2024-02-15
Netanyahu tira dritto e lancia missili anche sul Libano
Benjamin Netanyahu (Ansa)
Usa, Francia e Germania tentano di frenare Gerusalemme, ma lo Stato ebraico risponde ai razzi di Hezbollah con un raid.«L’Osservatore Romano» ribadisce la posizione di Parolin: «A Gaza è carneficina». L’ambasciata: «Deplorevole, i civili hanno preso parte all’attacco del 7 ottobre».Lo speciale contiene due articoli.Benjamin Netanyahu non ha nessuna intenzione di indietreggiare di fronte al nemico, Hamas, nonostante i numerosi e continui appelli di cessate il fuoco ricevuti in questi ultimi giorni da più parti nel mondo. In primis dalla Casa Bianca, dove un sempre più fragile Joe Biden ha chiesto al premier israeliano di fermare l’avanzata militare via terra a Rafah in mancanza di un piano credibile che possa garantire la sicurezza dell’oltre un milione di civili palestinesi stipati nei campi profughi allestiti nella città al confine con l’Egitto. L’ultimo appello in ordine cronologico è arrivato ieri da Parigi. Dall’Eliseo fanno sapere che Emmanuel Macron ha avuto una conversazione telefonica con Netanyahu, a cui ha chiesto di fare marcia indietro per quel che riguarda l’attacco a Rafah: «Ciò potrebbe portare solo a una catastrofe umanitaria e allo sfollamento forzato della popolazione», ha detto il presidente francese, «il che costituirebbe una violazione dei diritti umani internazionali e comporterebbe un ulteriore rischio di escalation regionale». Ieri è arrivata in Israele Annalena Baerbock. Il ministro degli Esteri tedesco ha incontrato l’omologo israeliano Israel Katz, il presidente Isaac Herzog e lo stesso Netanyahu con l’obiettivo di ottenere un cessate il fuoco. La Turchia invece, che in termini di rapporti diplomatici con lo Stato ebraico si trova ai minimi storici, si è detta pronta a collaborare con l’Egitto «per fermare lo spargimento di sangue a Gaza». A ribadirlo è stato direttamente il presidente Recep Tayyip Erdogan nel corso di una conferenza stampa congiunta con il leader egiziano Abdel Fattah Al Sisi, durante la quale non ha risparmiato una stoccata a Israele: «I tentativi di esiliare gli abitanti di Gaza dalle loro terre sono nulli». Anche l’Onu, attraverso il coordinatore Martin Griffiths, si è pronunciata con un ennesimo appello: «L’offensiva a Rafah potrebbe portare a un massacro. Il governo di Israele non può più ignorare questi appelli». Il leader dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha esortato Hamas a completare l’accordo per la liberazione degli ostaggi, ritenendolo «l’unico modo per salvare il popolo palestinese dal flagello di un’altra catastrofe dalle conseguenze minacciose, non meno pericolosa dalla Nakba del 1948».Netanyahu però, che sa benissimo di aver bisogno di dare all’opinione pubblica un risultato concreto, dal canto suo si mostra irremovibile. Anche se proprio dal Cairo, filtrano in queste ore speranze di una ripresa dei colloqui diplomatici tra le parti affinché si giunga a un’intesa che porti al rilascio degli ostaggi israeliani in cambio di una tregua, seppur temporanea. Nella capitale egiziana i capi del Mossad e dello Shin Bet hanno incontrato ieri una delegazione del Qatar ma, secondo quanto riferito dal Times of Israel, erano lì soltanto «per ascoltare». Il sito di informazione israeliano Walla ha riportato la notizia secondo cui Netanyahu avrebbe deciso di non inviare in Egitto un’altra delegazione fin quando Hamas non mostrerà chiari segnali di cambiamento della strategia in merito al rilascio degli ostaggi. Linea confermata da alcuni funzionari israeliani citati da un altro portale online, Axios, secondo cui il premier israeliano è convinto che soltanto con una posizione molto dura si possa arrivare a un accordo. La strada che ha deciso di percorrere Bibi, però, non piace affatto alla gente, in particolar modo ai familiari degli ostaggi che sono tornati a protestare contro la politica del governo. In una nota pubblicata dall’Hostages Families Forum, il forum sugli ostaggi scomparsi istituito il 7 ottobre in seguito al pogrom di Hamas, si legge: «Ostacolare i colloqui in corso segnerà una condanna a morte per gli ostaggi rimasti prigionieri a Gaza. Sembra che alcuni membri del governo abbiano deciso di sacrificare la vita degli ostaggi ammettendolo».A destare preoccupazione, però, non è solo l’intoppo dei negoziati e quel che accade a Rafah, nel Sud della Striscia. A Nord, infatti, si sono intensificati gli attriti tra Israele e il Libano. L’Idf ha reso noto che l’Aeronautica militare ha condotto diversi raid sul territorio del Paese dei Cedri con jet da combattimento, in seguito all’ennesimo lancio di razzi verso lo Stato ebraico, uno dei quali ha colpito la base militare di Safed, nel Nord di Israele, causando la morte della soldatessa di 20 anni Amer Sarah Benjo, e il ferimento di altre otto persone. In Libano, invece, il conto delle vittime è per ora di quattro morti.Intanto, è giallo per quanto riguarda la sorte di Yahya Sinwar. Il capo politico di Hamas, mostrato in un video diffuso da Israele mentre si