2023-09-06
Il network Usa che foraggia la lotta
Adam McKay (Getty Images)
I fondi e le indicazioni per gli estremisti del clima arrivano da un’Ong di Beverly Hills. Al suo interno registi e filantropi come Adam McKay («Don’t look up») e Rory Kennedy.La Generazione sarà anche l’ultima, ma i soldi rimangono quelli di sempre. Nel sottobosco gruppettaro del terzo millennio, tra oscure Ong e attivisti sui generis che si affacciano nel dibattito sul cosiddetto cambiamento climatico, da un anno circa ha preso piede nelle cronache Ultima generazione. Con azioni eclatanti, il gruppo, composto da giovani di varia estrazione, si è affermato come rappresentante di spicco di una sorta di estremismo climatico apocalittico.Come già abbiamo scritto in passato, il gruppo è parte di un network internazionale, che agisce in molti Paesi europei con nomi diversi. Una vera e propria galassia con varie sigle e nomi, accomunate però dall’appartenenza non solo allo stesso network ma anche alla stessa catena di finanziamenti. Dovrebbe essere abbastanza chiaro che reclutare persone, organizzare le malefatte, dotarsi dei mezzi e degli strumenti necessari, anche legali, per avere poi così tanto spazio sui media, è costoso. Serve una struttura, luoghi, organizzazione. E soldi. Ovviamente è perfettamente legale finanziare movimenti di opinione. Diventa un po’ meno ovvio se con quei soldi il movimento compie dei reati, soprattutto se i finanziamenti sono indirizzati proprio a questo. Al di là del totale non sequitur, tra il dire (salviamo il pianeta) e il fare (imbrattare un monumento) c’è di mezzo un mare di dollari. In Italia esiste l’articolo 518-duodecies del codice penale, introdotto dal Parlamento a marzo 2022 durante il governo di Mario Draghi. Questo stabilisce che chi distrugge o imbratta beni culturali o paesaggistici rischia la reclusione fino a cinque anni e una multa fino a 15.000 euro. Sarebbe interessante capire se chi finanzia gli autori dei reati non sia responsabile di concorso.Dietro al gruppo di ecoansiosi imbrattatori c’è il Climate emergency fund, con sede a Beverly Hills (California), un’organizzazione non profit classificata come 501c(3) secondo la legge statunitense, cioè un ente che, senza pagare tasse, raccoglie donazioni e finanzia gruppi di attivisti. «Sosteniamo gli attivisti coraggiosi che svegliano il pubblico all’emergenza climatica», declama il sito Web, che ha anche una sezione teorica titolata «Teoria del cambiamento», il cui slogan è «Il gradualismo ha fallito. Ma l’attivismo funziona». Lo stesso sito Web riporta i nomi dei destinatari dei finanziamenti (da Ultima generazione in Italia a Just stop oil in Gran Bretagna) e fornisce un vademecum per la preparazione delle «campagne». Vengono selezionati degli obiettivi, viene composto il messaggio esplicito, si organizza la ripresa del fatto, se ne diffonde via social la registrazione. È il fondo stesso che provvede a scegliere i gruppi da finanziare, forma gli attivisti su come condurre le iniziative e come diffonderle ai media. Il fondo presta anche consulenza tecnologica e dispone di una rete di contatti internazionali, per poi assegnare i fondi necessari, che possono anche comprendere le spese legali e variano da 35.000 a 80.000 dollari a gruppo. Con malcelato orgoglio, il sito rivela che dal 2019 ha finanziato 94 organizzazioni, con oltre 22.000 attivisti per il clima formati e oltre un milione di attivisti mobilitati. Il direttore esecutivo di Climate emergency fund è una psicologa americana di 36 anni, Margaret Klein Salamon. Ma è nel board del fondo che si trovano nomi interessanti. Ad esempio, lo sceneggiatore premio Oscar, regista e produttore Adam McKay, che ha diretto il film fanta-catastrofico Don’t look up, uscito su Netflix nel 2021, ma anche di film importanti come Vice e The big short.McKay un anno fa ha messo nel fondo, di tasca sua, 4 milioni di dollari e si è seduto così nel board, in una bella poltrona comoda. Al suo fianco, la fondatrice del fondo Aileen Getty, filantropa erede della celebre famiglia di petrolieri Getty. Nipote di quello che negli anni Sessanta fu l’uomo più ricco del mondo, J. Paul Getty, proprio lui, il fondatore della Getty Oil Company. L’erede Aileen ha avuto una vita tormentata, tra abuso di droghe e l’Aids, prima di cambiare vita e utilizzare la fortuna di famiglia per opere di carità. Del prestigioso consesso fa parte anche Rory Kennedy, regista e produttrice cinematografica, esponente della grande dinastia dei (rullo di tamburi) Kennedy. È infatti figlia di Bob Kennedy, il politico democratico assassinato nel 1968, fratello di John Fitzgerald Kennedy, a sua volta assassinato a Dallas nel 1963.Vi sono poi Geralyn Dreyfous, produttrice cinematografica e televisiva, Sarah Ezzy, che gestisce i fondi della Aileen Getty Foundation, e Shannon O’Leary Joy, ambientalista e produttrice di documentari. Considerato che gran parte dei membri e finanziatori del fondo proviene dal mondo del cinema e della televisione, non devono sorprendere la cura che gli attivisti mettono nella diffusione presso i media delle prove delle loro azioni. Quello dei ragazzi di Ultima generazione, che non si sa se e quanto si rendano conto della manipolazione che subiscono, è in fondo una sorta di spettacolo. I media vengono utilizzati come juke box, con tanto marketing, tanta prosopopea e una robusta dose di cinismo.
(Totaleu)
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