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2020-02-27
Nuova giravolta: «Toni bassi». Ma derby d’Italia blindato, il governo è fuori controllo
I ministri Federico D'Inca', Roberto Speranza ed Elena Bonetti (Ansa)
Tamponi per tutti, tamponi per pochi; bar e musei serrati, bar e musei da riaprire; scuole deserte, scuole in attività; toni bassi in tv, ma derby d'Italia con stadio deserto in mondovisione. Sarà che la gente, più che dal coronavirus, s'è fatta contagiare dalla paura. Però pure chi dovrebbe proteggerla sembra preda, se non del panico, della confusione totale.
Sulla gestione dell'emergenza sanitaria, abbiamo assistito a una sfilata imbarazzante di tira e molla, fughe in avanti e marce indietro, accordi e disaccordi tra il governicchio e le Regioni (e in qualche caso, persino i Comuni hanno preso iniziative estemporanee). E la mancanza di una direzione chiara non ha contribuito a placare le ansie della popolazione, nonostante la parola d'ordine, in queste ora, sia «stop all'allarmismo».
Cominciamo dall'inversione a U sui test diagnostici. Scoppiata l'epidemia in Lombardia e Veneto, è partita un'affannosa rincorsa al tampone. Sabato scorso, in diretta al Tg 2, il sindaco di Vo' Euganeo dichiarava di voler sottoporre all'esame l'intera cittadinanza. La moltiplicazione dei tamponi - da noi ne sono stati somministrati circa 10.000, contro i circa 500 della Francia, i circa 1.000 della Germania, i circa 6.500 del Regno Unito - ha infiammato la polemica. E così, come annunciato ieri da Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e come ribadito dal commissario, Angelo Borrelli, la strategia è cambiata: tamponi solo a chi presenta i sintomi. Giusto. Ma se fino a tre giorni fa si accarezzava l'ipotesi di analizzare mezza Italia, come si può pretendere che le persone adesso si convincano che esami approfonditi sono inutili? Ci siamo comportati - comprensibilmente - come se ci aspettasse l'apocalisse zombi. Se l'allarme è sproporzionato, la colpa è di chi non l'ha gestito subito razionalmente. E ha lasciato campo libero alle decisioni, talora contraddittorie, dei governatori, per poi invocare i pieni poteri.
Pensate al coprifuoco per i pub. La Lombardia ne aveva disposto la chiusura a partire dalle 18. Sulla Verità ci siamo chiesti: il coronavirus si sveglia al tramonto? E se lo scopo - sacrosanto, per carità - era evitare gli assembramenti, perché ci si è premurati di bandire gli aperitivi meneghini e non le colazioni al bar? Contrordine, dunque: la Regione ha chiarito che i locali possono restare aperti, purché il servizio sia limitato ai tavoli all'aperto. Milano in questi giorni è semideserta, però siamo sicuri che i tavolini siano sempre disposti a due metri l'uno dall'altro, a prova di contagio? Anche qui, tuttavia, la tirata d'orecchie se la merita Giuseppe Conte: se voleva evitare svarioni dei governatori, non poteva svegliarsi subito, anziché farsi scappare la situazione di mano e poi minacciare usurpazioni, aprendo una polemica dal chiaro obiettivo anti leghista con Attilio Fontana, nel bel mezzo dell'emergenza?
Regna il caos pure sull'obbligo di comunicare alla Asl eventuali viaggi nella zona rossa: le Regioni, infatti, ieri non hanno siglato l'ordinanza, perché non condividono il provvedimento.
