco si è trasformato in tragedia: un barchino con 14 persone a bordo è affondato. C'è un disperso.
Sul patto di Dublino solo parole Italia ostaggio degli Stati del Nord
«Aboliremo il trattato di Dublino». La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di chiusura sullo stato dell'Unione al Parlamento europeo dopo aver parlato di lavoro, clima e lotta al virus ha lanciato il suo annuncio bomba: «Nel nuovo piano sulle migrazioni sostituiremo il regolamento di Dublino con un nuovo sistema europeo di governance delle migrazioni. Avrà strutture comuni per l'asilo e per i rimpatri e un forte meccanismo di solidarietà». La revisione di Dublino significherebbe mettere fine alla norma dello «Stato di primo approdo», che obbliga soprattutto Italia e Grecia a farsi carico - per mesi e spesso anni - di tutti i richiedenti asilo che sbarcano sulle coste europee. L'annuncio è stato subito osannato dal governo giallorosso, anche se non c'è niente di chiaro né definitivo visto che sarà presentato soltanto mercoledì prossimo, il giorno prima dell'inizio del Consiglio europeo con tutti i capi di Stato e di governo dell'Ue. Difficile quindi che il nuovo Migration Pact possa trovare subito accoglienza e condivisione anche se la von der Leyen ha sottolineato: «Salvare vite umane non è un optional. E quei Paesi che adempiono ai loro doveri giuridici e morali o che sono più esposti di altri devono poter contare sulla solidarietà dell'intera Ue. Voglio essere chiara, se noi acceleriamo, mi aspetto che accelerino anche tutti gli Stati membri». L'Italia, già con l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini premeva per rendere obbligatorio il meccanismo di ripartizione dei migranti recuperati in mare ma essendo l'adesione volontaria, ad ogni sbarco il nostro Paese è costretto a una trattativa spesso inconcludente. Comunque l'avviso della presidente sembra diretto ai Paesi del blocco nordeuropeo, da sempre sordi alla condivisione degli immigrati. Il blocco di Visegrad e l'Austria non sono mai stati propensi a prendere «quote di stranieri». A mettere i puntini sulle i è subito Giorgia Meloni, leader di Fdi: «Il trattato riguarda i rifugiati che sono il 10% dei migranti che arrivano da noi. Ma noi dobbiamo risolvere il problema del rimanente 90%, cioè degli immigrati clandestini che noi, anche se modificassimo cento volte il decreto di Dublino, non potremmo comunque ricollocare in Europa».
Il piano non è ancora noto ma Ursula von der Layen ha già fatto capire che non vuole ripetere il flop del 2015, quando il suo predecessore, Jean- Claude Juncker, lanciò la sua riforma che però venne bocciata da alcuni governi: «Se facciamo compromessi possiamo trovare soluzioni. I governi che fanno di più e sono più esposti ai flussi devono poter contare sulla solidarietà europea». Quello che anticipa è che ci sarà «un link tra asilo e rimpatri con la distinzione tra chi avrà diritto di rimanere e chi no». L'obiettivo di fondo sarà costruire «confini esterni forti e vie legali di migrazione». Una rassicurazione per i Paesi che lei definisce «portatori di odio» e un gesto di «riguardo» per l'Italia. Tutto apparentemente gratis come il Recovery fund? Vedremo quando si passerà dagli annunci ai fatti concreti.
