2021-06-04
In Israele il governo è un pateracchio benedetto da Biden contro Netanyahu
Joe Biden e Benjamin Netanyahu (Ansa)
La nuova coalizione è un'accozzaglia di partiti i cui leader hanno idee opposte. Però agli Usa fa comodo per il dialogo con l'Iran.È quasi fatta per il nuovo governo israeliano. Mercoledì notte, il leader del partito di centrosinistra Yesh Atid, Yair Lapid, ha informato il presidente Reuven Rivlin di avere i numeri per formare un esecutivo di coalizione. L'accordo prevede in particolare una staffetta: il leader dello schieramento di destra Yamina, Naftali Bennett, sarà primo ministro fino al settembre del 2023. A quel punto, lo stesso Lapid gli subentrerà fino al novembre del 2025. Dirimente, secondo il Times of Israel, si sarebbe rivelato l'appoggio garantito dal partito arabo e di orientamento islamista Ra'am. Nel dettaglio, il nascituro esecutivo ha ottenuto il sostegno di 8 dei 13 schieramenti che sono riusciti a entrare nella Knesset alle elezioni di marzo, ma gode al momento di una maggioranza risicatissima: appena 61 seggi su 120. In tutto questo, Benjamin Netanyahu, è andato all'attacco, accusando Lapid e Bennett di eccessive concessioni a Ra'am. Non solo: il premier uscente - al potere da 12 anni - ha anche sostenuto che la nuova coalizione sia «di sinistra e pericolosa», esortando quindi i deputati eletti a destra a non appoggiarla. Le acque restano quindi agitate in attesa del voto di fiducia. Ed è proprio qui che si incontra il primo scoglio per il nascituro governo. Secondo il Times of Israel, la Knesset sarà in sessione non prima del 7 giugno: a quel punto, il suo presidente, Yariv Levin, potrà fissare la data del voto nell'arco di sette giorni. Ne consegue che Levin - esponente del Likud e quindi non ostile a Netanyahu - potrebbe scegliere il 14 giugno, per allungare i tempi e consentire al premier uscente la possibilità di tornare in sella. Ecco perché alcuni schieramenti della nascitura coalizione starebbero cercando di arrivare a una (difficile) sostituzione del presidente della Knesset. Del resto, le incognite all'orizzonte non sono poche. In primis, gli schieramenti che compongono questa nuova coalizione risultano profondamente eterogenei. Ricordiamo, per esempio, che Yamina si opponga alla creazione di uno Stato palestinese e che Reuters descriva Bennett come un «sostenitore dell'annessione della maggior parte della Cisgiordania occupata». Una differenza notevole rispetto a Yesh Atid e Ra'am, che difendono invece la soluzione a due Stati. Tutto questo lascia intendere come l'unico fattore coesivo di questa nuova coalizione sia la volontà di creare una conventio ad excludendum nei confronti di Netanyahu (una situazione che, volendo fare un parallelismo con la politica italiana, richiama alla memoria l'Unione di Romano Prodi). In secondo luogo, bisogna stare molto attenti all'avvicendamento della premiership, visto che Bennett ha già mostrato una discreta dose di spregiudicatezza: sempre rifacendoci alla politica italiana, è bene ricordare il sostanziale naufragio del «patto della staffetta» ai tempi del pentapartito. Un terzo fattore di incognita riguarda poi la partecipazione di Ra'am alla coalizione: alcuni sostengono che una tale circostanza sia positiva perché in grado di facilitare il dialogo tra arabi ed ebrei. Tuttavia il suo leader, Mansour Abbas, proviene dal Movimento islamico, una realtà fondata nel 1971 e presentante collegamenti con i Fratelli musulmani. È pur vero che il Movimento si sia poi spaccato in due ali, una più radicale e una più moderata, e che Abbas faccia parte di quest'ultima. Tuttavia la situazione resta poco chiara. Da una parte, costui ha dato prova di pragmatismo politico (ha dialogato in passato anche con Netanyahu e si è attirato le critiche degli attivisti di Ra'am). Dall'altra, risulta comunque un conservatore religioso. Sarà quindi interessante vedere come si svilupperanno i suoi rapporti con Yamina e quale influenza avrà sulla politica estera israeliana (ricordiamo che, l'anno scorso, si espresse contro gli accordi di Abramo). Al di là delle dinamiche interne, è plausibile ritenere che questo nuovo governo - posto che alla fine nasca - non dispiaccia affatto alla Casa Bianca. I rapporti tra Netanyahu e Joe Biden sono sempre stati piuttosto freddi, soprattutto a causa della volontà, espressa dal presidente americano, di rilanciare il controverso accordo sul nucleare con l'Iran. Ed è probabile che il rapporto tra i due leader sia addirittura peggiorato durante la crisi di Gaza del mese scorso. Proprio in quel periodo, del resto, Lapid - che aveva ricevuto l'incarico di formare un nuovo esecutivo il 5 maggio - ha mostrato un netto allineamento a Biden, esortando Netanyahu ad ascoltare la richiesta di un cessate il fuoco avanzata dalla Casa Bianca. «Israele non può ignorare questa richiesta», dichiarò. Era inoltre il maggio del 2018, quando Lapid criticò il ritiro degli Stati Uniti dall'intesa sul nucleare con l'Iran. Proprio ieri, infine, Benny Gantz - destinato a restare ministro della Difesa - è stato ricevuto a Washington dal segretario di Stato americano, Tony Blinken. Non è quindi escludibile che, da questo nuovo governo, Biden si aspetti una scarsa opposizione alla sua distensione con Teheran.
Ursula von der Leyen (Ansa)
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