Per non parlare del braccio di ferro con il presidente delle Marche, Luca Ceriscioli, bloccato dal premier mentre annunciava in diretta la chiusura delle scuole. Conte si è detto «sorpreso» dall'intenzione del governatore dem di tirare dritto con l'ordinanza (Giuseppi cade ancora dal pero, come con il numero di contagi). Nel frattempo, pure la Campania ha disposto la chiusura delle scuole fino a sabato. Per il governicchio, è una misura non necessaria. I presidenti di Regione vogliono tutelare sé stessi e i cittadini, pure a costo di esagerare. In questo tiro alla fune, da che parte pende la ragione? Se nemmeno i governatori si fidano di Conte, perché devono farlo i cittadini? E poi, a cosa è servito blindare i musei a Milano, se il sindaco Beppe Sala ora chiede al titolare del Mibact, Dario Franceschini, di rimetterli in servizio? Perché i musei sì ma cinema e teatri no? E quali elementi scientifici dimostrano che l'epidemia è sotto controllo o in remissione, giustificando la riapertura? Al contrario, è la stessa Oms a paventare il pericolo pandemico: «Il mondo non è pronto».
D'altro canto, nel giorno in cui Repubblica scriveva di una telefonata partita da Palazzo Chigi all'ad della Rai, Fabrizio Salini, per chiedere alla tv pubblica di tenere i toni bassi in tg e talk show, veniva ufficializzato che Juventus-Inter si giocherà a porte chiuse. Sarà uno spettacolo surreale: una sfida scudetto trasmessa in mondovisione che si svolge in un silenzio tombale, rotto solo dalle imprecazioni degli allenatori. Il tutto, mentre le autorità francesi hanno dato il via libera ai tifosi bianconeri, che ieri sera hanno seguito i loro beniamini a Lione. Se il coronavirus è più o meno come l'influenza, se uccide soltanto i vecchi già malati, se in 4 casi su 5 provoca sintomi lievi, perché vietare al pubblico l'Allianz Stadium di Torino?
Anziché tranquillizzare il popolo di cui si proclamò avvocato, Giuseppi, che ha reclamato pieni poteri come un Matteo Salvini qualunque, sortirà l'effetto opposto. Le sue incertezze paiono il goffo maquillage di una situazione grave. Tanto più se, con il contributo di qualche virologo cooptato alla causa governativa, comincia a circolare la nuova suggestione medica: i positivi al virus non sono malati. I giallorossi, chiaramente, non si spingeranno fino a rivedere al ribasso i contagi censiti finora (mica siamo in Cina...). Però il meccanismo, insieme alla stretta sui tamponi, da oggi in poi potrebbe aiutare a limitare la casistica, simulando progressi inesistenti. E quest'ennesimo cambio in corsa alimenterà il timore più grande degli italiani: che qualcuno li prenda in giro e provi a occultare una sciagura.
Opposizione responsabile: vota sì al decreto
Alla Camera passa con 462 voti a favore e solo due contrari (tra cui Vittorio Sgarbi che ha dichiarato «chi vota a favore è responsabile di procurato allarme») il decreto che contiene le misure urgenti per fronteggiare la diffusione del contagio da coronavirus. Ora la palla passa al Senato. I leghisti ieri avevano dato chiara disponibilità a fare la loro parte e dire sì al provvedimento. «Votiamo per gli italiani e non per questo governo che dovrebbe andare a casa il più presto possibile», ha detto in aula Rossana Boldi della Lega.
La stessa linea collaborativa è arrivata anche da Forza Italia e Fratelli d'Italia (due forze di opposizione che per la verità, soprattutto la prima, hanno sin da subito mostrato un atteggiamento non ostile sul tema). L'opposizione, insomma, ha scelto di non mettersi di traverso e mettere il bene degli italiani colpiti a vario titolo dal virus in primo piano.
Rispetto al testo originario, il provvedimento è passato in commissione Affari sociali con alcune piccole modifiche.
La prima novità riguarda i militari impegnati nell'assicurare l'esecuzione delle misure sul coronavirus. A questi ultimi dovrà essere attribuita la qualifica di agenti di pubblica sicurezza. È stato approvato inoltre anche un emendamento dei deputati delle Autonomie per fare salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome. Più in generale, il contenuto del decreto legge numero 6 del 23 febbraio 2020 è ormai in gran parte noto. In primis, c'è l'isolamento delle cosiddette zone rosse.