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La nave spagnola Open Arms è riuscita a far recuperare dalla nostra Guardia costiera 76 migranti al largo di Palermo. Lo schema? Avvicinarsi alle coste italiane, lanciare un allarme e far immergere i migranti dotati di salvagente. Il recupero, così, diventa obbligato.Nonostante i proclami di Ursula von der Leyen, Germania e soci non ci aiuteranno.Lo speciale contiene due articoliI 76 immigrati «volontari» hanno indossato un giubbotto salvagente color arancio ciascuno e si sono tuffati in mare. Ufficialmente è per una protesta. Ma in realtà è perché così la nostra Guardia costiera è costretta a recuperarli. O, almeno, è questo, a quanto risulta alla Verità, il pensiero comune tra i soccorritori. Aggirati i divieti previsti dai Decreti sicurezza, sono partite decine di comunicazioni notturne inviate alla Capitaneria di porto. Il pressing della Ong Open Arms si è concentrato su asseriti «problemi di sicurezza» a bordo, perché gli immigrati volevano sbarcare a tutti i costi. La strategia è continuata sui social: «Da ieri (martedì per chi legge ndr) davanti al porto di Palermo, come da indicazioni, siamo rimasti in attesa di istruzioni per sbarcare cercando di gestire la situazione critica a bordo». Poi, i tuffi. I 76 della protesta sono stati tutti recuperati dalle motovedette della Capitaneria di porto prima che raggiungessero a nuoto la terraferma. Fanno parte dei 275 (provenienti da Egitto, Burkina Faso, Ghana, Siria e Costa d'Avorio), tra i quali ci sarebbero anche 56 minori, tirati su in tre distinti interventi dalla nave della Ong Spagnola, che dopo aver tentato un approdo a Malta ha puntato verso Palermo. «L'altro giorno», ha twittato la Ong, «momenti di tensione sulla Open Arms dopo la risposta negativa di Malta di concedere riparo per il temporale». E dopo aver ricevuto il solito «niet» definitivo dalle autorità maltesi, alcuni immigrati si sono buttati giù dalla nave. È a quel punto che Roma ha concesso alla nave spagnola di dirigersi verso Palermo, con l'ordine di tenersi ad almeno cinque miglia dalla costa, in attesa di successive indicazioni. Una volta giunta di fronte al porto siciliano, la Open Arms ha chiesto istruzioni al Viminale sulla possibilità di sbarco. Ma la pressione sull'Italia è cominciata martedì: «Continuiamo a ripararci in acque territoriali italiane, con grande tensione a bordo». E siccome i tuffi in mare avevano già funzionato, gli immigrati ci hanno riprovato. Qualcuno ha fornito loro i giubbotti di salvataggio e uno dopo l'altro si sono tuffati. Open Arms pian piano si è avvicinata alla costa, fermandosi a meno di un miglio, nello specchio d'acqua del porto, a poche centinaia di metri dalla Sea Watch 4. I 76 che si erano tuffati, dopo gli accertamenti sanitari, saliranno sulla nave Allegra, che nel frattempo ha fatto sbarcare 41 minori non accompagnati e una decina di donne.E mentre la Ong spagnola attende indicazioni dal governo italiano, fa sapere che «tutte le persone che soccorriamo fuggono da contesti di violenza nei propri Paesi di origine e rischiano la vita in mare in cerca di un futuro migliore per loro e per le proprie famiglie. Quello che vogliono è costruirsi un futuro in paesi democratici dove possano vivere in pace e sicurezza». È per questo motivo che la Ong, sostenuta anche da Emergency, propone «protocolli di ricerca e soccorso strutturali». La finalità è un «approdo in un porto sicuro come previsto dalle Convenzioni internazionali, dal diritto del mare, e dalle costituzioni democratiche». L'ultima comunicazione usata come una leva per tentare di aprire il porto è questa: «A bordo alcune delle persone salvate presentano ustioni di terzo grado, problemi di salute e sintomi da stress post traumatico dovuti alla violenza o agli abusi che hanno subito nei Paesi di origine e di transito, oltre che alla dura traversata in mare». Il leader del Carroccio Matteo Salvini ha sparato ad alzo zero: «Dall'Europa sono arrivate solo parole, ma la certezza è che al momento ci sono 2.000 clandestini a bordo di navi da crociera al largo della Sicilia, a spese degli italiani, e altri 275 stanno arrivando a bordo di una nave di una Ong spagnola, visto che sono stati rifiutati da Malta. L'Italia non può essere il campo profughi d'Europa». Anche il governatore siciliano Nello Musumeci è stato molto duro: «Leggere sui giornali che l'Europa cambia la linea sui migranti, mentre tutte le Ong si dirigono solo verso i