
Il network, con altre multinazionali, sponsorizza l'evento Lgbt di Milano. E piazza nella metropolitana bandiere arcobaleno e cartelloni con i personaggi delle serie tv. Una provocazione diretta al ministro.Forse è ora di ridimensionare un pochettino la retorica arcobaleno. La «narrazione» della minoranza Lgbt perseguitata e oppressa dal sistema non regge più. Non è più sostenibile nel momento in cui a promuovere le istanze degli attivisti omosessuali sono alcune delle aziende più grandi e potenti del pianeta. Già: il potere, oggi, sta con il mondo gay. Basta guardare l'elenco delle compagnie che sponsorizzano il gay pride di Milano, in programma per domani. C'è la multinazionale Accenture; c'è Coca Cola, che produrrà un'apposita lattina arcobaleno; c'è Unicredit, che illuminerà il suo grattacielo con i colori del pride; c'è Ebay, che ha creato una pagina con prodotti ad hoc. E, soprattutto, c'è Netflix. Il colosso dell'intrattenimento digitale ha inondato di pubblicità la metropolitana milanese. Le banchine sono state colorate d'arcobaleno. Sui muri si vedono cartelloni giganteschi con uno slogan un po' scontato: «Rainbow is the new black», che riprende il titolo della celebre serie Orange is the new black. Ma non è finita. Netflix ha deciso di affiggere nella fermata della metropolitano di Porta Venezia (che il centro del «Pride village») alcuni cartelloni molto particolari. Raffigurano le coppie gay protagoniste di alcune delle serie di maggior successo del network. Le immagini mostrano Piper e Alex di Orange is the new black, Nomi e Amanita e Lito e Hernando di Sens8. Le foto dei personaggi (che sullo schermo sono impegnati in una relazione) sono accompagnate dalla scritta «non esistono». La frase non è scelta a caso. È un riferimento - anche piuttosto diretto - a ciò che disse il ministro per la Famiglia, Lorenzo Fontana, in un'intervista al Corriere della Sera. indignati all'assalto Fontana si limitò a spiegare che le famiglie arcobaleno «per la legge non esistono in questo momento» (cosa, per altro, vera e più volte ribadita persino dagli stessi gruppi gay). Ovviamente, su di lui si scatenò la furia delle associazioni Lgbt, al solito supportate dalle schiere degli indignati di professione. Il ministro fu accusato di essere razzista, intollerante, fascista, omofobo, eccetera. Bene, Netflix ha deciso di rimestare nella polemica e, per fare pubblicità al gay pride, ha pensato bene di attaccare frontalmente Fontana. Sui quotidiani online, come prevedibile, già ieri fioccavano gli articoli entusiasti: tutti a battere le mani per la spiritosa trovata di Netflix. Nessuno che si sia fermato un attimo a riflettere sulla portata dell'iniziativa. Una delle più grandi aziende del mondo ha scelto deliberatamente di attaccare il ministro di uno Stato democratico. Vi sembra normale? Certo, poiché si tratta di una battaglia «a favore dei diritti Lgbt», tutti applaudono, con il cervello a mollo nella melassa. Ma vi immaginate che cosa accadrebbe se un'altra multinazionale si permettesse di fare campagna contro il rappresentante del governo francese o tedesco? I cartelloni diventerebbero un caso diplomatico, ci sarebbero ambasciatori intenti a produrre comunicati stampa roventi. Invece, in questo caso, nulla accade. Al fronte arcobaleno, del resto, tutto è concesso. Anche prendersela con il rappresentante di un governo democraticamente eletto.diritti per finta È ammirevole che Fontana abbia scelto di non fare la vittima e di non andare allo scontro. Però questa vicenda deve far riflettere, perché dimostra che la difesa delle istanze Lgbt è diventata la nuova norma. Chiaramente, alle grandi aziende non frega assolutamente nulla dei diritti umani di chicchessia. Semplicemente, esse seguono la moda, e sanno che quello arcobaleno è un mercato redditizio. Qui, infatti, non si tratta di tutelare persone discriminate, o almeno non più. Si tratta, piuttosto, di imporre una nuova visione del mondo grazie a una propaganda martellante. Giusto ieri, il Corriere della Sera ha dedicato un'intera pagina a una ricerca realizzata da Viacom su 100.000 intervistati in 77 Paesi. «Lo studio rivela il ruolo fondamentale che ha la rappresentanza Lgbtq nei media e tra le celebrità nel cambiare gli atteggiamenti positivamente». «Secondo la ricerca», spiegava il giornale, «tra chi non conosce una persona gay, uno su quattro conferma che la rappresentazione dei media ha contribuito a rendere i propri sentimenti più favorevoli. E sempre uno su quattro ammette di essere influenzato dalle idee dei personaggi famosi. Un dato che in Italia sale dal 20% al 32%». Sapete che cosa significa? Che le serie tv influenzano le persone più di qualunque iniziativa politica, più dei libri, più degli articoli di giornale. Solo che le serie tv non rappresentano esattamente la realtà. Anzi, mostrano per lo più una visione stereotipata delle coppie omosessuali. Nelle fiction, i gay sono sempre personaggi positivi, sono per lo più migliori degli altri, o comunque è facile amarli. Le serie di Netflix, in particolare, presentano un pregiudizio positivo sul mondo Lgbt. Ed è questa la sottile distinzione tra il racconto del reale e la propaganda. Nel mondo reale, i gay delinquono, litigano, sbagliano e commettono reati proprio come gli eterosessuali. Eppure, in tv vengono quasi sempre rappresentati come genitori perfetti, amici fantastici... Questo sancisce il pensiero dominante: l'arcobaleno è sempre bello e radioso. scene ridicole Il risultato è che, talvolta, si assiste a spettacoli ridicoli. Facciamo un esempio che riguarda proprio Netflix. Nella serie thriller La Mante - produzione francese del 2017 - a un certo punto appare un personaggio negativo che è transessuale. Immediatamente, il Web si è scatenato, accusando la serie di «transfobia». È facile immaginare che su Netflix non vedremo più nulla di simile. Perché, appunto, i personaggi Lgbt debbono essere soltanto belli e buoni, e chi osa dire il contrario è omofobo e razzista. Come il ministro Fontana, colpevole di aver detto il vero in una intervista. Colpevole di non adeguarsi al pensiero dominante. La prossima volta che vi parlano di discriminazione e minoranze oppresse, ricordatevi che, nella storia, di oppressi sponsorizzati da banche e multinazionali se ne sono visti davvero pochi.
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