Per le aree interessate dal contagio (quelle maggiori sono in Lombardia e Veneto) sono previsti il divieto di allontanamento e di accesso, la sospensione di manifestazioni di qualsiasi tipo, la chiusura di scuole e università e dei musei (ieri il sindaco di Milano ha chiesto di riaprirli), la quarantena per chi ha avuto contatti stretti con casi conclamati di malattia, la chiusura delle attività commerciali ad esclusione di quelle per l'acquisto di beni di prima necessità, la chiusura o limitazione degli uffici pubblici, la sospensione delle attività lavorative per le imprese, a esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare.
All'interno del testo del decreto, inoltre, si è voluto puntare l'accento anche sul lavoro da casa. Il lavoro agile o smart working diventa applicabile, «in via automatica» fino al 15 marzo nelle regioni al momento interessate dai contagi. In poche parole, ora per le aziende diventa molto più facile a livello burocratico permettere ai dipendenti di lavorare in remoto. Stop anche alle competizioni sportive nelle zone colpite dall'epidemia. Restano consentite le partite o gli allenamenti a porte chiuse nei Comuni che non figurano all'interno della zona rossa del contagio. Bloccate anche fino a metà marzo le gite scolastiche le visite culturali, i progetti di scambio e di gemellaggi. In più, la norma stabilisce che le assenze degli studenti superiori ai cinque giorni vadano giustificate con un certificato medico. In molte regioni, di norma, non è necessario portarlo.
Via anche all'insegnamento a distanza in tutti quei Comuni dove scuole e università sono chiuse.
Nelle regioni più colpite dal virus sono stati sospesi anche gli esami per avere la patente di guida che normalmente si tengono alla Motorizzazione.
Giù le serrande, infatti, per gli uffici della Motorizzazione civile di 14 province (Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Milano, Padova, Parma, Pavia, Piacenza, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza).
A questo decreto, va ricordato, se ne aggiungeranno altri due. Come ricordato dal ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, sono in arrivo altri due provvedimenti mirati a limitare i danni del virus sul piano economico.
Il primo riguarderà norme specifiche per la zona rossa, che dovrebbe arrivare venerdì e un altro focalizzato sulle imprese del turismo, il settore forse più colpito da quando l'epidemia del virus Covid-19 è scoppiata. In questo caso dovremo attendere almeno una decina di giorni per vedere un decreto.
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Riduci
Dopo le sue comparsate ansiogene, il premier accusa la Rai di terrorismo. Follia figlia del cambio di strategia in corsa. Così come la frenata sui tamponi e i bar (mezzi) riaperti.Alla Camera via libera di Lega, Fi e Fdi alle prime norme sull'emergenza. Esercito con funzioni di polizia.Lo speciale contiene due articoliTamponi per tutti, tamponi per pochi; bar e musei serrati, bar e musei da riaprire; scuole deserte, scuole in attività; toni bassi in tv, ma derby d'Italia con stadio deserto in mondovisione. Sarà che la gente, più che dal coronavirus, s'è fatta contagiare dalla paura. Però pure chi dovrebbe proteggerla sembra preda, se non del panico, della confusione totale.Sulla gestione dell'emergenza sanitaria, abbiamo assistito a una sfilata imbarazzante di tira e molla, fughe in avanti e marce indietro, accordi e disaccordi tra il governicchio e le Regioni (e in qualche caso, persino i Comuni hanno preso iniziative estemporanee). E la mancanza di una direzione chiara non ha contribuito a placare le ansie della popolazione, nonostante la parola d'ordine, in queste ora, sia «stop all'allarmismo».Cominciamo dall'inversione a U sui test diagnostici. Scoppiata l'epidemia in Lombardia e Veneto, è partita un'affannosa rincorsa al tampone. Sabato scorso, in diretta al Tg 2, il sindaco di Vo' Euganeo dichiarava di voler sottoporre all'esame l'intera cittadinanza. La moltiplicazione dei tamponi - da noi ne sono stati somministrati circa 10.000, contro i circa 500 della Francia, i circa 1.000 della Germania, i circa 6.500 del Regno Unito - ha infiammato la