2021-04-11
«Non sequestrò nessuno». Il pm dice che Salvini poteva fare il ministro
Passati quasi due anni dallo sbarco ritardato della nave Gregoretti: chiesta l'archiviazione del capo del Carroccio.La Procura di Catania ha chiesto di scagionare l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini dall'accusa di sequestro di persona per il caso della nave Gregoretti, quando non erano stati fatti sbarcare 116 migranti. Nel febbraio 2020 il Senato aveva approvato la richiesta di processo arrivata dal Tribunale dei ministri di Catania. Ora lo stesso pm ha di fatto comunicato al parlamento più manettaro della storia che «un ministro può fare il ministro».«Non vedo il reato». Lo aveva detto Matteo Renzi 14 mesi fa, prima di mandare comunque Matteo Salvini a processo con il decisivo voto parlamentare dei suoi per il caso Gregoretti. Ora non lo vede neanche il pm di Catania, Andrea Bellomo, che chiedendo il proscioglimento del leader della Lega dall'accusa di sequestro di persona, ha di fatto comunicato al parlamento più manettaro della storia che «un ministro può fare il ministro». L'allora titolare dell'Interno era accusato di non avere dato l'autorizzazione a sbarcare 116 migranti nel luglio 2019 dalla nave della Guardia costiera, rimasta per sei giorni al largo del porto di Augusta in attesa che altri paesi europei e il Vaticano si facessero carico della redistribuzione. Dopo un anno è la stessa pubblica accusa a chiedere ancora una volta il non luogo a procedere. «Salvini non ha violato alcuna delle convenzioni internazionali, le sue scelte sono state condivise dal governo e la sua posizione non integra gli estremi del reato di sequestro di persona perché il fatto non sussiste», ha spiegato Bellomo. Che ha aggiunto: «Sulla nave sono stati garantiti assistenza medica, viveri e beni di prima necessità e lo sbarco immediato di malati e minorenni». Poi ha concluso: «Non dico che moralmente o politicamente la scelta sia stata giusta, ma non spetta a noi dirlo». Ora la decisione se archiviare la faccenda o aprire comunque il dibattimento spetta al giudice per le udienze preliminari, Nunzio Sarpietro, che il 14 maggio leggerà il suo provvedimento nell'aula bunker del capoluogo etneo. Un passaggio strategico che potrebbe formalizzare il paradosso dell'esistenza di due giustizie: quella che a Catania proscioglie l'ex ministro per il caso Gregoretti e quella che a Palermo (208 km di distanza) lo processa per l'identico caso Open Arms. Anche se, secondo i colpevolisti, una differenza ci sarebbe: la decisione di non far sbarcare i migranti dalla nave della Ong spagnola sarebbe stata presa all'«insaputa» di Giuseppe Conte e del Consiglio dei ministri. Tesi ovviamente contestata dal difensore Giulia Bongiorno. Salvini ha accolto le parole del pm con sollievo. «Sono contento perché la pubblica accusa ha detto che non c'è reato, che non c'è sequestro, che ho rispettato le leggi, che abbiamo salvato vite e svegliato l'Europa. Sentire questo mi ripaga di mesi e mesi di amarezze. Torno tranquillo dai miei figli e spero che il 14 maggio si chiuda qua». La posizione della Procura, per la verità, non è mai cambiata nel tempo. Una richiesta di archiviazione era già arrivata alla conclusione dell'inchiesta, quando il procuratore Carmelo Zuccaro aveva avanzato l'ipotesi assolutoria per ben due volte. Nel frattempo Salvini era diventato il leader dell'opposizione e al governo Conte bis («quello delle quattro sinistre», come andava ripetendo Silvio Berlusconi) sembrava brutto preservarlo da udienze e fango, nella speranza di un rinvio a giudizio e di una condanna che lo eliminasse dalla scena politica. Così il Tribunale dei ministri formalizzò l'accusa di sequestro di persona (15 anni di carcere) e il Senato votò l'autorizzazione a procedere con un ampio ventaglio di tricoteuses mediatiche. Il corto circuito fu surreale: mentre la Procura chiedeva di archiviare, Pd, Movimento 5Stelle, Leu e Italia viva facevano tintinnare le manette. E il quotidiano La Repubblica, allora diretto da Carlo Verdelli, titolava: «Cancellare Salvini». Un sogno politicamente indecente, un clima da brivido.Ora tutto dipende dalla decisione del gup Sarpietro, che alla vigilia del dibattimento (novembre 2020) disse: «Salvini stia tranquillo, qui non ci sono Palamara». Intendeva sgomberare le nubi tossiche calate sul Palazzo di giustizia di Catania dopo l'esplosione del caso giudiziario dell'anno e culminate con l'intercettazione dello storico presidente dell'Anm e membro del Csm mentre diceva, riferendosi al leader leghista: «Ora bisogna attaccarlo».Sarpietro è un giudice noto al grande pubblico perché nel dicembre scorso si recò a Palazzo Chigi a interrogare l'allora premier Conte e all'uscita improvvisò una irrituale e discussa conferenza stampa in cui sottolineò: «Non penso che un premier possa seguire tutto, minuto per minuto». E poi: «Gli auguro di andare avanti con un governo Conte ter». Infine, pur con il Lazio in zona rossa, fece aprire un ristorante di pesce in Porta Pia per pranzare con la figlia e il fidanzato. L'ultima curiosità del processo di Catania riguarda un altro interrogatorio, quello dell'ex ministro Danilo Toninelli. I suoi 42 «non ricordo» suscitarono ilarità e potrebbero entrare nel Guinness dei primati.