porti siciliani, suona come una beffa. Sembra che la cosa non interessi più a nessuno, ma continua ad essere la Sicilia a sostenere il peso più grande di questa emergenza nell'emergenza». Il fronte caldo dell'immigrazione resta la Sicilia. Sette dei 60 sbarcati sulla spiaggia di Calamosche, nell'area della riserva naturale di Vendicari, a Sud di Siracusa, sono risultati positivi al Covid. Ora sono su una nave per la quarantena ormeggiata nella rada di Siracusa. E Musumeci comincia a perdere la pazienza: «Non si è visto un solo intervento concreto per restituire sicurezza sanitaria a quei luoghi e alla nostra popolazione. Tanti impegni ma nessun fatto concreto. Quando le parole diventeranno azioni? Siate veloci, presidente Conte e ministro Lamorgese, come fate quando impugnate una nostra ordinanza. Non costringeteci ad agire di nuovo». Ma anche in Sardegna continuano gli arrivi. Ieri un tentativo di sbarco si è trasformato in tragedia: un barchino con 14 persone a bordo è affondato. C'è un disperso. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nuovo-trucco-ong-tuffo-in-mare-e-salvataggio-2647702342.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sul-patto-di-dublino-solo-parole-italia-ostaggio-degli-stati-del-nord" data-post-id="2647702342" data-published-at="1600382011" data-use-pagination="False"> Sul patto di Dublino solo parole Italia ostaggio degli Stati del Nord «Aboliremo il trattato di Dublino». La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di chiusura sullo stato dell'Unione al Parlamento europeo dopo aver parlato di lavoro, clima e lotta al virus ha lanciato il suo annuncio bomba: «Nel nuovo piano sulle migrazioni sostituiremo il regolamento di Dublino con un nuovo sistema europeo di governance delle migrazioni. Avrà strutture comuni per l'asilo e per i rimpatri e un forte meccanismo di solidarietà». La revisione di Dublino significherebbe mettere fine alla norma dello «Stato di primo approdo», che obbliga soprattutto Italia e Grecia a farsi carico - per mesi e spesso anni - di tutti i richiedenti asilo che sbarcano sulle coste europee. L'annuncio è stato subito osannato dal governo giallorosso, anche se non c'è niente di chiaro né definitivo visto che sarà presentato soltanto mercoledì prossimo, il giorno prima dell'inizio del Consiglio europeo con tutti i capi di Stato e di governo dell'Ue. Difficile quindi che il nuovo Migration Pact possa trovare subito accoglienza e condivisione anche se la von der Leyen ha sottolineato: «Salvare vite umane non è un optional. E quei Paesi che adempiono ai loro doveri giuridici e morali o che sono più esposti di altri devono poter contare sulla solidarietà dell'intera Ue. Voglio essere chiara, se noi acceleriamo, mi aspetto che accelerino anche tutti gli Stati membri». L'Italia, già con l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini premeva per rendere obbligatorio il meccanismo di ripartizione dei migranti recuperati in mare ma essendo l'adesione volontaria, ad ogni sbarco il nostro Paese è costretto a una trattativa spesso inconcludente. Comunque l'avviso della presidente sembra diretto ai Paesi del blocco nordeuropeo, da sempre sordi alla condivisione degli immigrati. Il blocco di Visegrad e l'Austria non sono mai stati propensi a prendere «quote di stranieri». A mettere i puntini sulle i è subito Giorgia Meloni, leader di Fdi: «Il trattato riguarda i rifugiati che sono il 10% dei migranti che arrivano da noi. Ma noi dobbiamo risolvere il problema del rimanente 90%, cioè degli immigrati clandestini che noi, anche se modificassimo cento volte il decreto di Dublino, non potremmo comunque ricollocare in Europa». Il piano non è ancora noto ma Ursula von der Layen ha già fatto capire che non vuole ripetere il flop del 2015, quando il suo predecessore, Jean- Claude Juncker, lanciò la sua riforma che però venne bocciata da alcuni governi: «Se facciamo compromessi possiamo trovare soluzioni. I governi che fanno di più e sono più esposti ai flussi devono poter contare sulla solidarietà europea». Quello che anticipa è che ci sarà «un link tra asilo e rimpatri con la distinzione tra chi avrà diritto di rimanere e chi no». L'obiettivo di fondo sarà costruire «confini esterni forti e vie legali di migrazione». Una rassicurazione per i Paesi che lei definisce «portatori di odio» e un gesto di «riguardo» per l'Italia. Tutto apparentemente gratis come il Recovery fund? Vedremo quando si passerà dagli annunci ai fatti concreti.
