2022-03-21
Non ascoltiamo chi istiga alla guerra totale
Il conflitto del ’15-’18 fu preceduto da un’ampia campagna di stampa interventista e fu un disastro. Anche oggi, i grandi media, i ministri di Volodymyr Zelensky e il presidente Joe Biden soffiano sul fuoco. Ma a pagarne le conseguenze saranno gli ucraini e l’Europa.L’ira è l’emozione più facile da istillare. Una volta sconvolta dall’ira, la mente diventa manipolabile. Manipolare vuol dire spingere qualcuno, una persona, una nazione, un continente, più continenti, a comportamenti contrari sia alla propria etica sia ai propri interessi. Possiamo vedere uno spettacolare esempio di manipolazione di massa, basato sull’istigazione capillare dell’ira, nella Prima guerra mondiale, che non sarebbe dovuta scoppiare. Era impensabile che scoppiasse. Non c’era nessun motivo per ipotizzarla. In più, ben tre regnanti, Nicola II di Russia, il kaiser Guglielmo II e Giorgio V, avevano giocato insieme da bambini, erano cugini di primo grado, tutti nipoti della regina Vittoria. Si scrivevano direttamente, senza passare da ambasciatori e firmavano le lettere con nomignoli che avevano da bambini, Niki, Willy e Georgy.Nel giugno del ’14 fu assassinato a Sarajevo l’erede al trono dell’impero austroungarico l’arciduca Francesco Ferdinando da un giovane terrorista serbo per probabile, ma non certo, complotto organizzato dalla Serbia. Nella guerra furono coinvolti, oltre all’impero austroungarico e alla Serbia, anche: Russia, Germania, Gran Bretagna, Turchia, Stati Uniti, Giappone, Brasile, Portogallo, Romania, Italia, Grecia, Siam, e anche Cuba, Panama, Liberia, Cina, Guatemala, Nicaragua, Costa Rica, Honduras e Haiti. Questi ultimi non parteciparono con contingenti militari, ma dichiararono comunque guerra e mandarono armi. Possiamo serenamente affermare che dell’arciduca Francesco Ferdinando importasse meno di zero al 95% dei belligeranti e quindi al 95% dei morti, e che un abbondante 90% sia dei belligeranti sia dei morti non lo avesse mai sentito nominare.La Prima guerra mondiale avrebbe dovuto essere uno scontro diplomatico tra impero austroungarico e Serbia, che poteva degenerare, nel peggiore dei casi, in uno scontro militare isolato tra quelle due uniche nazioni. Si riuscì ad arrivare allo scontro grazie all’ira, sapientemente coltivata da tutti i giornali dell’epoca, che portarono tutti i popoli a buttarsi in una guerra che fu un disastro per tutti. La frase chiave della catastrofe fu «non possiamo restare indifferenti». Non possiamo restare indifferenti all’assassinio di un tizio del quale in Austria importava poco e che in Ungheria non potevano soffrire, non possiamo restare indifferenti all’aggressione dei nostri fratelli serbi, non possiamo restare indifferenti all’aggressione dei nostri fratelli austriaci, non possiamo restare indifferenti all’aggressione dei nostri fratelli russi, non possiamo restare indifferenti alla questione del Belgio (che non c’entra un accidente e fu malamente invaso), e così via.L’ira travolse i governi e le élite. La guerra è stata talmente assurda, e scatenata da motivi talmente insufficienti, che è verosimile ipotizzare tragiche potenze sotterranee che hanno soffiato sul fuoco con straordinaria energia, finanziando giornalisti guerrafondai. In Italia il Corriere della Sera, da sempre il giornale più venduto, fu quello che maggiormente si adoperò per il massacro, corrompendo uomini politici. Tutte le forze oscure favorevoli alla guerra stavano in campo incontrastate a soffiare su un fuocherello, un brutto atto di terrorismo, per trasformarlo in un incendio spaventoso che ha bruciato anime e vite e posto le basi per la Seconda guerra mondiale.Una situazione analoga la possiamo riscontrare adesso. Continuamente ci dicono che «non possiamo restare indifferenti». Al contrario possiamo essere indifferenti benissimo. Ci siamo allenati. Siamo rimasti indifferenti