2020-04-19
Nuovo rinvio, il decreto aprile slitta a maggio
Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri (Ansa)
Il governo fa saltare il voto sullo scostamento di bilancio per fantomatiche «ragioni tecniche». In realtà Conte e Gualtieri hanno paura di Bruxelles e attendono il Consiglio europeo. E così la promessa di 70 miliardi di aiuti torna nel cassettoL’allarme l’ha lanciato ieri a ora di pranzo su Twitter Alberto Bagnai (Lega), presidente della commissione Finanze del Senato: «Il governo non ci porterà in votazione lo scostamento la prossima settimana. Si vede che ancora a Bruxelles non hanno deciso». Più tardi, nel pomeriggio, la notizia ha fatto capolino - pudicamente - sulle agenzie. Ecco un lancio Ansa: «Slitta di due giorni la lettera del governo al Parlamento per chiedere un nuovo scostamento di bilancio, con l’autorizzazione a coprire in deficit le misure del decreto aprile. Il documento era atteso in Cdm lunedì ma», scrive l’agenzia citando anonime fonti di governo, «il rinvio sarebbe dettato da “ragioni tecniche”: la richiesta di scostamento dovrebbe essere approvata insieme al Def che disegnerà il nuovo quadro macroeconomico. Dovrebbe esserci un’approvazione congiunta e un voto unico in Parlamento». E in effetti, scorrendo il programma dei lavori parlamentari, per il momento sia l’Aula della Camera sia quella del Senato indicano solo (per martedì) un’informativa di Giuseppe Conte (senza voto) «sulle recenti iniziative del governo per fronteggiare l’emergenza epidemiologica in atto».Ma in tutta franchezza citare fantomatiche «ragioni tecniche» è un po’ come chiamare in causa misteriosi hacker quando i siti ministeriali collassano: sì, c’è sempre una ragione tecnica (come può sempre esserci un tentativo di intrusione telematica), ma la responsabilità della scelta è tutta politica, per quanto il governo cerchi di nasconderla, usando veline anonime come foglie di fico. Infatti, tutti gli altri principali Paesi europei, a economia forte o a economia debole, a debito basso o a debito alto, le loro misure anti emergenza le hanno già assunte massicciamente da tempo, senza attendere il semaforo verde di Bruxelles. Solo l’Italia le ha centellinate, rateizzate e sminuzzate, per non contrariare i cerberi Ue. Il che testimonia la totale dipendenza degli ulteriori provvedimenti che Conte e Roberto Gualtieri adotteranno dalle linee di credito che otterranno a Bruxelles.Se infatti il governo avesse voluto evitare di attendere, avrebbe dovuto riportare già da tempo in Parlamento (nella forma di una nuova relazione) la richiesta di ulteriore deroga ai saldi di finanza pubblica originariamente fissati per quest’anno, con relativa votazione a maggioranza assoluta. La cosa è avvenuta più di un mese fa solo per un importo di circa 20 miliardi (già utilizzati per il cosiddetto decreto marzo), e lì ci si è fermati, per il momento.Da questa scarsità di risorse sono derivati due effetti. Il primo è la catena di ritardi a cui abbiamo assistito nelle (scarse) prestazioni già decise. Essendo stato proclamato lo stato di emergenza il 31 gennaio, gli autonomi hanno visto i primi 600 euro intorno al 15 aprile, cioè 75 giorni dopo; se i dipendenti ricevessero la cassa integrazione il 30 aprile, per loro i giorni di attesa sarebbero a quel punto 90. Senza dire del decreto Liquidità di fatto senza munizioni, se non per importi simbolici (2,7 miliardi circa). Il secondo effetto è quello che vediamo sotto i nostri occhi: se slitta lo scostamento di bilancio, e se si attendono gli esiti del Consiglio europeo, a maggior ragione slitta il cosiddetto «decreto aprile». La Verità lo ha scritto prima di tutti (in versione online a Pasquetta e in versione cartacea martedì 14): la realtà è che, tragicomicamente, il «decreto aprile» arriverà… a maggio. E prima di Pasqua era stata la grillina Laura Castelli, viceministro dell’Economia, a farsi sfuggire la verità dello slittamento generale, «perché nella partita si infila il dibattito Ue».Ma cos’è questo ritardato (e ritardatario) decreto aprile? Si ricorderà che Conte aveva annunciato, dopo il Cura Italia di marzo, un provvedimento per il mese di aprile di misura almeno equivalente a quello adottato a marzo. Anzi, aveva assicurato che per le partite Iva il sussidio sarebbe salito da 600 a 800 euro, in questo secondo step.Ora la certezza è che tutto si allontana. Per tenere buona l’opinione pubblica, da ieri l’esecutivo ha inondato la stampa filogovernativa (cioè quasi tutta) di veline e anticipazioni per montare la panna: qualcuno (Repubblica) ha sparato la cifra di 45 miliardi come dimensione probabile del provvedimento, mentre il Corriere e il Sole hanno pensato di fare cifra tonda e spingersi a 70 miliardi, ma ammettendo che 30 servirebbero a finanziare i fondi di garanzia del decreto liquidità (per ora svuotato, come si è visto). Ma - cifre da titolo a parte - cosa c’è da attendersi? La replica dell’impalpabile pioggerellina di marzo: per gli autonomi, un’altra paghetta (800 euro e non 600); per i dipendenti, altre tre o quattro settimane di cassa integrazione; altre mini proroghe fiscali, dopo le beffe dei rinvii di marzo (di 4 giorni oppure di poche settimane, fino alla maxi stangata di giugno); un mini provvedimento per colf, badanti e baby sitter; un mini bonus per incoraggiare le vacanze in Italia; alcune assunzioni nella sanità; un ipotetico bonus una tantum per le famiglie con figli; e infine il fantomatico reddito di emergenza per chi non abbia altre coperture. Ma per il momento sono solo parole: bisognerà attendere ancora. Senza soldi.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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