2019-05-24
C’è anche il nome di Renzi nell’inchiesta Conticini sui soldi sottratti all’Unicef
Sulla presunta appropriazione dei milioni destinati alla beneficenza, Alessandro tira in ballo il Bullo. In particolare quando scrive ai Pulitzer che l'indagine è «un complotto dei pm» contro l'allora premier. L'avvocato di papà Tiziano minaccia altre querele. La notizia della Verità sull'ultima indagine scatena la difesa: «Rivelato segreto». Lo speciale contiene due articoli. Nell'inchiesta fiorentina sui fratelli Conticini spunta a sorpresa anche il nome di Matteo Renzi. Il settimanale Panorama ha infatti reso pubblica una mail finita agli atti e risalente al luglio 2016, quando sui media uscirono le prime indiscrezioni sulle indagini contro i parenti dell'ex premier, accusati dell'appropriazione indebita di 6,6 milioni di dollari di fondi di beneficenza destinati ai bambini africani. All'epoca, Alessandro Conticini, fratello di Andrea, cognato del fu Rottamatore, scrisse alla sessantenne Christina Eisenbeis Pulitzer, generosa finanziatrice dei suoi presunti progetti umanitari, questa mail: «Negli ultimi tre giorni i miei fratelli e io siamo diventati vittime di un'indagine legale sullo sfondo di un attacco politico per destabilizzare il nostro primo ministro e il nostro governo in Italia. Mio fratello, la persona indagata più da vicino, è infatti il cognato del primo ministro ed è stato usato in diversi modi per destabilizzare la popolarità del primo ministro in vista del referendum italiano». Un clamoroso attacco ai magistrati che si chiudeva così: «Vogliono dimostrare che una parte di quei fondi sono stati riciclati da mio fratello per sostenere le attività del primo ministro». Il fratello Andrea, indagato per riciclaggio, in effetti, aveva investito nel 2012, parte dei soldi nella società Eventi 6, di cui in quel momento l'ex premier era dirigente in aspettativa. Ma il nome di Matteo emerge anche nella testimonianza che ha reso l'11 novembre 2017 l'avvocato Richard Walden, presidente di Operation Usa, la Ong statunitense che trasferiva alle società di Alessandro Conticini i soldi della Fondazione Pulitzer. Durante quella audizione i pm ricordano a Walden la deposizione resa davanti al Federal bureau of investigation, in cui avrebbe dichiarato che Alessandro Conticini «ha lavorato a stretto contatto con Matteo Renzi su varie donazioni benefiche e progetti». Ai magistrati italiani l'avvocato precisa di non essere mai entrato in contatto con l'ex premier, ma che «Alessandro Conticini, mentre stavamo viaggiando in Etiopia, ha menzionato il fatto che suo fratello era il capo di gabinetto di Matteo Renzi». I pm chiedono espressamente a Walden se Conticini abbia mai detto che «Matteo Renzi lavorava con lui su donazioni benefiche e progetti», ma la risposta è negativa. Walden ha sporto denuncia contro i fratelli Conticini per appropriazione indebita dando la possibilità agli inquirenti italiani di proseguire l'inchiesta. L'11 novembre 2017 il presidente di Operation Usa ha rilasciato altre informazioni significative «nel procedimento contro Andrea Conticini». Walden spiega di aver conosciuto personalmente Alessandro Conticini a fine gennaio 2016: «È quella l'unica volta in cui ci siamo incontrati e fu durante un periodo di tre giorni quando io mi trovavo in Etiopia per parlare a una conferenza delle Nazioni unite». I magistrati chiedono come fossero state individuate da Conticini le banche nelle Seychelles o a Capo Verde, dove venivano inviati i soldi. L'avvocato ricorda le sue perplessità: «Quando ho incontrato Conticini nel 2016 ho domandato perché avesse voluto cambiare banche verso Capo Verde che non conoscevamo, non ci avevamo mai lavorato, ma che aveva una reputazione