polemica. E così, come annunciato ieri da Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e come ribadito dal commissario, Angelo Borrelli, la strategia è cambiata: tamponi solo a chi presenta i sintomi. Giusto. Ma se fino a tre giorni fa si accarezzava l'ipotesi di analizzare mezza Italia, come si può pretendere che le persone adesso si convincano che esami approfonditi sono inutili? Ci siamo comportati - comprensibilmente - come se ci aspettasse l'apocalisse zombi. Se l'allarme è sproporzionato, la colpa è di chi non l'ha gestito subito razionalmente. E ha lasciato campo libero alle decisioni, talora contraddittorie, dei governatori, per poi invocare i pieni poteri.Pensate al coprifuoco per i pub. La Lombardia ne aveva disposto la chiusura a partire dalle 18. Sulla Verità ci siamo chiesti: il coronavirus si sveglia al tramonto? E se lo scopo - sacrosanto, per carità - era evitare gli assembramenti, perché ci si è premurati di bandire gli aperitivi meneghini e non le colazioni al bar? Contrordine, dunque: la Regione ha chiarito che i locali possono restare aperti, purché il servizio sia limitato ai tavoli all'aperto. Milano in questi giorni è semideserta, però siamo sicuri che i tavolini siano sempre disposti a due metri l'uno dall'altro, a prova di contagio? Anche qui, tuttavia, la tirata d'orecchie se la merita Giuseppe Conte: se voleva evitare svarioni dei governatori, non poteva svegliarsi subito, anziché farsi scappare la situazione di mano e poi minacciare usurpazioni, aprendo una polemica dal chiaro obiettivo anti leghista con Attilio Fontana, nel bel mezzo dell'emergenza?Regna il caos pure sull'obbligo di comunicare alla Asl eventuali viaggi nella zona rossa: le Regioni, infatti, ieri non hanno siglato l'ordinanza, perché non condividono il provvedimento.Per non parlare del braccio di ferro con il presidente delle Marche, Luca Ceriscioli, bloccato dal premier mentre annunciava in diretta la chiusura delle scuole. Conte si è detto «sorpreso» dall'intenzione del governatore dem di tirare dritto con l'ordinanza (Giuseppi cade ancora dal pero, come con il numero di contagi). Nel frattempo, pure la Campania ha disposto la chiusura delle scuole fino a sabato. Per il governicchio, è una misura non necessaria. I presidenti di Regione vogliono tutelare sé stessi e i cittadini, pure a costo di esagerare. In questo tiro alla fune, da che parte pende la ragione? Se nemmeno i governatori si fidano di Conte, perché devono farlo i cittadini? E poi, a cosa è servito blindare i musei a Milano, se il sindaco Beppe Sala ora chiede al titolare del Mibact, Dario Franceschini, di rimetterli in servizio? Perché i musei sì ma cinema e teatri no? E quali elementi scientifici dimostrano che l'epidemia è sotto controllo o in remissione, giustificando la riapertura? Al contrario, è la stessa Oms a paventare il pericolo pandemico: «Il mondo non è pronto». D'altro canto, nel giorno in cui Repubblica scriveva di una telefonata partita da Palazzo Chigi all'ad della Rai, Fabrizio Salini, per chiedere alla tv pubblica di tenere i toni bassi in tg e talk show, veniva ufficializzato che Juventus-Inter si giocherà a porte chiuse. Sarà uno spettacolo surreale: una sfida scudetto trasmessa in mondovisione che si svolge in un silenzio tombale, rotto solo dalle imprecazioni degli allenatori. Il tutto, mentre le autorità francesi hanno dato il via libera ai tifosi bianconeri, che ieri sera hanno seguito i loro beniamini a Lione. Se il coronavirus è più o meno come l'influenza, se uccide soltanto i vecchi già malati, se in 4 casi su 5 provoca sintomi lievi, perché vietare al pubblico l'Allianz Stadium di Torino?Anziché tranquillizzare il popolo di cui si proclamò avvocato, Giuseppi, che ha reclamato pieni poteri come un Matteo Salvini qualunque, sortirà l'effetto opposto. Le sue incertezze paiono il goffo maquillage di una situazione grave. Tanto più se, con il contributo di qualche virologo cooptato alla causa governativa, comincia a circolare la nuova suggestione medica: i positivi al virus non sono malati. I giallorossi, chiaramente, non si spingeranno fino a rivedere al ribasso i contagi censiti finora (mica siamo in Cina...). Però il meccanismo, insieme alla stretta sui tamponi, da oggi in poi potrebbe aiutare a limitare la casistica, simulando progressi inesistenti. 