quando la Turchia ha invaso Cipro e quando la Cina ha invaso il Tibet. Non parlo dell’indifferenza ai bombardamenti su Belgrado, Baghdad, Tripoli e così via perché lì eravamo addirittura complici. Dato quanto sopra, possiamo benissimo prenderci 10 gocce di valium, sedare la nostra ira fertilizzata da immagini di videogame e di film, e da una solida ignoranza della storia recente del Donbass, limitarci a entrare nel conflitto inviando aiuti umanitari, termine che include solamente medicinali, vestiario, cibo, giocattoli, quaderni e libri.La signora Iryna Vereshchuk, vicepremier del governo ucraino, a nome sicuramente del suo governo, certo non del suo popolo, ha affermato che l’Ucraina preferisce la terza guerra mondiale alla sconfitta e che con indomito coraggio è disposta serenamente ad accettare la morte di suoi figli, anche bambini, e la nostra. Le numerose foto di bambini che imbracciano armi, con o senza lecca lecca, dimostrano, al di là di ogni possibile dubbio residuo, come il mito squisitamente nazifascista del bambino soldato, il piccolo balilla col suo sasso in mano, della dodicesima divisione SS, la divisione dei ragazzini, e perché no anche del bambino terrorista suicida, brilli sempre di fulgido splendore. La signora ha spiegato le condizioni per la pace: no-fly zone subito, intervento militare degli Usa, Crimea e Donbass restituite all’Ucraina, nessuna neutralità dell’Ucraina. Sono delle richieste per rendere la guerra eterna, per trasformare il Paese in un luogo ancora più simile all’inferno della Siria o del Vietnam. La signora ha dato una spiegazione più dettagliata del messaggio del suo presidente Volodymyr Zelensky: occorre fare la terza guerra mondiale. No fly zone vuol dire scatenare la terza guerra mondiale. Dare aerei militari all’Ucraina vuol dire la terza guerra mondiale. Il popolo ucraino è stato mandato al massacro dal suo governo, dalla Nato, dalla comunità europea, e anche da noi. Nel momento in cui il loro presidente, finalmente, ha pronunciato parole ragionevoli che porrebbero termine al conflitto in dieci giorni si è scatenata l’ira del presidente Joe Biden, con un’operazione diplomatica degna del nostro ministro degli Esteri. Biden è la persona che si è assunta la responsabilità di un enorme numero di bombardamenti, ai tempi in cui era vicepresidente.I generali tutti ci stanno invitando alla prudenza. I militari, tutti, ci stanno disperatamente segnalando che stiamo andando tutti quanti felicemente verso il disastro, ma il 90% dei giornalisti, dei media, della televisione, distillano ira e istigano alla partecipazione attiva alla guerra, con una straordinaria gestione basata sulla totale inversione di qualsiasi senso sia di etica che di buon senso, paragonabile solo la gestione della cosiddetta pandemia. Noi corriamo felici e giulivi verso il disastro, con la stessa leggerezza degli interventisti della prima guerra mondiale. Il popolo ucraino ne uscirà con perdite terribili, l’Europa sarà travolta e irrilevante. L’Italia sarà annientata economicamente, così potrà fare in maniera più brillante la sua transizione economica. Tutte le persone che hanno votato per Beppe Grillo, per favore, non si lamentino. Grillo lo aveva spiegato con chiarezza. Decrescita felice vuol dire più miseria per tutti. Potete ritenervi ingannati sulla felicità, la miseria era stata promessa. Sia la cosiddetta pandemia che la cosiddetta guerra Ucraina hanno lo stesso scopo, la transizione economica, più misera per tutti, più controllo per tutti, meno nascite, libertà poca e sotto condizione. Come è riuscito Grillo a ottenere i suoi voti? Grazie a una formidabile capacità di istigare l’ira. L’ira distrugge la ragione. Il risultato dell’ira, sempre, sono morte, sangue distruzione e decrescita infelice, anzi disperata.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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