terribile e la sua risposta fu che leggi bancarie erano più liberali (…) “meno burocratiche"». Agli agenti Fbi, Walden aveva detto che Conticini e la moglie Valerie Quéré sostenevano «di non aver pagato i propri stipendi con le donazioni della Fondazioni Pulitzer». Ma visto che invece diversi milioni di quei fondi sono finiti nelle loro tasche, nel 2017 gli inquirenti domandano a Walden quando Conticini avrebbe fatto questa affermazione. E l'avvocato replica che in Etiopia Alessandro avrebbe detto «che non si pagavano un salario o una commissione con il denaro dei Pulitzer, ma che lavoravano come consulenti dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) delle Nazioni unite (…)». Poi l'avvocato aggiunge: «Anche quando ricevevamo i budget per le donazioni io non ho visto una riga che indicasse un salario né per Alessandro Conticini né per Valerie Quéré». Conticini gli aveva parlato di un «centro di eccellenza» ad Addis Abeba, ma Walden non lo visitò mai: «E avevo chiesto di vederlo. (…) Ero contrariato che non mi hanno condotto lì, perché ne avevano parlato nel programma per le donazioni». L'altra teste chiave dell'accusa è Monika Jephcott, insegnante e psicoterapeuta inglese, promotrice della cosiddetta terapia del gioco e fondatrice della Play therapy Uk e della Play therapy international, dalla cui costola è nata la Play therapy Africa. A fondarla i coniugi Conticini, la Jephcott e suo marito Jeff. Tutte le consociate della Pti avrebbero dovuto essere «società a responsabilità limitata, ma senza scopo di lucro». La signora ha depositato in Procura una memoria di sette pagine che ripercorre i suoi rapporti con i Conticini, a partire dai tempi in cui i due erano funzionari dell'Unicef in Africa. Nel 2008, decide di fondare con i coniugi la Pta per costituire «un centro d'eccellenza» per la gioco terapia. Ufficialmente ai Conticini «non sono stati pagati stipendi», ma Alessandro, quasi subito, apre un conto in Italia della Pta, «poiché suo padre risiedeva lì e poteva gestire le questioni a suo nome». Inizialmente sembra tutto perfetto: «All'inizio non abbiamo avuto dubbi su di loro» e «Pta era diventata finanziariamente indipendente molto presto». Nel 2010 la coppia viene coinvolta nell'organizzazione di un congresso mondiale della Pti a Marrakech. I due avrebbero dovuto coinvolgere capi di Stato africani e preparare quattro seminari per il convegno. Sulla fiducia la Pti prenota il Palais des Congrès della città marocchina e mette in moto la macchina organizzativa. Ma i coniugi si dileguano, non rispondono più alla Jephcott e disertano l'evento. La donna capisce che «le cose non andavano per il verso giusto» e insieme con il marito, nel maggio 2010, si dimette dalla Pta, anche se la Pti rimane socio di minoranza perché non voleva che Conticini «vendesse la società». Nel febbraio 2012 la Pti riceve «un avviso di pagamento da Unicef» su un conto sconosciuto. Ma la Pti non aveva effettuato il lavoro per cui doveva essere pagata. «Questo ha sollevato delle preoccupazioni». Per questo la dottoressa inglese chiede di vedere i bilanci del 2011 di Pta, senza riuscirvi. Nel 2012 la donna comunica via mail a un funzionario dell'Unicef in Senegal di temere che i Conticini «agiscano fraudolentemente in nome di Pti» e che mentirebbero «circa le loro qualifiche» per il lavoro con i bambini. «Sia Valerie Quéré che Alessandro Conticini hanno iniziato un corso di formazione Pti, ma senza completarlo», fa sapere. Tra il 2013-2014 la donna viene contattata dagli ispettori addetti alle verifiche interne dell'Unicef di New York che erano alla ricerca di informazioni su tutti i contratti della Pta nei loro uffici. «Ho spiegato che avevamo più volte espresso le nostre preoccupazioni e che desideravamo sapere quale fosse lo stato delle indagini dell'Unicef. Pur avendo chiesto gli aggiornamenti più volte, non ho ricevuto nessuna ulteriore informazione». Cinque anni dopo, l'Unicef, al contrario della Ong Operation Usa, non ha ancora presentato denuncia contro i Conticini. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nellinchiesta-sui-fratelli-conticini-ce-anche-il-nome-di-matteo-renzi-2637915938.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lavvocato-di-papa-tiziano-minaccia-altre-querele" data-post-id="2637915938" data-published-at="1758064318" data-use-pagination="False"> L’avvocato di papà Tiziano minaccia altre querele Dopo che La Verità ha dato la notizia della nuova iscrizione sul registro degli indagati per il reato di bancarotta di Tiziano Renzi e Laura Bovoli, a Firenze, giornali e agenzie si sono scatenati a caccia delle conferme. Nella serata di mercoledì l'Ansa ha fatto questo lancio: «Genitori Renzi scatta nuova accusa di bancarotta dopo crac». L'Adnkronos ha aggiunto: «Ma dalla Procura di Firenze per ora non sono arrivate conferme». L'avvocato dei Renzi, Federico Bagattini, ha annunciato querele: «A noi, né a me né al dottor Tiziano Renzi, risulta nulla. Presenteremo denuncia per rivelazione di segreto di ufficio poiché si tratta di notizia evidentemente, se vera, destinata a rimanere riservata tanto che il dottor Tiziano Renzi e il difensore non hanno appreso nulla in tal senso». Nella nuova inchiesta per la bancarotta della Marmodiv e per alcune false fatture è coinvolto pure l'altro avvocato di Renzi senior, il civilista Luca Mirco, che ieri ci ha annunciato di aver ricevuto l'ennesimo mandato da parte dei Renzi di procedere contro il nostro giornale, reo di aver raccontato la nuova vita di babbo Tiziano da «animatore» del Green park cafè di Rignano sull'Arno. Il bar è gestito dalla cooperativa Nuova Sole e dal Consorzio Cori. Il presidente è il catanese Riccardo Romano che a quanto ci risulta, nella sua carriera, ha subito diverse denunce, per esempio per il presunto esercizio abusivo di agenzia di lavoro e somministrazione di manodopera e per aver favorito l'ingresso e la permanenza di clandestini in Italia. Nel 2012 la Guardia di finanza di Genova gli ha pure contestato la dichiarazione fraudolenta mediante l'uso di fatture per operazioni inesistenti. «Le denunce dell'ispettorato del lavoro? Sono cose già ben chiuse. Le accuse di false fatture? Sta prendendo un abbaglio. Si informi bene», ha tagliato corto Romano, il quale non ha voluto darci delucidazioni sull'esito dei procedimenti. L'imprenditore sino a qualche tempo fa condivideva lo studio fiorentino proprio con l'avvocato Mirco, che ora si è trasferito. Nella sede di via Bonifacio Lupi sono rimaste cinque cooperative impegnate in particolare nell'assistenza agli anziani, due srl (una si occupa di badanti) e una geologa, sorella dell'avvocato Mirco. Il legale sotto inchiesta non ci ha confermato di essere lui il trait d'union tra Renzi senior e Romano. Per ottenere la gestione del bar l'imprenditore siciliano ha trattato con una altra vecchia conoscenza di babbo Tiziano, il vicepresidente dell'Unione sportiva rignanese Fabio Bettucci, il quale il 20 marzo scorso ha patteggiato una pena di un anno e mezzo per il crac di un'impresa edile. Insomma nell'operazione Green park cafè si è realizzato un incrocio di soggetti con precedenti di polizia che potrebbe far pensare al bar di Guerre stellari. Ma l'avvocato Mirco ci accusa di «procedere per ipotesi e sospetti»: «Ma quali affari! Si tratta di un'iniziativa puramente sociale. Tiziano Renzi da quando è stato interdetto dall'esercizio dell'attività imprenditoriale, ha fatto non uno, ma tre passi indietro».