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I leghisti ieri avevano dato chiara disponibilità a fare la loro parte e dire sì al provvedimento. «Votiamo per gli italiani e non per questo governo che dovrebbe andare a casa il più presto possibile», ha detto in aula Rossana Boldi della Lega. La stessa linea collaborativa è arrivata anche da Forza Italia e Fratelli d'Italia (due forze di opposizione che per la verità, soprattutto la prima, hanno sin da subito mostrato un atteggiamento non ostile sul tema). L'opposizione, insomma, ha scelto di non mettersi di traverso e mettere il bene degli italiani colpiti a vario titolo dal virus in primo piano. Rispetto al testo originario, il provvedimento è passato in commissione Affari sociali con alcune piccole modifiche. La prima novità riguarda i militari impegnati nell'assicurare l'esecuzione delle misure sul coronavirus. A questi ultimi dovrà essere attribuita la qualifica di agenti di pubblica sicurezza. È stato approvato inoltre anche un emendamento dei deputati delle Autonomie per fare salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome. Più in generale, il contenuto del decreto legge numero 6 del 23 febbraio 2020 è ormai in gran parte noto. In primis, c'è l'isolamento delle cosiddette zone rosse. Per le aree interessate dal contagio (quelle maggiori sono in Lombardia e Veneto) sono previsti il divieto di allontanamento e di accesso, la sospensione di manifestazioni di qualsiasi tipo, la chiusura di scuole e università e dei musei (ieri il sindaco di Milano ha chiesto di riaprirli), la quarantena per chi ha avuto contatti stretti con casi conclamati di malattia, la chiusura delle attività commerciali ad esclusione di quelle per l'acquisto di beni di prima necessità, la chiusura o limitazione degli uffici pubblici, la sospensione delle attività lavorative per le imprese, a esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare. All'interno del testo del decreto, inoltre, si è voluto puntare l'accento anche sul lavoro da casa. Il lavoro agile o smart working diventa applicabile, «in via automatica» fino al 15 marzo nelle regioni al momento interessate dai contagi. In poche parole, ora per le aziende diventa molto più facile a livello burocratico permettere ai dipendenti di lavorare in remoto. Stop anche alle competizioni sportive nelle zone colpite dall'epidemia. Restano consentite le partite o gli allenamenti a porte chiuse nei Comuni che non figurano all'interno della zona rossa del contagio. Bloccate anche fino a metà marzo le gite scolastiche le visite culturali, i progetti di scambio e di gemellaggi. In più, la norma stabilisce che le assenze degli studenti superiori ai cinque giorni vadano giustificate con un certificato medico. In molte regioni, di norma, non è necessario portarlo. Via anche all'insegnamento a distanza in tutti quei Comuni dove scuole e università sono chiuse. Nelle regioni più colpite dal virus sono stati sospesi anche gli esami per avere la patente di guida che normalmente si tengono alla Motorizzazione. Giù le serrande, infatti, per gli uffici della Motorizzazione civile di 14 province (Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Milano, Padova, Parma, Pavia, Piacenza, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza). A questo decreto, va ricordato, se ne aggiungeranno altri due. Come ricordato dal ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, sono in arrivo altri due provvedimenti mirati a limitare i danni del virus sul piano economico. Il primo riguarderà norme specifiche per la zona rossa, che dovrebbe arrivare venerdì e un altro focalizzato sulle imprese del turismo, il settore forse più colpito da quando l'epidemia del virus Covid-19 è scoppiata. In questo caso dovremo attendere almeno una decina di giorni per vedere un decreto.
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Riduci
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Riduci
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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