2019-11-08
No. Il voto in Virginia e Kentucky non è un avviso di sfratto a Trump
True
Le recenti consultazioni elettorali che si sono tenute negli Stati Uniti hanno portato molti analisti e commentatori a parlare di una dura sconfitta per Donald Trump. In effetti, a prima vista, le cose sembrerebbero stare proprio così. In Virginia, i democratici hanno riconquistato - dopo vent'anni - la maggioranza nell'assemblea legislativa, mentre in Kentucky - Stato in cui Trump nel 2016 aveva vinto con trenta punti di vantaggio - è stato sconfitto il governatore repubblicano uscente.Il punto è che la situazione rischia di rivelarsi un po' più complicata di come viene raccontata. Negli Stati Uniti, attribuire un valore nazionale alle elezioni di carattere locale è sempre rischioso. A maggior ragione in questo caso. È quindi forse necessario entrare nel dettaglio delle ultime consultazioni.Partiamo dalla Virginia. È senz'altro indubbio che, riconquistando l'assemblea legislativa locale i democratici abbiano conseguito un buon risultato. Tuttavia si tratta di un fattore che difficilmente può essere scaricato sulle spalle di Trump. Per quanto vanti una storia tendenzialmente repubblicana, sono almeno vent'anni che questo Stato ha avviato una progressiva virata verso il Partito democratico. Fatta eccezione per una parentesi dal 2010 al 2014, è dal 2002 che la Virginia ha ininterrottamente governatori dell'asinello. Del resto, questo spostamento a sinistra si è registrato anche in riferimento alle elezioni presidenziali. L'ultima volta che il cosiddetto Old Dominion ha votato per un repubblicano alla Casa Bianca è stata nel 2004, ai tempi di George W. Bush. Non solo, nel 2008 e nel 2012, ha infatti optato per Barack Obama. Ma, nel 2016, ha sostenuto Hillary Clinton, conferendole un vantaggio di circa cinque punti su Trump. Anche per questa ragione, l'attuale presidente non considera la Virginia un territorio strategico per il 2020 e - non a caso - non si è speso granché nelle ultime settimane per la campagna elettorale locale. D'altronde, la stessa maggioranza repubblicana nell'Assemblea legislativa si era progressivamente assottigliata nel corso degli ultimi anni. Più in generale, non bisogna trascurare che - da circa due decenni a questa parte - l'Old Dominion ha conosciuto un progressivo spostamento della sua popolazione dalle aree rurali alle città: una dinamica che ha conferito un vantaggio strutturale all'asinello in questo territorio.In Kentucky la situazione sembrerebbe più ingarbugliata. Qui effettivamente Trump si era impegnato in prima persona a sostenere il governatore repubblicano uscente, Matt Bevin. Questo però forse non basta ad affermare - come fanno i democratici - che la sconfitta di Bevin sia un avviso di sfratto al presidente. In primo luogo, non dobbiamo trascurare che si sia verificato un testa a testa con il candidato democratico (lo scarto è infatti dello 0,4%): tanto che il governatore non ha ancora ammesso la sconfitta e ha chiesto un riconteggio dei voti. Comunque, al di questo, non dobbiamo sottacere che Bevin fosse una figura estremamente impopolare nel suo Stato. Non solo si è sempre duramente opposto all'espansione del programma sanitario Medicaid ma molto contestata è risultata anche la sua politica di tagli pensionistici al settore degli insegnanti. Del resto, che fosse in serissima difficoltà per la riconferma era già chiaro a metà dello scorso ottobre, quando i sondaggi lo davano appaiato al rivale democratico. Anche per questa ragione, i repubblicani oggi sostengono che - se Trump non fosse sceso in campo al suo fianco - Bevin avrebbe rimediato un risultato elettorale ben peggiore di quello conseguito. Quello stesso Bevin che, pur essendo oggi molto vicino al presidente, è diventato governatore nel 2015: ben prima che l'era Trump avesse inizio. D'altronde, che il voto negativo riguardasse in prima persona proprio il governatore uscente è testimoniato dal fatto che, in Kentucky, il Partito Repubblicano abbia contemporaneamente conquistato tutte le altre cariche importanti per cui si votava (dal segretario di Stato al procuratore generale). Se proprio si deve trovare un dato di (potenziale) rilevanza nazionale nelle consultazioni del Bluegrass State, bisogna forse guardare ai flussi elettorali. In alcune aree suburbane in cui Trump aveva registrato una buona performance tre anni fa, stavolta i democratici hanno conseguito ottimi risultati. Questo fattore è indubbiamente interessante, perché il presidente deve presidiare fermamente quei territori, se vuole essere rieletto nel 2020.Del resto, il discorso di una scarsa consistenza dei risultati sul piano nazionale è valido anche per il Mississippi: Stato in cui l'elefantino ha agevolmente riconquistato il seggio governatoriale (con un vantaggio del 6%). È dal 2004 che questo territorio elegge infatti ininterrottamente governatori repubblicani ed è dal 1980 che, alla Casa Bianca, vota ripetutamente per i candidati dell'elefantino. In tutto questo, al di là delle aggrovigliate dinamiche locali, c'è anche un discorso di carattere più generale. Posto che - come abbiamo visto - caricare questi voti di significato nazionale è sempre azzardato, non va comunque trascurato che Virginia, Kentucky e Mississippi non risulteranno Stati dirimenti in vista del 2020. Beninteso, nessuno nega si tratti di territori di rilievo. Ma, almeno per ora, la loro scelta in vista delle prossime presidenziali sembra abbastanza scontata: è infatti altamente probabile che la Virginia voterà democratico, mentre Kentucky e Mississippi confermeranno il proprio sostegno ai repubblicani. Insomma, salvo eventi eclatanti, la loro linea politica a livello nazionale resta tutto sommato prevedibile. Discorso diverso avrebbe potuto aver luogo, se elezioni locali si fossero invece tenute in quegli Stati per cui Trump e i democratici stanno da tempo battagliando: Stati come il Michigan, la Pennsylvania, il Wisconsin e l'Ohio. In questo caso, sarebbe stato maggiormente fondato cercare di scorgere delle conseguenze politiche per la corsa presidenziale. Fermo restando che, come si diceva, confondere le dinamiche elettorali locali e nazionali negli Stati Uniti sia sempre molto rischioso. D'altronde, anche quando vota per il Congresso, l'elettore americano fa spesso prevalere logiche e considerazioni di natura locale (soprattutto per il Senato). Insomma, per quanto magari non troppo favorevole ai repubblicani, il voto del 5 novembre è ben lungi dal rivelarsi un avviso di sfratto a Trump.