2022-03-18
Nel ristorante di lusso a Kiev che ora cucina per soldati e sfollati
Il pregiato «Beef» offre pasti caldi ai militari dei posti di blocco e ai civili che vivono nei bunker e nella metro I dipendenti dormono nel locale per non sprecare tempo: «Oggi riusciamo a servire anche 1.000 coperti».da KievOlexy è un ragazzone di 32 anni, alto, biondo, vestito come in un qualsiasi giorno di lavoro in tempo di pace: camicia cravatta, i capelli perfettamente pettinati, il dettaglio dei calzini rossi, il grembiule del ristorante dove lavora da un anno e di cui è estremamente fiero. Siamo all’interno del «Beef» il più famoso e importante ristorante di carne di tutta l’ucraina.Qui Olexy e gli altri dipendenti lavorano per preparare cibo per i militari dei posti di blocco e i civili che vivono nei rifugi antiaerei o nella metropolitana.All’interno il ristorante è bellissimo: grandi vini sono esposti nella sala al primo piano, la cella dei bianchi è spenta, ma i frigoriferi sono pieni di vini, francesi, italiani, argentini.Lo chef Sergey Indossa la sua giacca bianca, ma non cucina il piatto del giorno o la carne di Kobe proveniente, come tante altre specialità di carne, da tutto il mondo. Cucina zuppe, cosce di pollo, pasta, cavolo e patate. Qui il menu, ci dice, varia tutti i giorni in base a ciò che ci viene portato dai volontari. Oggi è arrivato del pollo, del cous cous, delle verdure così facciamo il menu che ci viene in mente con questi ingredienti.Vengono da aziende, cooperative, privati. Per il momento ci arriva tutto dall’Ucraina, ma quando finirà speriamo di vedere presto anche marchi italiani. Sarebbe una bella notizia vedere con i nostri occhi gli aiuti di cui tanti parlano».Olexy ci racconta poi di come il primo giorno di guerra tutto è nato in maniera naturale: «Ci siamo trovati tutti qui, abbiamo fatto una riunione con i dipendenti e dopo poco abbiamo cominciato a preparare i primi pasti.Il primo giorno 100, il secondo 200, dopo qualche giorno 5-600 e oggi siamo organizzati per fare anche 1.000 coperti. La maggior parte di noi rimane a dormire qui, abbiamo messo dei letti. Per fortuna il ristorante è molto grande.Pensare che stavamo puntando alla stella Michelin. Trovarsi a cucinare zuppe mette un po’ tristezza, ma ci trasmette anche tanto orgoglio e tanta forza. In questo momento in Ucraina non ci sono i “tuoi” o i “suoi” figli, i bambini sono figli di tutti così come le madri, le nonne. Tutti siamo un’unica grande famiglia e per me è un onore ciò che stiamo facendo». Il racconto prosegue inarrestabile: «Sono stato a consegnare il cibo in un bunker l’altro giorno, avevo cibo per tutti, una bambina mi si è avvicinata e mi ha detto: “Ho bisogno di cibo per quattro persone”. E mi ha dato una vaschetta che non bastava per due. Ti rendi conto?». Gli scendono le lacrime mentre lo racconta e ci dice che non riusciva a smettere di piangere quando è uscito da quel buco.Così ha detto a moglie e figlia che l’Ucraina ha bisogno di lui e ha sistemato una coperta tra due divanetti del locale per crearsi un giaciglio per non perdere tempo. «Loro sono al sicuro e non voglio che vengano qui a dormire finché possono stare a casa. Mia figlia così non si rende ancora conto della guerra, verranno solo quando sarà necessario». Facendo un giro per il ristorante passiamo in alcuni ambienti che sono stati trasformati in monolocali. In uno vive lo chef con la moglie e i figli, il cane, un husky, fa la guardia alla nuova casa. Al primo piano, invece, c’è la cucina con le due grandi griglie a vista dove le carni migliori e più costose venivano cucinate.