2020-10-30
Non si può chinare ancora la testa di fronte all’islam fondamentalista
L'Occidente che si è inginocchiato per la morte di George Floyd ha accolto con indifferenza la decapitazione di Samuel Paty. Il risultato è altro sangue versato. Intanto dei musulmani moderati non c'è alcuna traccia.Fino a quando l'Europa potrà far finta di niente? Fino a quando potrà chiudere gli occhi di fronte all'islam radicale, cioè al fanatismo religioso che insanguina le strade delle sue città? Dieci giorni fa un professore è stato decapitato e la sua testa gettata in mezzo alla strada solo perché si era permesso di sollecitare i suoi studenti a parlare dell'intolleranza nei confronti della satira. Ricordando la strage dei vignettisti di Charlie Hebdo, Samuel Paty, senza voler offendere i suoi alunni islamici, aveva voluto discutere pacatamente, sentire le loro opinioni. Ma quella lezione, pur condotta con il garbo che chiunque lo conoscesse ammette, gli è costata la vita. E a distanza di meno di due settimane, altre tre persone sono state sgozzate per la medesima ragione, ossia perché l'islam radicale non permette a nessuno di discutere, di ironizzare o anche solo di porre un argine alla violenza di matrice islamica. Le tre vittime ovviamente non avevano nessuna colpa. Probabilmente, nemmeno hanno compreso perché l'assassino le stesse uccidendo. Sotto i suoi colpi sono finiti il sacrestano della cattedrale di Nizza e due donne, una delle quali è stata decapitata. Altri attacchi contro obiettivi francesi si sono avuti ad Avignone, dove un uomo armato avrebbe tentato di colpire degli agenti della gendarmerie, ma è stato abbattuto, e a Gedda, dove una persona ha ferito una guardia davanti al consolato transalpino, mentre a Lione un afghano è stato fermato con un coltello in mano e a Sartrouville, una cittadina dell'Ile de France, un sospetto è stato bloccato prima che entrasse in chiesa e facesse qualche cosa di simile a ciò che è accaduto a Nizza.A scatenare la violenza cieca dei terroristi islamici sarebbero state le parole di Emmanuel Macron, che dopo l'assassinio di Samuel Paty, aveva parlato della necessità di difendere la libertà di espressione, annunciando l'introduzione in Francia di misure restrittive per contrastare la diffusione dell'islam radicale. È bastato questo per suscitare la furia degli estremisti. In diverse capitali di Paesi islamici si sono tenute manifestazioni contro la Francia e il suo presidente. A Dacca, in Bangladesh, 40.000 persone hanno protestato. Sulla prima pagina di un giornale iraniano, Macron è stato definito il diavolo di Parigi, mentre a Baghdad hanno dato fuoco alle sue foto e alle bandiere francesi. In Kuwait e Qatar sono state avviate campagne per boicottare i prodotti transalpini. Ma il cappello sull'intera operazione contro la Francia lo ha messo il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, il quale, sempre più in difficoltà in casa propria a causa della situazione economica e per la gestione dell'epidemia di coronavirus, va in cerca di occasioni per accreditarsi come unico vero leader islamico. Il sultano di Istanbul ha lanciato una campagna contro la Francia, arrivando a dire che gli islamici sono oggetto di una persecuzione, accostando il loro trattamento a quello degli ebrei durante il nazismo. Poi è bastato che Charlie Hebdo, il settimanale satirico di cui - per alcune vignette su Maometto - fu sterminata la redazione, pubblicasse una caricatura di Erdogan che seduto su un divano solleva il jilbab di una donna, scoprendone il fondoschiena mentre pronuncia le parole «ecco il Profeta», per fare il resto e suscitare la reazione di Ankara. Quello che ne è seguito è cronaca di ieri: morti decapitati, feriti, allarme in tutto il Paese. L'islam radicale è tornato a farsi sentire e di quello moderato, che un tempo poteva essere incarnato proprio dalla Turchia di Mustafa Kemal Ataturk, il presidente che alla sua nazione aveva tolto il velo e tentato di separare il potere temporale da quello religioso, non c'è traccia. Quando sterminarono 12 persone tra redattori e impiegati del settimanale satirico, a Parigi sfilarono molti leader islamici, tra i quali figurava Ahmet Davutoglu, all'epoca primo ministro turco. Tutti abbracciati all'allora presidente francese François Hollande, in mano tenevano cartelli con scritto «Je suis Charlie». Ma, come osservammo all'epoca, se il settimanale satirico fosse uscito nei loro Paesi, quei capi di stato così solidali in piazza, a casa loro avrebbero come minimo incarcerato tutti i redattori e forse li avrebbero pure passati per le armi. Sì, la solidarietà, proprio come quella vista il giorno in cui è stata tagliata la testa a Samuel Paty, fu una grande messa in scena, la rappresentazione più ipocrita di una tolleranza che nella maggior parte dei Paesi islamici non esiste e di cui molti nostri sensibili democratici non si vogliono rendere conto. Per settimane, si sono versate lacrime per George Floyd, l'uomo ucciso a Minneapolis da un poliziotto, ma nessuno si è dato grande pena per Samuel Paty. Per lui nessuno si è inginocchiato come è stato fatto per Floyd, quasi che la sua morte fosse meno importante, meno significativa. Il risultato sono altre tre teste mozzate, altri tentativi di tagliare la gola. Non solo a chi va in chiesa o difende la satira, anche alla libertà di pensiero e di parola. Perché l'islam radicale è questo ciò che vuole: chiuderci la bocca e farci chinare il capo. Con le minacce o direttamente con il coltello. Ps. L'assassino di Nizza era arrivato l'8 ottobre su un barcone dalla Tunisia. Approdato a Lampedusa, aveva fatto richiesta di asilo, ma gli era stata respinta. Tuttavia, come accade sempre, nonostante il decreto di espulsione, era stato lasciato libero di circolare e grazie alle nostre generose leggi sull'accoglienza, quelle stesse leggi che Matteo Salvini voleva cancellare, ha potuto raggiungere indisturbato la Francia. Ci pensino quelli che hanno abolito i decreti sicurezza, riflettano quelli che hanno allentato i controlli anti sbarchi, perché l'orrore di Nizza è anche un po' colpa loro.
Il valico di Rafah (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 15 ottobre con Flaminia Camilletti