2020-04-05
Monsignor Camisasca: «Non perderemo il “materialismo” del cristianesimo»
Monsignor Massimo Camisasca (Ansa)
Il vescovo di Reggio Emilia: «Il sacrificio più grave? Stare lontani dal popolo. Chi ci governa ha un pensiero troppo secolarizzato».Monsignor Massimo Camisasca regge la Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla dal 2012. Lombardo d'origine, si confronta come tutti i sacerdoti con la inedita situazione di una Chiesa ferita dal virus. Alla Verità racconta come questa dimensione sta cambiando l'ingresso nella Settimana più sacra per i cristiani.Quali sono le sue più urgenti preoccupazioni?«Improvvisamente siamo stati catapultati in una situazione di vita completamente nuova. Essa esige uno sguardo che prima non avevamo, e che non si improvvisa. Cerco questo sguardo nella liturgia della Chiesa, la quale rende a noi contemporanea la vita di Gesù. Immedesimandoci con le sue parole, poco a poco, scopriremo il senso di ciò che accade e la strada per accoglierlo e per viverlo, anzi, per accoglierlo come un bene. La Settimana Santa è il punto più alto della vita di Gesù, dove appare la sua obbedienza al Padre e la sua donazione agli uomini. Sono questi gli insegnamenti che ci permettono di entrare in questo mistero che è la vita».La sua Diocesi è in una delle Regioni più colpite. Cosa vede nel mondo che la circonda, tra i suoi sacerdoti, tra i fedeli, le famiglie, le aziende?«Per poter dare una risposta a questa domanda occorrerà del tempo. Per ora si possono cogliere solo dei frammenti, sia negativi (disorientamento, paura, fragilità, stanchezza, evasione, noia…) che positivi (donazione, silenzio, preghiera, generosità, pazienza…). Tutti noi dobbiamo aiutare i secondi a prevalere sui primi, non attraverso le vie di un'imposizione dall'esterno, ma di una lenta rinascita dell'umano. Stiamo scoprendo tanti aspetti luminosi del cuore degli italiani. Tra poco arriverà il tempo della laboriosità, dell'essenzialità e della collaborazione reciproca».La vita dei fedeli è sconvolta: niente messe, funerali, accompagnamento per chi soffre, battesimi o sacramenti per come eravamo abituati a viverli. In uno dei suoi incontri con i giovani trasmessi via Internet lei ha specificato che l'Eucaristia continua a essere celebrata per tutti, anche in assenza del popolo. Perché è così, e che lezione è chiamato a trarne il cristiano?«Anche una sola celebrazione eucaristica è la ripresentazione intera dell'evento Passione-Morte-Resurrezione di Cristo. Ogni Santa Messa è celebrata per tutto il mondo e i suoi frutti, nella misura del disegno di Dio e della libertà degli uomini, germogliano su tutta la terra. Questo nulla toglie all'importanza essenziale della celebrazione con il popolo e della distribuzione del pane eucaristico. La condizione attuale deve accendere in noi una sete che prima non conoscevamo». L'applicazione dei decreti è spesso entrata in attrito anche con la libertà religiosa. Alcuni hanno criticato l'eccessiva rigidità di misure che rendono più difficile pregare in Chiesa rispetto a comprare le sigarette. Il Papa ha rivendicato la necessità, per i sacerdoti, di restare quanto più possibile a contatto con chi soffre. Come vive questa condizione, sia sul piano «teorico-legislativo», sia nella nuova, drammatica vita comune?