2020-09-24
Noi perdiamo tempo a subire ricatti. La Germania straccia le regole Ue
Il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz (Maja Hitij, Getty Images)
Prosegue il dibattito surreale su Recovery fund e Mes mentre nessuno si preoccupa della manovra 2021. Berlino annuncia: super deficit anche l'anno prossimo e niente pareggio di bilancio fino almeno al 2024.Credevate che con la pandemia fossero morte anche espressioni del tipo «sostanziale, progressivo e continuo riequilibrio dei conti» oppure «piano di rientro credibile che garantisca la sostenibilità della finanza pubblica»? Lo credevate, vero? Vi illudevate. Il neopresidente Fabio Melilli, succeduto al leghista Claudio Borghi alla presidenza della commissione Bilancio della Camera, illustra la relazione sull'individuazione delle priorità nell'utilizzo del Recovery fund. In pratica: la vitamina D mentre state morendo dissanguati. I suoi fondi arrivano quando lo ha deciso un altro; li possiamo spendere come ha deciso un altro; per averli dobbiamo fare cose che ci impone un altro. Questo altro non è che Bruxelles. Il tutto sempre che un altro ancora (l'Olanda, per fare un esempio) alzi il ditino e mandi tutti dal preside perché l'Italia di turno non ha fatto le riforme che aveva promesso. E da lì si apre una giostra che dura qualche mese, durante il quale il consiglio Ue può dirimere la controversia. Che poi altro non vuol dire che ratificare ciò che va bene alla Germania. Che a sua volta non è dato sapere quali letterine abbia ricevuto dalla Commissione Ue. Ma i casi sono due: o non le ha ricevute o se sono arrivate le ha bruciate, dal momento che ieri per bocca del ministro delle Finanze Olaf Scholz ha dichiarato che di pareggio di bilancio non se ne parlerà da quelle parti fino al 2024. La Germania deve pensare a mantenere e sviluppare «i servizi diretti alla nostra comunità». Interessante definizione del deficit ai tempi della pandemia, non è vero? La Germania investirà, oltre a quanto già fatto, 55 miliardi nel 2021 e 48 miliardi fino al 2024. In aggiunta a quanto già fatto. Che è molto più di quanto non abbia pensato di fare il nostro Paese. Uno stimolo fiscale in risposta alla crisi indotta dalla chiusura dell'economia pari all'8,3% del Pil - quello di Berlino - contro il nostro 3,5%. Era la stima ai primi di agosto del turbo europeista Bruegel Institute. In soldoni, qualora avessimo fatto come la Germania, avremmo dovuto immettere altri 75 miliardi dentro l'economia. Con misure di questa entità si sarebbero per esempio tagliate del 30% tutte le imposte indirette, abbassando le aliquote Iva dal 22% al 15%. Cose di cui, a detta del nostro governo, non avremmo bisogno, visto che per Giuseppi fra un anno cresceremo del 6%. Sembra tanto, ma è poco. Secondo il governo, quest'anno il nostro Pil dovrebbe diminuire del 9%. Per tutto il resto del mondo di almeno il 12%. Una perdita di reddito per l'Italia che oscilla dai 137 ai 206 miliardi. Ebbene, secondo i calcoli di Palazzo Chigi, nel 2021 ne recupereremmo 95.Ma funziona così da noi. Sempre a idolatrare Berlino tranne quando la Germania fa le cose giusta: dalla non imposizione di alcun limite all'uso del contante all'abbassamento delle tasse. Nel frattempo, il presidente Melilli ci ricorda ciò che già sappiamo e che già sapete. «Anche le risorse assegnate in qualità di sussidi (i grants) trovano infatti un corrispettivo nel nuovo debito comune che l'Europa si accinge ad emettere e che graverà nel futuro su tutti i Paesi». Eh già, perché i sussidi che l'Italia riceverà (e sarebbero dovuti ammontare a 89 miliardi, se ben ricordate le pagine degli altri quotidiani), si sono già ridotti così, come se fosse la cosa più normale del mondo, a poco più di 65 miliardi. Soldi che arriveranno col contagocce modello pipì del paziente che soffre di prostatite. A partire dal 2021 potremmo forse (ma se va di lusso) vedere circa 6 miliardi. Lo 0,4% del Pil. Numeri decisamente ridicoli per far fronte a quella che è la più drammatica crisi economica di tutti i tempi se si escludono gli anni della Seconda guerra mondiale. E che viene gestita da una classe dirigente che pare incapace di tracciare il perimetro della gravità in cui ci dibattiamo. Mentre la Bce discute sull'eventuale allargamento del proprio programma di acquisto di titoli pubblici, scopriamo infatti che a fine luglio la Banca d'Italia aveva acquistato partendo da fine marzo con gli euro freschi di stampa (anzi di clic sul computer) oltre 73 miliardi di Btp. In pratica, due volte il Mes. E proseguendo di questo passo, sempreché la Bce non allarghi ulteriormente i cordoni della borsa, i Btp acquistati ammonterebbero a giugno del 2021 ad oltre 225 miliardi. Quasi tutti in portafoglio di via Nazionale, che rigirerebbe al Tesoro le cedole incassate sotto forma di dividendi. Il costo di quel debito sarebbe cioè completamente sterilizzato (o annullato, se suona meglio) e la liquidità incassata dalle banche che hanno venduto quei titoli alla Banca d'Italia di nuovo pronta per nuovi acquisti di titoli di Stato, il cui rendimento in questo momento è pari - proprio per questo - allo 0,85%. Quasi il 50% in meno rispetto ai rendimenti di sei mesi fa. In sostanza è come se l'Italia avesse un fido disponibile ancora di 150 miliardi in Bce, cui si aggiungono gli oltre 80 miliardi presso le casse del Tesoro. E invece dobbiamo sorbirci il surreale dibattito sul Recovery fund e sul Mes che pure il presidente dell'Abi Antonio Patuelli ha implicitamente ammesso avere delle condizioni, dal momento che ne invoca una revisione a suo dire oggi più semplice rispetto al passato. E mentre nessuno parla di dove e come spendere quei soldi, loro li vogliono ma solo se arrivano dal Mes. Un po' come se la fidanzata dicesse al promesso sposo «voglio un mutuo di Banca “A" per comprare una casa che non abbiamo. Ma se quel mutuo lo fa “B", preferisco dormire sotto il ponte».