2023-12-06
Netanyahu gela i parenti degli ostaggi: «Non è possibile salvarli tutti quanti»
Benjamin Netanyahu (Ansa)
Intanto l’Idf conferma a una delegazione di europarlamentari: «Distruggeremo i tunnel di Hamas, chi ne dubita si sbaglia».«Non andremo allo sbaraglio, ma il nostro obiettivo è chiaro: sradicare Hamas, toglierle il governo di Gaza e fare in modo che i palestinesi vadano verso un destino senza terrorismo». A parlare è il colonnello delle forze di difesa israeliane Peter Lerner, riservista, ex dirigente sindacale, che dal massacro del 7 ottobre ha smesso gli abiti civili e ha assunto il ruolo di portavoce. Di fronte a lui una delegazione mista di parlamentari europei (tra cui gli italiani Naike Gruppioni e Mauro Del Barba di Iv, Susanna Campione e Antonio Baldelli di Fdi), giornalisti e organizzazioni no profit di sostegno e solidarietà alla causa israeliana, tra cui Elnet, che da poco ha aperto una sede italiana per iniziativa di Roberta Anati. Il briefing si svolge in un piano sotterraneo di uno dei più grandi ospedali di Tel Aviv, l’Ichilov, che da quando è scoppiata la guerra contro Hamas si è allargato in tempo record con la costruzione di nuovi reparti in quello che era il parcheggio. L’incontro con la delegazione europea inizia in ritardo perché le sirene dell’allarme costringono i presenti a ripararsi per alcuni minuti nella tromba delle scale. Più tardi si scoprirà che una persona è rimasta ferita da una scheggia nei pressi di una scuola, in seguito al lancio di 15 razzi da Gaza.Si va subito al dunque, in termini di strategia militare. Lerner elude il problema principale: i presenti vogliono sapere come l’esercito israeliano pensa di penetrare dentro la Striscia e decapitare Hamas, smantellando la famigerata e fittissima rete di tunnel. Dagli Usa rimbalza la notizia che un modo potrebbe essere quello di inondare i tunnel pompando acqua dal mare. Lui non conferma e non smentisce, sottolineando di non essere tenuto a parlare di strategia, ma insiste su un punto: «A Gaza ci sono 500 chilometri di tunnel, distruggerli è la nostra grande sfida e lo faremo. Chi pensa che andremo allo sbaraglio, facendo gli errori che altri hanno fatto altrove, si sbaglia: prenderemo tutto il tempo che occorre. Solo nei primi giorni di operazione a Gaza abbiamo trovato 800 accessi ai tunnel. Ce ne sono ovunque», prosegue Lerner, «nelle case, in tutte le scuole e in tutti gli ospedali. Sono delle trappole a 360 gradi, ci sono esplosivi, armi, munizioni, ma noi ci stiamo focalizzando sulla striscia di Gaza perché abbiamo presente il nostro obiettivo».Non a caso, da quando le operazioni sono riprese, i tank e l’artiglieria israeliana hanno puntato in parallelo a Gaza e sull’altra grande città della striscia, Khan Yunis, più a Sud, che il maggiore Ariel Shellcar, di stanza nella base di Shura, ormai tristemente famosa per essere il centro di smistamento e di identificazione dei corpi delle vittime, reputa militarmente non meno importante di Gaza city: «Nella Striscia non c’è separazione tra la parte civile palestinese e quella militare di Hamas. Abbiamo ucciso tra i 6 e i 7.000 terroristi, ma ne stimiamo circa 40.000. Stiamo entrando a Khan Yunis, che è il centro militare di Hamas. Non è una città, ma una base militare camuffata da città e vogliamo che i civili vadano via».A proposito di civili, tutti i luoghi pubblici di Israele mostrano i volti dei 137 ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Una gigantografia è stata montata sulla tribuna della Knesset, a Gerusalemme, di fronte ai seggi dei deputati. La missione europea ha incontrato anche una rappresentanza dei loro parenti, che hanno lanciato un appello ai politici del loro Paese ma anche al resto del mondo, in particolare all’opinione pubblica europea. La quasi totalità delle vittime della barbarie islamista e degli ostaggi è stata fatta in contesti pacifici come un festival musicale e un kibbutz. Molti di loro avevano manifestato contro il premier Benjamin Netanyahu durante l’iter della riforma della giustizia, che ha spaccato il Paese. Ma ora le cose sono cambiate, affermano all’unanimità: «Il mondo occidentale», dice la zia di un uomo di 34 anni rapito al festival musicale, «si deve svegliare, il 7 ottobre ha cambiato le cose». Gli fa eco il fratello di un altro ostaggio, usando parole più dirette: «Quello che è successo da noi succederà anche da voi, se non fate niente». Dopo gli scambi degli ultimi giorni e la fine della tregua, però, la situazione si è fatta più difficile e non lo nega lo stesso Netanyahu, rispondendo loro indirettamente: «Allo stato attuale», ha affermato ieri, «non è possibile riportarli tutti indietro. Qualcuno può pensare», ha aggiunto, «che se questa fosse un’opzione qualcuno la rifiuterebbe?».Ma accanto alla guerra vera e propria, Israele ha deciso di condurre in modo deciso anche la guerra contro la disinformazione e il negazionismo. Miky Rosenfeld, capo della polizia di Sderot, una delle città martiri dell’attacco del 7 ottobre, si chiede come sia possibile che nell’opinione pubblica europea vi sia chi la pensa come gli islamici, e cioè che i massacri subiti dai civili israeliani siano una messa in scena. Tra chi lo ascolta e annuisce c’è il leader della destra spagnola di Vox, Santiago Abascal, che assieme a tutti gli altri lunedì scorso ha visto di persona lo scempio e la distruzione portata da Hamas nel kibbutz di Kfar Aza, dove sono state trucidate a sangue freddo, e in un giorno di festa, 63 persone di pace.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
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