«È forse l'aspetto più alto del mio sacrificio: non poter vivere a contatto con il mio popolo. Noto poi, a riguardo di quello che lei chiama il piano teorico, un'assenza piuttosto rilevante e preoccupante nei mass-media della dimensione spirituale di ciò che stiamo vivendo, cioè del suo significato più profondo: cosa dice a me e per me questa drammatica vicenda? La Chiesa si colloca a questo livello. Mentre trovo giuste le richieste di sacrificio fatte a tutti i credenti, registro anche l'avanzare di un pensiero sempre più secolarizzato in chi ci governa, che è per me fonte di tristi considerazioni e di una nuova responsabilità per noi pastori, per il presente e per il futuro».Il mistero del male colpisce con forza spaventosa. Se l'epidemia non è un castigo di Dio, come si risponde all'interrogativo sulla sua esistenza? Come si può stare davanti alla morte innocente, al fatto che qualcuno sopravvive e altri no, o davanti al fatto che alcuni centri sono falcidiati e altri risparmiati?«Come ha scritto magnificamente Albert Camus nel suo romanzo La Peste: “Se non c'è Dio, rimane soltanto lo scetticismo a riguardo del peso della vita e tuttalpiù l'invito a una solidarietà a cui mancano le gambe per reggersi". Ho più volte chiarito in questi giorni che l'epidemia non è un castigo di Dio. Dio non è la sua origine. La sua origine è il demonio, che ha suscitato l'accoglienza del male da parte dell'uomo, portandolo a peccare, e provocando così un'instabilità di tutto il creato. Ha scritto san Paolo nella Lettera ai Romani: “A causa di un solo uomo "- e cioè con la trasgressione di Adamo - “il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte" (Rm 5,12). C'è dunque una battaglia fra Dio e il demonio. Ma Dio si serve anche del male, per educarci al bene. I più grandi misteri della vita (la malattia, l'età della nostra morte, le prove…) possono essere affrontati soltanto all'interno della risposta alla domanda: Dio esiste oppure no? Esiste una vita oltre la morte, una giustizia più grande di quella terrena, una verità e una bellezza durature? Se si rifiuta Dio, esiste soltanto il caso, e questo mi sembra anche razionalmente meno umano».Cosa le ha comunicato la preghiera del Papa in piazza San Pietro, e perché è parsa interrogare in modo inedito anche tanti non credenti? Ha forse colto lo spaesamento di un uomo che si sognava padrone della propria autodeterminazione?«Il gesto del Papa ha saputo leggere la domanda profonda che esiste nel cuore della maggioranza di noi: portare a Dio, nella solitudine e nello spaesamento che stiamo vivendo, il grido: Salvaci! I tre gesti che ha compiuto (la preghiera a Maria, il bacio al crocifisso e l'adorazione eucaristica) sono stati e sono la sintesi del nostro cammino. Abbiamo bisogno di una madre, di sentire la vicinanza di Gesù alle nostre sofferenze, di implorare da Dio la luce e la forza per il cammino». Dall'inizio dell'emergenza, lei ha sviluppato una creatività attraverso i canali social e il sito della Diocesi: messe online, riflessioni, «pillole» di letture quotidiane. Che indicazioni può trarre da questi «esperimenti»?«Sono tutti tentativi per essere vicino al mio popolo. Poi, oggi, parte del popolo può diventare anche una persona lontanissima, come testimoniano quelli che mi scrivono da tutto il mondo e che seguono quotidianamente i miei video. La fede è sempre carità, cioè creatività che cerca di raggiungere l'altro. Altrimenti muore». Come prevede il rientro nelle Chiese? Comunioni, segni della pace, confessioni. Come cambieranno questi gesti millenari? Vede il rischio di una smaterializzazione dell'esperienza cristiana?«Non penso che i gesti fondamentali della fede muteranno. Certamente cambieranno, almeno in un primo momento, alcuni aspetti esteriori della loro celebrazione. Il rischio di una riduzione del “materialismo" cristiano è certamente presente. Dobbiamo custodire la materialità della vita non solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini. Uno spirito disincarnato è dannoso per la vita dell'uomo».Qual è il suo augurio per la Pasqua ai nostri lettori?«Che attingano dal Cristo Risorto la forza e la sapienza per disegnare assieme ai propri fratelli la vita che ci attende».