2018-12-12
Nella regione libera dal gender asili nido gratis per i secondi figli
Il Friuli Venezia Giulia sta rifiutando, una dopo l'altra, le imposizioni ideologiche degli attivisti arcobaleno e sta prendendo provvedimenti a favore delle famiglie. Inclusa la valorizzazione delle differenze tra i sessi. Non significa che da quelle parti si stia discriminando qualcuno o si cancellino i diritti delle persone. Semplicemente, è cambiata la tendenza: invece di piegarsi a ogni imposizione proveniente dal mondo Lgbt, si comincia a fare piazza pulita dell'ideologia.Il Friuli Venezia Giulia sta raggiungendo un grande risultato: potrebbe diventare la prima Regione «dearcobalenizzata» d'Italia. Questo non significa che da quelle parti si stia discriminando qualcuno o si cancellino i diritti delle persone. Semplicemente, è cambiata la tendenza: invece di piegarsi a ogni imposizione proveniente dal mondo Lgbt, si comincia a fare piazza pulita dell'ideologia. La giunta regionale di centrodestra guidata dal leghista Massimiliano Fedriga, tanto per cominciare, ha deciso nei mesi scorsi di uscire da Ready, cioè la Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni anti discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere. Ready, sostanzialmente, è un progetto che ha lo scopo di «promuovere culture e politiche delle differenze e sviluppare azioni di contrasto alle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere». Un modo burocratico e arzigogolato per dire che questa «rete anti discriminazioni» serve a sostenere le posizioni politiche delle associazioni Lgbt in modi e forme diversi, tra cui l'indottrinamento all'interno delle scuole. Bene, il Friuli Venezia Giulia ha sfidato il politicamente corretto - ovviamente attirandosi le ire degli attivisti - e ha tagliato i legami con Ready, oltre che i 14.000 euro di fondi pubblici a favore delle iniziative arcobaleno. «Sì, siamo usciti dalla rete Ready», spiega Massimiliano Fedriga alla Verità, «e abbiamo creato una Rete famiglia. Abbiamo stanziato 100.000 euro per strutturarla e, da gennaio, cominceremo a coinvolgere tutte le amministrazioni locali, chiedendo loro di entrare a far parte di questo progetto per condividere le buone pratiche a sostegno della famiglia». Questa Rete famiglia servirà a «mettere a sistema le pubbliche amministrazioni al fine di poter diffondere in maniera capillare le cosiddette buone pratiche, ossia le politiche più virtuose sul tema in questione. Interventi che dovranno concretizzarsi con la creazione di una carta dei diritti utile a garantire, su tutto il suolo nazionale, servizi diffusi e percorsi informativi nelle scuole». Fedriga al tema dell'informazione tiene particolarmente: «Sono convinto che la difesa della famiglia non sia solo una questione di soldi, ma soprattutto di cultura». Ecco perché il governatore intende «promuovere il valore della diversità tra l'uomo e la donna quale elemento essenziale per lo sviluppo e la coesione sociale».Capite bene che il mutamento di prospettiva è radicale. Più o meno ovunque, nel nostro Paese (e non solo), si organizzano eventi, corsi e iniziative utili a propagandare la «lotta all'omofobia» e altre piacevolezze di questo tipo. Quando si parla di «valorizzare le differenze», di solito, ci si riferisce alle differenze di orientamento sessuale o alle rivendicazioni dei transgender. Ora, invece, c'è qualcuno che si preoccupa di mettere in risalto le differenze tra uomo e donna, concetti che il pensiero dominante vorrebbe superati. A questo proposito, la Regione ha preso un altro provvedimento interessante (condiviso dal Comune di Udine). Ha scelto di eliminare l'istituto dell'identità alias. Fu Debora Serracchiani a introdurlo, nel 2017, al fine di garantire ai dipendenti pubblici «il riconoscimento all'utilizzo della propria identità personale, seppure diversa da quella sessuale». In pratica, l'identità alias consentiva ai dipendenti intenzionati a cambiare sesso di modificare il nome sui documenti prima di aver completato la transizione. La Regione, dunque, dava precedenza alla «identità percepita» su quella reale. Almeno fino a che l'attuale giunta non ha deciso di cancellare l'identità alias. Che, per altro, si è rivelata un'inutile burocratizzazione.Proprio qui sta il punto. Opporsi a certi diktat ideologici non è soltanto una questione di forma: la sostanza c'è eccome. Oggi chi osa nominare la famiglia viene trattato come un pericoloso reazionario, come un bigotto della peggior specie. Eppure occuparsi della famiglia significa tutelare sul serio una larga fetta della popolazione. La presunta «difesa delle minoranze», invece, consiste per lo più nell'escogitare fumisterie di cui spesso non beneficia nessuno. Il Friuli Venezia Giulia non si limita a cancellare l'identità alias o a dichiarare guerra al gender sulla carta. Fedriga annuncia un'altra misura: «Presenteremo il nuovo bonus bebè», spiega. «Significa asili nido gratuiti per tutti i secondogeniti. Ne potranno beneficiare le famiglie con Isee fino a 50.000 euro». Un provvedimento del genere potrebbe consentire a un bel po' di famiglie di sgravarsi di una spesa notevole, e di avere denaro da spendere altrimenti. L'esempio friulano dimostra che invertire la rotta è possibile. Fino ad oggi, la gran parte delle amministrazioni locali del nostro Paese si sono adeguate alla tendenza dominante. Temendo di essere accusate di razzismo o di arretratezza culturale, si sono concentrate sulla promozione delle istanze arcobaleno. Non hanno, in realtà, garantito chissà quali diritti agli omosessuali o ai trans. Hanno, più realisticamente, offerto spazio alle rivendicazioni politiche di vari gruppi di pressione. Agire diversamente, tuttavia, è possibile: bastano un po' di fegato e un pizzico di cervello.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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