2022-04-09
Niente freni allo shopping francese. Ma la reciprocità è un miraggio
Da sinistra: Emmanuel Macron, Sergio Mattarella e Mario Draghi (Ansa)
Vantaggi a senso unico. Due mesi fa un’indiscrezione ha fermato Piazza Gae Aulenti.Italia e Francia hanno firmato un trattato lo scorso novembre. Si chiama del Quirinale perché gran parte degli input provengono dal Colle e perché mira a creare strutture permanenti in grado di pianificare al di fuori del Parlamento strategie congiunte e opportunità di crescita. Il trattato è rimasto per quasi due anni nel cassetto. I francesi erano rimasti offesi o scottati dalle mosse dell’attuale ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che volò a Parigi per farsi immortale al fianco dei gilet gialli. A stendere un velo di ghiaccio sopra le trattative finalizzate all’accordo fu però il cambio di rotta sui cantieri dell’Atlantique. Prima dell’arrivo di Emmanuel Macron , l’Eliseo concluse un accordo per cedere l’importante struttura di Stx a Fincantieri. Poi, dopo le elezioni, l’accordo fu praticamente stracciato. Macron impose una compagine societaria che avrebbe permesso un controllo posticcio dei cantieri da parte dell’azienda guidata da Giuseppe Bono. Salvo poi muovere le fila dietro l’Antitrust europeo per far saltare pure l’ultimo appiglio. Il governo di Mario Draghi ha deciso di ignorare tutte queste ferite, a nostro avviso troppo profonde, e dare un colpo di reni per la firma dello scorso 21 novembre. Chiaramente Draghi pensava di intestarsi l’accordo e poi renderlo operativo una volta seduto al Colle. Sappiamo che non è andata così. È arrivato grazie all’impegno di Ugo Zampetti il Mattarella bis. Non sappiamo che strumento sarebbe diventato il trattato, ma di certo ora è di nuovo una via a senso unico. I francesi arrivano e fanno business in Italia. Non esiste reciprocità. Lo dimostra la mossa di Crédit agricole che di colpo rastrella (giovedì sera) il 9,18% di Banco Bpm dando implicitamente il via al vero terzo polo bancario italiano. Certo, i francesi di Crédit agricole rappresentano un mondo completamente diverso da quelli di Bnp Paribas, sono presenti in Italia da anni e hanno costruito strutture profittevoli e ben addentro al territorio italiano. Basti pensare a Cariparma. Sono però stati in grado di prendere il controllo di Creval, un istituto che può essere considerato un gioiellino, praticamente a costo zero. Come hanno fatto? Semplicemente hanno sfruttato le cosiddette Dta. Sono incentivi fiscali che il governo ha previsto appositamente per le fusioni bancarie. Idea nata per il Monte dei Paschi di Siena e poi rinnovata anche nella legge finanziaria 2021. Rinnovata nonostante il Mef già sapesse che l’operazione Mps sarebbe slittata alle calende greche. Risultato: l’unica banca a godere della Dta è stato proprio il Crédit agricole, fino a due mesi fa quando Bper è intervenuto su Carige rilevando per 1 euro l’istituto genovese che con sé porta una dote fiscale di 530 milioni di euro. Anche in quella partita è intervenuto l’istituto francese. Qualcuno è stato contento perché Bper ha dovuto alzare l’offerta. Insomma, i francesi di Crédit agricole crescono a tappe forzate ma sembra che nel momento in cui tirano spallate alle porte le trovino sempre un po’ socchiuse. E qui torniamo a Banco Bpm. Lo scorso 10 febbraio il quotidiano Il Messaggero ha pubblicato un interessante articolo che anticipava una possibile Opa di Unicredit su Banco Bpm. L’indiscrezione (vera) ha fatto schizzare il titolo e tagliato le gambe all’istituto guidato da Andrea Orcel. Il quale evidentemente è dovuto ripiegare, visto il nuovo prezzo del titolo, e poi sospendere l’operazione perché concentrato a non farsi colpire dalle bombe di Vladimir Putin sull’Ucraina. In occasione della pubblicazione dell’articolo la Consob ha scelto la linea soft, per usare un eufemismo. Lo stesso ministro Daniele Franco l’indomani fece una strana dichiarazione in conferenza stampa: «È interesse del governo avere un sistema bancario solido, efficiente, che dia credito all’economia. Non sta a noi interferire con la scelta delle banche private». Parole che sembrano, anche, voler sopire ogni ipotesi che la fuga di notizie sia partita dal Mef, notava in un articolo Repubblica. La scorsa estate il Tesoro trattò con Unicredit la vendita di Mps, banca pubblica che Orcel avrebbe comprato solo con una dote di 8 miliardi. A ottobre il negoziato saltò. I rapporti si sono interrotti. E non vorremmo che l’excusatio non petita di Franco lasci intendere qualcosa di preciso. Perché a questo punto, visto il non intervento Consob, sarebbe interessante capire la filiera della fuga di notizie. A posteriori ha favorito una banca non italiana. Ieri il presidente del Copasir, Adolfo Urso, ha dichiarato in relazione allo scatto su Banco Bpm: «Si tratta di un settore strategico tutelato anche dalla golden power e quindi sottoposto alle valutazioni del governo, oltre a quelle delle autorità di controllo, nei limiti definiti dalla legislazione in vigore». Il Copasir potrebbe capire se effettivamente il governo voglia chiudere la porta ai francesi e al tempo stesso verificare se qualcuno sempre da quelle parti non l’abbia lasciata aperta.