metteva al riparo insieme alla sua famiglia nei tunnel sotterranei di Gaza lo scorso 10 ottobre, tre giorni dopo il massacro nei kibbutz compiuto dai terroristi nel Sud dello Stato ebraico, risulta ufficialmente tra i dispersi. Secondo alcune fonti egiziane Sinwar potrebbe essere morto durante uno degli attacchi israeliani in uno dei tunnel che utilizzava per nascondersi nei pressi della città di Khan Yunis. La classe dirigente dell’organizzazione terroristica che governa la Striscia dal 2006 si è detta preoccupata in quanto non riesce a mettersi in contatto con il leader politico da oltre due settimane. A sostenere questa tesi sono anche molti quotidiani israeliani, i quali citano fonti vicine ai servizi segreti dello Shin Bet e del Mossad, sulla base del fatto che Sinwar non ha partecipato, né direttamente né indirettamente, alle trattative diplomatiche iniziate a Parigi il 29 gennaio e proseguite poi in Egitto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/netanyahu-attacco-libano-2667287300.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tensione-tra-israele-e-il-vaticano" data-post-id="2667287300" data-published-at="1707994347" data-use-pagination="False"> Tensione tra Israele e il Vaticano Era nell’aria da qualche il tempo il malessere internazionale nei confronti del modo di condurre la guerra di Benjamin Netanyahu. Ad esacerbare il tutto l’enorme numero di vittime civili e il recente bombardamento aereo sulla città di Rafah dove si raccolgono la maggior parte dei profughi palestinesi. In Italia il dibattito si è acceso al Festival di Sanremo, con gli appelli choc lanciati da uno dei concorrenti, Ghali, che sul palco ha detto «stop al genocidio». Nei giorni successivi non si è parlato d’altro e alla Camera una mozione del Pd che impegnava il governo a chiedere il cessate il fuoco è riuscita ad avere il via libera. Il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani ieri, dopo le parole di rottura del giorno precedente in cui descriveva la reazione di Israele come «sproporzionata», è tornato a parlare in un’intervista rilasciata a Rtl 102.5. «Se diciamo no a uno Stato palestinese rischiamo che Hamas diventi l’unica speranza dei palestinesi», ma «Hamas è un’organizzazione terroristica. L’obiettivo», ha proseguito, «è la strategia dei due popoli, due Stati perché oltre a dover garantire la sicurezza di Israele dobbiamo anche dare una prospettiva al popolo palestinese che deve pensare di avere un proprio Stato non guidato dai terroristi di Hamas ma libero e democratico». Anche il Vaticano si è espresso con durezza tramite le parole del Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin che ha descritto la situazione a Gaza come «una carneficina». A dar forza alle sue parole anche un editoriale dell’Osservatore Romano dell’edizione di ieri in cui si legge: «Per la Santa Sede la scelta di campo è sempre quella per le vittime. E dunque per gli israeliani massacrati in casa nei kibbutz mentre si accingevano a celebrare il giorno della Simchat Torah, per gli ostaggi strappati alle loro famiglie, come per i civili innocenti (un terzo dei quali bambini) uccisi dai bombardamenti a Gaza. Nessuno può definire quanto sta accadendo nella Striscia un “danno collaterale” della lotta al terrorismo. Il diritto alla difesa, il diritto di Israele di assicurare alla giustizia i responsabili del massacro di ottobre, non può giustificare questa carneficina». Sull’edizione cartacea del quotidiano, inoltre, è per la prima volta apparsa una vignetta con il valore di una presa di posizione a firma di Josè Corvaglia: il disegno ritrae da un lato coloro che sono sotto le bombe (i palestinesi), dall’altro coloro che sperano di tornare a casa dopo oltre quattro mesi nelle mani dei rapitori di Hamas (cittadini israeliani e probabilmente anche di altre nazionalità), con riferimento alle Ceneri per l’inizio del periodo di Quaresima in preparazione della Pasqua. «Le ceneri tra di noi, tra di loro», recita la didascalia. Non tarda ad arrivare la reazione dell’ambasciata israeliana presso la Santa Sede, che in una nota denuncia le parole del cardinale dichiarandole «deplorevoli». «Giudicare la legittimità di una guerra senza tenere conto di tutte le circostanze e dati rilevanti porta inevitabilmente a conclusioni errate. La responsabilità della morte e della distruzione a Gaza è di Hamas e solo di Hamas», sottolinea l’ambasciata, secondo cui Gaza «è stata trasformata da Hamas nella più grande base terroristica mai vista. Non c’è quasi nessuna infrastruttura civile che non sia stata utilizzata da Hamas per i suoi piani criminali, inclusi ospedali, scuole, luoghi di culto e molti altri». Un progetto che secondo l’ambasciata sarebbe stato «attivamente sostenuto dalla popolazione civile locale», che avrebbe partecipato anche all’azione terroristica del 7 ottobre nel territorio israeliano. Le operazioni dell’esercito israeliano, invece, secondo l’ambasciata si svolgerebbero «nel pieno rispetto del diritto internazionale».
(Totaleu)
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