2023-10-13
No, i distinguo non stanno in piedi. Chi è antisionista è pure antisemita
Comoda la differenza tra comunità ed entità statuale. Aveva ragione Martin Luther King: chi attacca Israele ce l’ha con gli ebrei. Ma è solo grazie ai kibbutz se un deserto è diventato prospero. Anche per i palestinesi.Contro ogni aspettativa, contro tutti i poteri, il sionismo ha vinto e ha fondato il suo Stato, la bandiera israeliana sventola su Gerusalemme, la città di re Davide, le persone possono pregare davanti al Muro Occidentale. Ci sono bambini ebrei e palestinesi sulle spiagge di Tel Aviv, ci sono uomini ebrei e palestinesi nei campi, tra le vigne, tra gli alberi di melograno, nel deserto del Naghev, che è tutto giallo, e poi improvvisamente esplode nel verde del palmeto, perché c’è il miracolo del kibbutz. Irrigato con l’acqua desalinizzata del Mar Rosso, il deserto germoglia e fiorisce. Sono contenta per tutte le famiglie che il venerdì sera accendono le candele e cantano dopo aver trasformato il tavolo della cena in un tempio e per quelle che non lo fanno perché sono laiche e lo fanno senza avere paura che il persecutore di turno venga a distruggere il loro desco. Ha detto Mohammad Khatami, che se non ricordo male è quello moderato, che quando l’islam avrà la bomba atomica il problema palestinese sarà risolto (l’eufemismo vuol dire gli israeliani saranno sterminati in un olocausto nucleare). Aggiunge Khatami - è questo che vuol dire essere una cultura di morte - che gli israeliani risponderanno con le loro testate nucleari e ci faranno qualche milioni di morti: siamo un miliardo e 200 milioni di persone, ce lo possiamo permettere. C’è una notevole logica. Dio vuole che viviamo, mentre Allah è più lieto se si muore uccidendo. La notizia è che Israele il problema palestinese è già in grado di risolverlo, per usare l’eufemismo di Khatami, visto che ha la sesta aviazione militare del mondo e che i palestinesi non hanno una contraerea. La prima differenza tra israeliani e palestinesi è questa: tutte le mattine gli israeliani si svegliano perché i palestinesi e tutti i loro dubbi alleati non hanno potuto ucciderli, tutte le mattine i palestinesi e i loro dubbi alleati si svegliano perché gli israeliani non hanno voluto ucciderli. Questa è la differenza tra cultura di vita e cultura di morte, tra chi accetta anche di uccidere perché deve proteggere i propri figli e chi uccide per il piacere di farlo e balla per strada mentre i bus scolastici o le torri gemelle sono nel fuoco. In tutte le guerre la morte dei civili è un effetto collaterale. Nelle entità genocidarie il civile, il neonato decapitato, la donna con le gambe spaccate trascinata seminuda dopo essere stata stuprata, sono invece il primo e principale obiettivo. Ricordo la frase pronunciata nel 1985 ad Algeri dal premio Nobel per la pace Yasser Arafat: noi li sgozzeremo tutti, sgozzeremo i feti nelle madri. Vorrei aggiungere che se Gaza riconoscesse Israele e liberasse gli ostaggi, tutto finirebbe immediatamente. Si dice che i sionisti abbiano occupato illegalmente, anzi, invaso il territorio su cui ora sorge lo Stato di Israele. Si dice che non abbiano alcun diritto di stare sulla terra altrui dopo averne scacciato gli abitanti. Questa straordinaria menzogna è talmente ripetuta dal 1973 che è diventata il verbo. La verità è che una nutrita comunità ebraica ha continuato a permanere nelle terre di Israele anche dopo la diaspora, nonostante sia calata notevolmente ai tempi delle crociate, per i massacri subiti. La verità è che il motto del Sionismo era «Un popolo senza una terra per una terra senza un popolo» e che la terra di Israele era, nella prima metà del XX secolo, una landa desolata a metà paludosa e a metà desertica che pochi si contendevano e che i coloni sionisti hanno coltivato e reso fertile. La verità è che, all’epoca, l’attuale territorio dello Stato di Israele era abitato al 6% da ebrei, al 13 da arabi e da nessun altro per la parte rimanente, all’incirca l’80%. Traduzione: dei 19.000 chilometri quadrati che costituiscono Israele, più di 15.000 