Getty Images
E come si può chiamare un tizio che promette «appena posso (violare la legge, ndr) lo rifaccio»?. «Costi quel che costi», disse Luca Casarini, «al vostro ordine continuerò a disobbedire, perché obbedisco ad altro, di fronte al quale le vostre leggi ingiuste e criminali, ciniche e orribili non possono niente». Quelle contestate sono le leggi dello Stato italiano, approvate dal Parlamento italiano, vigilate dalla Corte costituzionale italiana, rispettate dalla maggioranza degli italiani. Ma per Casarini e compagni si possono ignorare. Anzi, si devono violare. E nessuno può permettersi il diritto di critica e di chiamarli pirati. «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno», disse Beppe Caccia, capo missione di Mediterranea, «ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana, alle leggi dell’umanità». Chi si può arrogare il diritto di stabilire che ci si può infischiare di una legge? Ve la immaginate quale sarebbe la reazione di fronte a un tizio che ignora il codice della strada o la normativa fiscale e dice che lui risponde a una legge superiore? E vi ricorda qualche cosa la definizione di «legge criminale»? Negli anni della contestazione lo Stato era criminale, le misure repressive, i divieti autoritari. Come sia finita si sa.
Il soccorso in mare ha un obiettivo politico: è un’azione che mira a «contrastare e a sovvertire il sistema capitalista e patriarcale» come ha spiegato don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea. «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo», ha aggiunto Carola Rackete, la capitana che nella foga di attraccare nonostante le fosse stato negato il diritto allo sbarco andò a sbattere con la sua nave contro una motovedetta della Guardia di finanza. E costoro non si possono definire pirati? Chiamarli tali, perché come diceva il filosofo Giulio Giorello a proposito dei bucanieri, ritengono la loro coscienza «superiore a ogni legge», sarebbe diffamatorio? E quale offesa alla propria reputazione, quale danno, avrebbero patito, di grazia? È evidente che le querele hanno un obiettivo: tappare la bocca a chi esprime un giudizio critico, impedire alla libera stampa di dire quel che pensa e di chiamare le cose con il loro nome.
Da una settimana si discute di giornali comprati e venduti, perché John Elkann ha messo in vendita Repubblica e La Stampa. Ma la minaccia all’articolo 21 della Costituzione non viene da un imprenditore greco o italiano che compra una testata, bensì dal tentativo di imbavagliare chi si oppone, con le inchieste e le notizie, alla strategia dell’immigrazione, arma - come predica don Ferrari - usata per abbattere il sistema capitalistico e patriarcale. Sono certo che di fronte alla sentenza contro Panorama non si leveranno le voci degli indignati speciali. Quelle si alzano solo quando condannano Roberto Saviano a pagare mille euro per aver chiamato bastardi Meloni e Salvini. Visti i risultati, mi conveniva titolare «I nuovi bastardi».
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Giorgia Meloni (Ansa)
La commissione per le libertà civili dell’Eurocamera e i negoziatori del Consiglio hanno concordato informalmente le nuove norme in base alle quali gli Stati membri possono decidere che un Paese extra Ue sia da considerarsi Paese terzo sicuro (Stc) nei confronti di un richiedente asilo che non ne è cittadino. Alla base di tutto c’è stata un’iniziativa del governo di Giorgio Meloni e l’appoggio di Ursula von der Leyen, che aveva capito che bisognava intervenire contro le interpretazioni creative.
La Commissione ha subito emesso una nota di soddisfazione: «Queste nuove norme aiuteranno gli Stati membri ad accelerare il trattamento delle domande di asilo, a ridurre la pressione sui sistemi di asilo e a ridurre gli incentivi alla migrazione illegale verso l’Ue, preservando nel contempo le garanzie giuridiche per i richiedenti e garantendo il rispetto dei diritti fondamentali».
Il fronte contrario a una miglior specificazione del concetto di Paese sicuro teme che le nuove regole possano tradursi in una minor tutela dei richiedenti asilo. Ma dall’altro, i contrari non sembrano propensi ad ammettere che i Paesi veramente democratici, almeno secondo i canoni occidentali, sono sempre meno.
