2020-09-27
Nella banda Conte tira aria di lockdown
I dati evidenziano una situazione sostenibile, ma il clima mediatico è catastrofista e serpeggia la tentazione di una nuova serrata. Nicola Zingaretti: «Non escludo nulla». Entro il 15 ottobre si deve infatti decidere sullo stato d'emergenza. Occasione ghiotta per il premier. C'è davvero da aver timore della seconda ondata. Ma un'ondata tutta particolare: il rigurgito liberticida. Perché la sensazione è che più d'uno, tra i giallorossi, stia seriamente accarezzando con bramosia l'idea di una nuova serrata. Lo fa pensare il clima mediatico: da qualche giorno i titoloni si rincorrono, animati da un allarmismo che credevamo almeno in parte tramontato. Rassegna stampa di sabato mattina: Repubblica insisteva sul «record di malati dal lockdown»; Il Fatto gridava che «siamo circondati» da Stati traboccanti d'infetti; il Corriere della Sera, in prima pagina, informava che «la situazione peggiora». E non stiamo a citare gli strilli dei telegiornali, a partire da quelli di La7 e Sky. Risultato: l'inquietudine avanza galoppando, le parole dell'Istituto superiore di sanità sul «progressivo peggioramento» risuonano ossessive, i positivi in aumento dominano la scena e si sta già allestendo il palcoscenico per la più fosca delle rappresentazioni. Ieri i nuovi casi di contagio sono stati 1.869, contro i 1.912 del giorno precedente (lieve calo, va detto, pure per i tamponi: 104.387 sabato contro i 107.269 di venerdì). Ma la leggera diminuzione dei positivi non ha comunque fatto scendere il tasso d'ansia presente nell'aria: anche ai più lucidi corre un brivido lungo la schiena. Eppure - come ha riportato proprio Sky a dispetto dei suoi toni da thriller - «la percentuale di positivi ricoverati il 4 aprile era del 4,5%, mentre al 25 settembre è dello 0,5%». Quanto alla «percentuale di riempimento» (cioè il numero di pazienti Covid rispetto al numero totale di posti disponibili in terapia intensiva), in Italia è del 4,5%, contro il 16,8% della Spagna. Inoltre, da noi soltanto il 5,7% circa dei positivi al virus è ricoverato in ospedale nei reparti ordinari. Questa valanga di cifre dimostra che la situazione è da tenere d'occhio, ma non è tragica né spaventosa al punto da giustificare certe letture raccapriccianti. Lo stesso professor Massimo Galli, non certo un pericoloso populista o uno scriteriato negazionista, a proposito della famigerata «seconda ondata» di pestilenza afferma: «Confido nel fatto che possa non verificarsi». E aggiunge, sempre con prudenza: «Il rialzo dell'età media dei casi suggerisce che l'infezione si sia diffusa nel contesto familiare. I numeri finora sono sostenibili. Tuttavia la medicina territoriale ha bisogno di essere irrobustita, per contenere i focolai».Vero: ci sono Stati anche vicini a noi in cui la situazione è più allarmante, ma ciò dipende pure dalle condizioni del sistema sanitario nazionale dei singoli Paesi. Ad esempio il sistema francese potrebbe non essere in grado di reggere un'impennata di ricoverati, il che spinge probabilmente il governo transalpino a tenere alta la tensione al fine di scongiurare l'emergenza. Qui, come abbiamo mostrato, la situazione è differente. Vuol dire che dobbiamo abbassare del tutto la guardia o smettere di proteggerci? No, ovviamente. Ma la profusione di uscite apocalittiche comincia a diventare intollerabile. Soprattutto se si considera che, nel frattempo, hanno (malamente) riaperto le scuole, il clima sta cambiando e dunque un aumento dei contagi era fisiologico nonché prevedibile: infatti è stato previsto praticamente da tutti gli osservatori. Il punto, come al solito, è politico. Continua a serpeggiare fra i governanti la tentazione della chiusura totale. Nicola Zingaretti, il segretario del Pd, interrogato ieri sulla possibilità di un nuovo lockdown ha dichiarato: «Non escludo nulla». E un secondo dopo ha rincarato la dose: «Se non rispettiamo regole andiamo a finire lì». Che senso ha dire un cosa del genere, visto che mancano le premesse e i dati disponibili non fanno pensare al peggio? È qui che arriva il sospetto. Il 15 ottobre scade la proroga dello stato d'emergenza voluta dal governo giallorosso. Quindi nel giro di pochi giorni si dovrà decidere se rinnovare o meno le misure speciali: per Giuseppe Conte e soci l'occasione è troppo ghiotta per gettarla al vento. E se per ottenere uno strapuntino di potere in più c'è da terrorizzare gli italiani, ben venga il terrore. C'è poi da considerare la componente elettorale. Se fino al voto regionale i media più organici dovevano andarci cauti con l'ansia, onde non suggerire agli elettori cattivi pensieri sui partiti di governo, ora che le urne sono lontane si può tornare a suonare la grancassa. Tanto più che - come suggeriscono certi risultati - l'emergenza Covid (anche grazie al terrorismo informativo che l'ha accompagnata) ha tendenzialmente giovato al fronte progressista, evitando almeno in parte lo sfascio. Una volta assaporate le gioie che può offrire l'uso politico della malattia, per i governanti diventa difficile farne a meno. Dunque occhio: la seconda ondata del virus si può evitare, ma la seconda ondata di autoritarismo giallorosso resta in agguato.