2025-02-04
«Venduti permessi per gli stranieri». Il tesoriere campano del Pd ai domiciliari
Sbarco di migranti a Salerno. Nel riquadro, Nicola Salvati (Getty Images)
Maxi inchiesta nel Salernitano: 31 arresti, nei guai una coop, patronati, ispettori del lavoro e il commercialista dem (sospeso).«Basta che porti solo 4.000 euro che io pago il padrone, poi io ti do i nulla osta, tu prepari tutti i codici, mettiamo il timbro e non c’è problema». La catena di montaggio dei permessi di soggiorno che aggirava i decreti Flussi ed Emersione poteva contare su intermediari, coop compiacenti, consulenti, referenti dei patronati, ispettori del lavoro ed esperti di riciclaggio. Al ciclostile migliaia di istanze venivano inoltrate durante i click day dai referenti dei patronati, che per ogni pratica incassavano poche decine di euro. Il tutto senza che nessuno si domandasse perché mai un’azienda agricola con un volume d’affari inesistente avesse bisogno di assumere centinaia di lavoratori stranieri. E, così, la cricca, che per la Procura antimafia di Salerno sarebbe una «associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento illecito dell’immigrazione clandestina, al falso, alla corruzione e al riciclaggio», con base a Capaccio, in provincia di Salerno, avrebbe «venduto» permessi di soggiorno a migliaia di cittadini extracomunitari (quelli scoperti sono oltre 2.000) grazie a un meccanismo ben oliato - nel quale avrebbe inzuppato pure un esponente del Pd, Nicola Salvati (commercialista e tesoriere dem che ieri è stato sospeso), finito ai domiciliari - e con ramificazioni nelle province di Salerno, Napoli e Caserta. Un’impresa efficiente, capace di generare milioni di euro con un sistema che avrebbe coinvolto datori di lavoro compiacenti, ispettori del lavoro, patronati e professionisti. A guidare le operazioni, un gruppo di specialisti dell’illecito, esperti nella creazione di aziende fantasma e nella produzione di documentazione falsa. Le indagini, condotte dai carabinieri per la Tutela del lavoro con il supporto dell’Arma territoriale e della Gdf, ieri mattina hanno portato all’arresto di 31 persone.In cambio di cifre elevate i migranti ottenevano un permesso di soggiorno attraverso richieste di «nulla osta al lavoro» completamente fittizie. Mentre i datori di lavoro avrebbero attestato la necessità di manodopera e i pubblici ufficiali, dietro compenso, avrebbero garantito l’emissione di documenti perfettamente regolari.Le carte dell’inchiesta ricostruiscono i ruoli dei vari membri dell’associazione a delinquere. A capo dell’organizzazione c’era Raffaele Nappi, imprenditore e mente della macchina, che insieme al fratello Gennaro, attraverso la ditta Antichi sapori società cooperativa, avrebbe fatto transitare oltre 1.000 extracomunitari sul territorio italiano. Un business da almeno 100.000 euro, valutano gli inquirenti. Accanto a lui c’era una schiera di collaboratori fidati: gli intermediari stranieri (quasi tutti indiani o del Bangladesh), come Karanbir Singh, Kumar Kulwinder e altri che facevano da tramite con gli immigrati, con i commercialisti esperti nel fabbricare la documentazione necessaria e anche con gli impiegati dei patronati che garantivano che le domande fossero caricate nei sistemi informatici delle Prefetture senza fare troppe domande. Del resto, se il codice fiscale era errato o il contratto di affitto scaduto, bastava rivolgersi all’ispettore giusto. Come C. M., funzionario dell’Ispettorato territoriale del lavoro di Napoli (indagato a piede libero), che, stando alle intercettazioni, avrebbe chiuso: «Io mando a Napoli, perché il dottore (C. M., ndr) il fascicolo non lo vede, capito? Non lo vede», spiegava Nappi, mostrando una certa sicurezza sulla pratica. Le intercettazioni svelano la disinvoltura con cui i membri dell’organizzazione trattavano l’intero sistema. Pagamenti compresi: «Mo tu ce li hai tutti addosso i soldi?», chiedeva Nappi. E dopo aver ottenuto la conferma: «Ah, è un pacchetto in busta?». Poi forniva indicazioni: «Glieli dai alla signora, tanto sono contanti […] io me ne vado in macchina, meglio che non li tocco i soldi, vai dentro dalla signora, la chiami e dici “ti devo dare una cosa”». Ovvero 5.200 euro, secondo gli investigatori. Mentre un intermediario faceva i conti della serva: «Con la carta io 1.500 dare padrone, 1.500 lasciare a Napoli (probabilmente uno degli ispettori, ndr) e 1.000 guadagnare io». Ma tra gli intermediari c’era anche chi faceva i conti in tasca proprio a Nappi: «Minimo quest’anno guadagni quasi 150.000 euro, dove li metti?». Ed è Nappi a spiegare la sua situazione: «No, no, ho preso fino adesso 20… 16 e devo prendere altre nove pratiche, gli altri cinque abbiamo sistemato il reddito e adesso sto mettendo a posto i terreni, oggi mi fa la richiesta della denuncia aziendale retroattiva e una volta pronti questi documenti mi dà le cinque pratiche e non c’è più niente». Alla fine il conto di Nappi è questo: «350.000 euro».I contanti, hanno scoperto gli investigatori, sarebbero stati consegnati a un avvocato, Catello Cascone, che subito dopo avrebbe emesso assegni o bonifici sul conto di una ditta di Nappi per il pagamento di fatture per operazioni inesistenti: «Io ho bisogno di fatturare, mo gli feci 40.000 di fatture, ho portato da lui i soldi e mi ha dato anche l’Iva e mi fa tutti bonifici a ricotta, tutti assegni o bonifici a ricotta, in modo che mi trovo con le entrate e le uscite con la cooperativa». Tutto regolare. Ma solo sulla carta.
il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi (Ansa)
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Donald Trump (Getty Images)
Donald Trump (Getty Images)