A margine del Consiglio europeo, Giorgia Meloni, insieme ai colleghi danese, Mette Frederiksen, e olandese, Dick Schoof, ha ospitato una nuova riunione informale dei 15 Stati membri più interessati al tema delle soluzioni in ambito migratorio.
Insieme a Italia, Danimarca, Paesi Bassi e Commissione europea, hanno preso parte all’incontro i leader di Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Germania, Grecia, Polonia, Repubblica ceca, Lettonia, Malta, Ungheria e Svezia.
In questa sede, come spiega una nota di Palazzo Chigi, il premier italiano ha aggiornato i colleghi sul lavoro in corso «sul tema della capacità delle Convenzioni internazionali di rispondere alle sfide della migrazione irregolare e sulle prossime iniziative previste».
Dopo il risultato dello scorso 10 dicembre, quando 27 Stati membri del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto la dichiarazione politica italo-danese, ora il lavoro continua in vista della Ministeriale del Consiglio d’Europa, sotto la presidenza moldava, del prossimo 15 maggio.
I leader hanno anche concordato di lanciare iniziative congiunte anche nei diversi contesti internazionali, a partire dall’Onu, per «promuovere più efficacemente l’approccio europeo ad una gestione ordinata dei flussi migratori».
Per Alessandro Ciriani, eurodeputato di Fdi-Ecr e relatore per il Parlamento europeo del dossier sui Paesi terzi sicuri, «la lista concordata - che comprende, oltre ai Paesi candidati, Egitto, Bangladesh, Tunisia, India, Colombia, Marocco e Kosovo - produrrà effetti immediati sulle pratiche di esame delle domande di protezione internazionale, accelerando le procedure e rafforzando la certezza applicativa». In generale, per Ciriani «è un momento storico: grazie al lavoro del governo italiano, anche in Europa si supera la polarizzazione politica in tema di immigrazione e si sceglie la via del buonsenso».
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Carola Rackete (Getty Images)
Era marzo 2021 e così prometteva di sfidare la magistratura Luca Casarini, fondatore e capomissione di Mediterranea Saving Humans. L’ex disobbediente del Nord-Est dichiarava di voler continuare a non rispettare le regole, l’ha ribadito anche lo scorso ottobre in apertura del processo a Ragusa dove è accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante di averne tratto profitto. «¡Aquí no se rinde nadie! qui non si arrende nessuno», terminò il suo post su Facebook poco prima dell’udienza, citando la frase pronunciata dal comandante rivoluzionario Juan Almeida Bosque durante lo sbarco dei guerriglieri a Cuba. Casarini non riconosce la legge e poco importa se traveste l’inosservanza con scuse umanitarie: la lista dei disobbedienti per torti e offese subìte sarebbe interminabile, mentre in uno Stato di diritto non si fa giustizia a propria misura calpestando l’ordinamento.
Il capomissione della Ong si vanta di essere un trasgressore, solca i mari con «la nave dei centri sociali» agendo senza regole se non le condivide. «Io ho fatto del ragionamento sulla disobbedienza una caratteristica della mia vita [...] Sono i governi che violano continuamente la legge», è una sua precedente affermazione datata marzo 2019 in piena vicenda Mare Jonio, la barca entrata nel porto di Lampedusa malgrado il no del Viminale allora retto da Matteo Salvini.
Non è da meno il capo missione di Mediterranea, Beppe Caccia, che lo scorso agosto ammetteva con orgoglio di avere infranto la legge: «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno. Ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana e alle leggi dell’umanità». No, la Costituzione afferma che la legge è uguale per tutti, senza distinzioni di sorta e che tutti sono tenuti a rispettarla.
Eppure Carola Rackete si è vantata più volte di averla calpestata nel nostro Paese. La comandante tedesca della nave Sea Watch 3, che con le sue 650 tonnellate di stazza aveva investito la motovedetta della Guardia di finanza colpevole solo di avere intimato l’alt, nel giugno del 2019 giustificava l’azione. «Non è stato un atto di violenza. Solo di disobbedienza. Ma ho sbagliato la manovra. Per me era vietato obbedire. Mi chiedevano di riportarli in Libia. Ma per la legge sono persone che fuggono da un Paese in guerra, la legge vieta che io le possa riportare là», era la sua strabiliante versione accolta anche dal gip del tribunale di Agrigento che archiviò le accuse di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e disobbedienza a nave da guerra. Salvini protestò: «Quindi, se capisco bene la sentenza, speronare una motovedetta militare italiana con uomini a bordo non è reato. Torniamo ai tempi dei pirati… No comment». Rackete un mese dopo tornava a vantarsi: «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal Decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo. Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice».
