2022-12-22
«Nord Stream, contro Mosca niente prove»
Il «Washington Post» rivela: «Dopo mesi di indagini sul sabotaggio dei gasdotti, non si è trovato nulla che inchiodi il Cremlino» Ma anche se l’intelligence gira ancora a vuoto, i media incolparono subito lo zar. E Kiev parlò di «attacco terroristico dei russi».«Contrordine, compagni!». Fosse ancora vivo, forse Giovannino Guareschi avrebbe intitolato così una vignetta da dedicare all’inchiesta pubblicata ieri dal Washington Post. Secondo il più antico quotidiano della Capitale statunitense, infatti, a sabotare il Nord Stream non sarebbe stata la Russia. O, almeno, prove non ce ne sono. Neanche mezza. E quindi conviene utilizzare maggiore cautela nell’attribuire a Vladimir Putin (o a chicchessia) l’attacco alla condotta che, attraverso il Mar Baltico, porta il gas dalla Federazione russa alla Germania. Un attentato che, lo ricordiamo, ha fatto schizzare alle stelle il prezzo di questa preziosa materia prima alla Borsa di Amsterdam.Ma riavvolgiamo un attimo il nastro. Lo scorso 26 settembre il Nord Stream (sia 1 che 2) fu gravemente danneggiato. Le indagini condotte dalla Svezia hanno portato un mese fa alla scoperta di tracce di esplosivo in corrispondenza delle falle sottomarine da cui era fuoriuscito il gas. In sostanza, non si è trattato di un incidente, ma di un sabotaggio.La stampa occidentale ci mise ben poco a individuare il colpevole: Putin. L’accusa, a ben vedere, era poco logica: perché mai la Russia avrebbe dovuto danneggiare sé stessa e una fonte di introiti notevole come il Nord Stream, la cui quota di maggioranza, peraltro, è detenuta da Gazprom? Mistero. Certo, quando si parla di geopolitica, la logica spesso va a farsi benedire. Ma se gli americani, fino al giorno prima dell’attentato, avevano detto peste e corna del Nord Stream, era quantomeno azzardato ipotizzare un coinvolgimento di Putin nella vicenda.Questo, chiaramente, non significa che dietro l’attacco ci sia la mano di Washington. Anzi, sostiene qualcuno, potrebbe essere stata proprio la Russia a sabotare il gasdotto per poi dare la colpa ai nemici d’Oltreoceano. Oppure per ricattare gli europei, tagliando loro una fonte di approvvigionamento energetico irrinunciabile. Ma qui, appunto, rimaniamo nell’ambito delle congetture, laddove servirebbero prove ben più consistenti.Ecco, come riporta il Washington Post, queste prove non ci sono. Per far luce su questo mistero, l’autorevole quotidiano statunitense ha contattato diversi funzionari occidentali, di cui è stato mantenuto l’anonimato. «Finora non ci sono prove che ci sia la Russia dietro il sabotaggio», ha detto per esempio un funzionario europeo, confermando così la valutazione di altri 23 ufficiali, tra diplomatici e membri d’intelligence, intervistati dal Washington Post. Tant’è che, prosegue la testata, «alcuni di loro si sono spinti fino ad affermare che non pensano che la Russia sia responsabile».Insomma, nonostante gli indici puntati verso Mosca, ora anche il Dipartimento di Stato americano ha iniziato a nutrire diversi dubbi: gli Stati Uniti, spiegano gli autori dell’inchiesta, «intercettano regolarmente le comunicazioni dei funzionari russi e delle forze militari: uno sforzo di intelligence clandestino che ha contribuito a prevedere con precisione l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca a febbraio. Ma finora gli analisti dei servizi segreti non hanno sentito o letto dichiarazioni da parte russa» che facciano pensare a una rivendicazione del sabotaggio o a un tentativo di nascondere il coinvolgimento di Mosca nell’attentato.D’altra parte, specifica il Washington Post, «l’attribuzione dell’attacco è stata difficile fin dall’inizio». Data la sua natura, infatti, sono in molti che avrebbero potuto portare a termine l’azione. Detto in parole povere: per gli intervistati, la Russia rimane sì un sospettato credibile, ma non è l’unico. E comunque, lo ripetiamo, prove finora non se ne sono trovate. Di più: «Alcuni funzionari hanno espresso rammarico per il fatto che così tanti capi di Stato abbiano puntato il dito contro Mosca senza considerare altri Paesi, nonché gruppi estremisti che avrebbero potuto avere la capacità e il movente per condurre l’attacco». Non a caso, aggiungono gli autori dell’inchiesta, un funzionario europeo ha confessato loro: «I governi che hanno aspettato a commentare, prima di trarre conclusioni, se la sono giocata bene». Tra coloro che, invece, hanno giocato male le loro carte, il Washington Post cita Jennifer Granholm, segretario all’Energia degli Stati Uniti, e Robert Habeck, ministro dell’Economia tedesco. Senza contare un consigliere del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che definì il sabotaggio al Nord Stream «un attacco terroristico pianificato dalla Russia e un atto di aggressione nei confronti dell’Unione europea». Dichiarazioni senz’altro intempestive. E che, anzi, confliggono con la logica di cui abbiamo parlato prima: gli scettici, continuano i giornalisti del Washington Post, «sottolineano che Mosca aveva poco da guadagnare da un danneggiamento ai gasdotti che ogni anno generavano per la Russia miliardi di dollari di entrate».Tra l’altro, è interessante notare che a realizzare l’inchiesta è stato il Washington Post, ossia una testata liberal, edita dal patron di Amazon Jeff Bezos, che si è sempre distinta per una linea decisamente antitrumpiana e antirussa. Un giornale, insomma, al di sopra di qualsiasi sospetto. Un motivo in più per non prendere per oro colato le narrazioni delle opposte propagande. Del resto, come recita un noto adagio, «in guerra la verità è la prima vittima».
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)