erano disabitati. Confrontate le descrizioni della Terra Santa e di Gerusalemme che fanno Voltaire nel Settecento e Mark Twain nell’Ottocento: una terra di sassi e scorpioni, un ammasso di rovine polverose. È stato dopo che il sionismo è arrivato, dopo che i terreni sono stati acquistati e pagati carissimi, che la terra di Israele ha cominciato a valere qualcosa, è dopo che il popolo di Israele l’ha dissodata e seminata a costo di migliaia e migliaia di morti di stenti, malaria e miseria. Il sionismo ha rappresentato l’unica speranza per un popolo da secoli martoriato e deriso in giro per il mondo di avere una propria voce e dei propri metodi di difesa contro i suoi molteplici aggressori, ma è stato anche una risorsa per i palestinesi. Il terreno è stato irrigato o bonificato, migliaia di giordani si sono spostati dalla Giordania in Israele. Una delle fondamentali ragioni di critica di Israele è stata ed è il suo rifiuto di far tornare alle loro abitazioni, ora nel loro territorio, all’inizio 700.000 arabi e oggigiorno i loro discendenti. Israele viene per questo considerato uno stato razzista. L’Onu, nel 1947, aveva stabilito dei confini esatti tra lo Stato ebraico e lo Stato arabo, da crearsi dopo il ritiro della Gran Bretagna. Il territorio dello Stato ebraico previsto era inferiore a quello odierno, ma i sionisti lo avrebbero accettato volentieri se avessero avuto l’assicurazione di poter vivere in pace con i loro vicini. Questi, invece, hanno rifiutato la mappa tracciata dalle Nazioni Unite e hanno proclamato che Israele doveva essere distrutta del tutto. Circa 700.000 arabi della regione si sono uniti alla coalizione di Siria, Giordania, Iraq ed Egitto volta ad annientare sul nascere il piccolo Stato ebraico. Centinaia di migliaia di israeliani contro centinaia di milioni di arabi, in questi termini va visto lo scontro. Gli arabi che non si sono uniti agli altri Paesi sono, però, potuti rimanere nelle loro case e i loro discendenti formano quel milione di regolarissimi cittadini israeliani di religione musulmana. Parlando di profughi, non è poi lievemente imparziale compatire 700.000 musulmani costretti a spostarsi di poche decine di chilometri dalle loro case e non considerare minimamente i 2 milioni e passa di odierni cittadini israeliani che abitavano da sempre nei Paesi arabi costretti a emigrare perché indesiderati e spesso in pericolo di morte? Oppure 10 milioni di induisti buttati fuori dal Bangladesh dai musulmani? La recentissima tragedia armena, un popolo cacciato dalla sua terra, sua da sempre, ha lasciato tutti indifferenti. In cambio del petrolio, gli arabi non hanno voluto solo i nostri soldi, ma hanno preteso pure la nostra simpatia e il nostro appoggio. Nel 1974 l’Unione europea ha ufficialmente dichiarato l’islamizzazione dell’Europa come uno dei suoi scopi principali, mediante immigrazione massiva e modificazioni delle linee culturali. Il vittimismo palestinese e la demonizzazione di Israele fanno parte di quelle linee. Antisionista e antisemita sono sinonimi. «Tu dichiari, amico mio, di non odiare gli ebrei, di essere semplicemente “antisionista”. E io dico: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei. E che cos’è l’antisionismo? È negare al popolo ebraico un diritto fondamentale che rivendichiamo giustamente per la gente dell’Africa e accordiamo senza riserve alle altre nazioni del globo. È una discriminazione nei confronti degli ebrei per il fatto che sono ebrei, amico mio. In poche parole, è antisemitismo… Lascia che le mie parole echeggino nel profondo della tua anima: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei, puoi starne certo». (Martin Luther King). Gerusalemme, Betlemme e Gerico sono nomi ebraici. Mille anni prima la fondazione di Roma, 2.000 anni prima della nascita di Maometto, Gerusalemme era la capitale dello Stato ebraico. Gli ebrei pregano verso Gerusalemme, deportati hanno cantato «Gerusalemme, se ti dimentico, possano il mio braccio e il mio occhio cadere», in coda davanti alle camere a gas si sono augurati l’anno prossimo a Gerusalemme.