In quest’ottica, l’assurdità dei decreti legge emanati durante l’emergenza Covid dovrebbero giustificare gli atti di disobbedienza compiuti, anche con il rifiuto di vaccinarsi che invece è stato perseguito e punito. Spesso il principio di legalità non ha affatto rappresentato la massima garanzia di libertà, anzi ha modificato diritti fondamentali dei cittadini e chi si è ribellato ne ha pagato le conseguenze. Solo le Ong sarebbero libere di infrangere le leggi?
Nel maggio del 2024 associazioni come Baobab experience, Collettivo rotte balcaniche, Linea d’ombra, Kitchen on borders difendevano un network nato «nell’autodenuncia della propria pratica quotidiana di disobbedienza civile, contro le politiche migratorie italiana ed europea, contro i confini interni ed esterni».
E se ci si mette anche la Chiesa, la disobbedienza può appare il nuovo credo a cui dare ascolto. In spregio alle leggi e ai tribunali, stando alle parole di don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea Saving Humans. «La morale per noi invece è che tu devi lottare accanto a chi è oppresso. Tu devi contrastare questo sistema. Tu devi sovvertire questo sistema capitalista e patriarcale. E allora abbiamo introdotto l’espressione disobbedienza morale», spiegava nel luglio del 2023.
Anche Alessandra Sciurba, già presidente di Mediterranea Saving Humans, nel 2020 parlava di «disobbedienza morale e obbedienza civile» che l’aveva animata a soccorrere migranti sulla barca a vela Alex sfidando decreti-legge e imposizioni governative illegittimi. È la stessa Associazione di promozione sociale (Aps) in cui si è trasformata Mediterranea a lamentarsi perché «le Ong sono costrette a spendere una gran quantità di tempo e risorse per contestare la restrittiva legislazione italiana e i fermi amministrativi arbitrariamente imposti». Navigano contro legge.
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David Neres festeggia con Rasmus Hojlund dopo aver segnato il gol dell'1-0 durante la semifinale di Supercoppa italiana tra Napoli e Milan a Riyadh (Ansa)
Nella prima semifinale in Arabia Saudita i campioni d’Italia superano 2-0 i rossoneri con un gol per tempo di Neres e Hojlund. Conte: «Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza». Allegri: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà».
È il Napoli la prima finalista della Supercoppa italiana. All’Alawwal Park di Riyadh, davanti a 24.941 spettatori, i campioni d’Italia superano 2-0 il Milan al termine di una semifinale mai realmente in discussione e torneranno lunedì nello stadio dell’Al Nassr per giocarsi il primo trofeo stagionale contro la vincente di Bologna-Inter, in programma domani sera.
Decidono un gol per tempo di Neres e Hojlund, protagonisti assoluti di una gara che la squadra di Antonio Conte ha interpretato con maggiore lucidità, intensità e qualità rispetto ai rossoneri. Il pubblico saudita, arrivato a scaglioni sugli spalti come da consuetudine locale, si è acceso soprattutto per Luka Modric durante il riscaldamento, più inquadrato sugli smartphone che realmente seguito sul campo, ma alla lunga è stato il Napoli a prendersi scena e risultato. Un successo meritato per i partenopei che rispetto al Milan hanno dimostrato di avere più idee e mezzi per colpire.
