2021-09-03
Il Recovery usato per raddoppiare le nomine a chiamata nella Pa
Aumentano i posti per dirigenti arruolati senza concorso, spesso scelti dalla politica.Alla fine Renato Brunetta ha raddoppiato il numero dei posti di funzione dirigenziale a disposizione della politica, da sempre alla ricerca di spazi da occupare e di amici da sistemare. E così nel decreto legge 9 giugno 2021, numero 80, recante «Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)», il ministro per la Pubblica amministrazione ha previsto, all'articolo 1, comma 15, che «le amministrazioni… impegnate nell'attuazione del Pnrr possono derogare, fino a raddoppiarle, alle percentuali di cui all'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, ai fini della copertura delle posizioni dirigenziali vacanti relative a compiti strettamente e direttamente funzionali all'attuazione degli interventi del Piano… In alternativa… le stesse amministrazioni possono conferire, in deroga ai limiti percentuali previsti dall'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, gli incarichi dirigenziali di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legge 31 maggio 2021, numero 77».Continua, dunque, il balletto delle nomine «fiduciarie», non solo di estranei alla Pa, ma anche di interni, nonostante la norma sia stata introdotta a suo tempo per sopperire a una professionalità «non rinvenibile nei ruoli dell'amministrazione». Ipotesi assolutamente residuale perché, in realtà, le amministrazioni pubbliche nel loro complesso dispongono di tutte le professionalità, a qualunque branca scientifica e professionale riferibili. Ed è sempre avvenuto che quando a un'amministrazione occorreva un ingegnere di una specifica specializzazione, un fisico, un matematico, un geologo e via dicendo, faceva richiesta all'amministrazione che ne aveva nei ruoli. Si ricorreva al comando o al distacco. E l'esigenza veniva soddisfatta. In astratto, dunque, il comma 6 dell'articolo 19 non doveva essere utilizzato che in rarissimi casi.Non è stato così. La politica, la quale da sempre ritiene che l'amministrazione dello Stato sia «cosa sua», ha subito compreso che quella norma poteva prestarsi per sistemare amici e collaboratori, insomma i soliti noti. Con la conseguenza che le amministrazioni hanno acquisito, in posizioni sovente di elevata responsabilità, personaggi con scarsa esperienza e spesso inadeguata professionalità. Alcuni provenienti dal privato ai quali le leggi e le procedure da applicare erano del tutto sconosciute, molti dalla stessa amministrazione, così contravvenendo alle finalità della norma, la quale presuppone che all'interno manchi una professionalità. Così aggirando la regola costituzionale secondo la quale «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso» (articolo 97, comma 4). Con un effetto deleterio sulla pubblica amministrazione nella quale i funzionari di carriera sono stati mortificati, non solo perché in molti casi non è stato consentito loro di partecipare a concorsi dirigenziali, sempre più rarefatti, ma perché si sono visti nei posti di comando soggetti spesso con scarsa preparazione, sempre con molta arroganza derivante dall'essere «nella manica» del potere politico. Così si spiega anche quel «timore della firma», enfatizzato a giustificazione della eliminazione, sia pure «a tempo», della responsabilità per danno erariale nei casi di colpa grave. Insomma, questi dirigenti creati dalla politica possono far danno all'erario senza pagare.Ancora una volta, la «meritocrazia» rimane come oggetto di studio teorico. La realtà è altra cosa, purtroppo. Ed è evidente che la compressione del merito è una delle ragioni del degrado di un'amministrazione che in passato ha avuto espressioni di straordinaria eccellenza, come quando ha contribuito a unificare l'Italia e a ricostruire il Paese nelle aree gravemente danneggiate dalla prima e della seconda guerra mondiale.Nel tempo, per aggirare pronunce della Corte dei conti e dei Tar, impegnati a mantenere nei termini di legge il conferimento delle funzioni dirigenziali, la politica ha integrato la norma quanto ai requisiti richiesti. Prevedendo che i candidati abbiano svolto attività e «conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica». Tutto fumo negli occhi. Riferimenti a esperienze roboanti quanto generiche. Nomine comunque «a tempo», la cui sorte è soggetta alla volontà del politico di turno. Quindi il dirigente che, come tutti i pubblici impiegati, dovrebbe essere «al servizio esclusivo della Nazione» (articolo 98, comma 1, Costituzione), è in realtà, al servizio di chi lo ha nominato e che non lo confermerà se non sarà pedissequamente al suo servizio. Non è così che funziona un'amministrazione pubblica negli ordinamenti dei grandi Stati, quelli che hanno una lunga tradizione amministrativa.
Ecco Edicola Verità, la rassegna stampa del 4 settembre con Carlo Cambi