Conte ha scelto la miglior formazione possibile, confermando il 3-4-2-1 con l’unica eccezione rispetto alle ultime gare di campionato che riguarda il ritorno tra i titolari di Politano al posto di Lang. Davanti la coppia McTominay-Neres ad agire alle spalle di Hojlund. Ed è stato proprio il centravanti danese uno dei protagonisti del match e della vittoria del Napoli, mettendo lo zampino in entrambi i gol e facendo impazzire in marcatura De Winter. L’ex difensore del Genoa è stato scelto da Allegri come perno della difesa a tre per sostituire l'infortunato Gabbia, un’assenza che alla fine dei conti si è rivelata più pesante del previsto. Ma se quella del difensore centrale era praticamente una scelta obbligata, il turnover applicato in mezzo al campo e sulla corsia di destra non ha restituito gli effetti desiderati. Nel solito 3-5-2 hanno trovato spazio dal primo minuto anche Jashari e Loftus-Cheek, titolari al posto di Modric e Fofana, ed Estupinan per far rifiatare Bartesaghi, uno degli uomini più in forma tra i rossoneri.
Il Napoli ha preso infatti fin da subito l’iniziativa, con Elmas al tiro già al 2’ e con Maignan attento a bloccare senza problemi. Il Milan ha poi avuto due ghiotte occasioni: al 5’ sugli sviluppi di una rimessa laterale Pavlovic ha tentato una rovesciata, il pallone è arrivato a Loftus-Cheek che, solo davanti a Milinkovic-Savic, ha mancato incredibilmente l’impatto; al 16' Saelemaekers ha sprecato calciando alto da buona posizione. È l’illusione rossonera, perché da quel momento sono i partenopei a comandare il gioco. Al 32' McTominay ha sfiorato il vantaggio con un destro di prima poco fuori, mentre Nkunku al 37’ ha confermato il suo momento negativo non inquadrando nemmeno la porta a conclusione di un contropiede che poteva cambiare la partita. Partita che è cambiata in maniera decisiva due minuti dopo, al 39’, quando è arrivato il gol che ha sbloccato la semifinale: da un'azione insistita di Elmas sulla sinistra, il pallone è arrivato a Hojlund il cui tiro in diagonale ha messo in difficoltà Maignan. La respinta troppo corta del portiere francese è finita sui piedi di Neres, il più rapido ad avventarsi sul pallone e a depositarlo in rete. Il Napoli è andato vicino al raddoppio già prima dell’intervallo con un altro contropiede orchestrato da Elmas e concluso da Hojlund, su cui Maignan ha dovuto compiere un mezzo miracolo.
Nella ripresa il copione non è cambiato. Rrahmani ha impegnato ancora Maignan da fuori area, poi al 64’ è arrivato il 2-0 che ha chiuso la partita: Spinazzola ha affondato a sinistra e servito Hojlund, veloce e preciso a finalizzare con freddezza, firmando così una prestazione dominante contro un De Winter in grande difficoltà. Allegri ha provato a cambiare volto alla gara passando al 4-1-4-1 con l’ingresso di Fofana e Athekame, ma il Milan non è riuscito di fatto mai a rientrare davvero in partita. Anzi. Al 73' uno scatenato Hojlund ha sfiorato la doppietta personale. Poi, al 75', il Milan ha regalato alla parte di stadio rossonera la gioia più grande di tuta la serata, ovvero l'ingresso in campo di Modric. Il croato è entrato tra gli applausi del pubblico, ma è solo una nota di colore in una serata che resta saldamente nelle mani del Napoli. Nel finale spazio anche a qualche tensione, sia in campo che in panchina. Prima le scintille tra Tomori e McTominay, ammoniti entrambi da Zufferli. Poi, in pieno recupero, un battibecco verbale tra Oriali e Allegri. E mentre scorrevano i sette minuti di recupero concessi dal direttore di gara, accompagnato dal coro dei tifosi sauditi di fede azzurra «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi», è arrivato il verdetto definitivo.
Nel post partita Massimiliano Allegri ha riconosciuto i meriti degli avversari: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà». Sull’eliminazione da Coppa Italia e Supercoppa è stato netto: «Siamo dispiaciuti, ma il nostro obiettivo resta la qualificazione in Champions, che è un salvavita per la società». Di tutt’altro tono Antonio Conte, soddisfatto della risposta della sua squadra: «Battere il Milan fa morale. Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza. Con energia, anche in emergenza, siamo difficili da affrontare». Parole di elogio per Hojlund: «Ha 22 anni, grandi margini di crescita e oggi è stato determinante. Sta capendo sempre di più quello che gli chiedo».
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