«La carne», ci spiega lo chef, «è nei frigoriferi. La nostra carne può frollare anche 90-120 giorni quindi se ce ne sarà bisogno distribuiremo anche quella, ma ora ci sentiremmo male a presentarci in un bunker per una “degustazione” di carne di Kobe. Dobbiamo fare cibi calorici, abbondanti che si mantengano caldi il più possibile. Speriamo che tutto questo finisca presto e di potere tirare sì fuori la carne dal frigo, ma per la riapertura del ristorante. Qui siamo quasi tutti i dipendenti a parte qualcuno che ha accompagnato le famiglie fuori da Kiev, ma che tornerà per dare una mano. Il proprietario ci sostiene in tutto e per tutto, qui siamo in casa sua e lui finirà tutto quello che c’è sugli scaffali per aiutare il suo Paese, ora è vicino a Leopoli, ma tornerà anche lui presto a Kiev».Il sommelier di questo ristorante è Alexander, giovanissimo, ma altrettanto esperto. Appena sa che siamo italiani elogia il nostro Brunello, il Barbera, e aggiunge: «Il Nobile di Montepulciano mi piace molto, ne fanno meno bottiglie e qui il gusto di quel vino va molto di moda». Il cibo è pronto e un ragazzo della difesa territoriale si presenta alla porta con una sacca frigo e il suo piccolo Jack Russell. I ragazzi dalla cucina si affrettano a mettere il cibo nei contenitori, li portano fuori per caricarli in macchina, rientrando nel ristorante, Olexy orgogliosamente ci mostra all’entrata tutti i riconoscimenti e i premi che lo hanno portato a essere il primo ristorante di carne in Ucraina.Mentre parla legge un messaggio e sorride sotto i baffi. Ci racconta che a Nord di Kiev c’erano quattro carri armati russi su una strada vicino a un paesino. Due di questi carri armati hanno finito la benzina, così i soldati sono montati sui due rimanenti e sono partiti in cerca di benzina. Nel frattempo alcuni civili hanno spostato i carri di qualche centinaio di metri e messo due bandiere ucraine, una per carro. Al loro ritorno i soldati non hanno più trovato i loro carri, ma due con bandiera ucraina e li hanno colpiti a cannonate.Tutti ridono divertiti, e poi si torna velocemente al lavoro nelle cucine.A pochi chilometri dal ristorante, sempre in pieno centro, c’è un bunker dove occorre consegnare del cibo per la sera. Decidiamo di incontrarci lì e li precediamo.Durante il viaggio notiamo in una via centrale un corpo in terra. Ci avviciniamo. Veniamo subito bloccati dalla polizia che ci scorta lontano. Nessuna foto è ammessa perché quel corpo probabilmente è stato freddato per la strada, per un sospetto.Un passante poco dopo ci informa che quello è uno dei sabotatori o sospetti sabotatori trovati città, ci racconta ciò che leggiamo anche sui siti locali: sono tanti i collaboratori di Mosca uccisi e incarcerati nelle 36 ore di coprifuoco. Oggi non si sentono molto le bombe, almeno dal centro, il sole illumina la città e ne mostra la bellezza dei palazzi e delle strade centrali ancora intatte, come il 99% della Capitale. Giriamo un angolo e improvvisamente ci troviamo di nuovo in guerra: fuori da un palazzo di epoca staliniana, in un quartiere popolare a est, c’è l’entrata del bunker dove dovrebbe arrivare il cibo cucinato al ristorante durante il pomeriggio. Entriamo, scendendo delle scale traballanti, il bunker così come i palazzi, ci dicono, è stato costruito dai militari tedeschi catturati durante la Seconda guerra mondiale. L’ambiente è angusto, i muri scrostati dal tempo, il puzzo di umidità e di chiuso è fortissimo.Due ragazzi ci spiegano di aver riaperto questo posto il 25 febbraio dopo che una bomba era caduta a poche strade di qui. Hanno pulito il vecchio rifugio, portato la luce e addirittura la linea wireless; i letti sono ancora quelli degli anni Cinquanta, così come i materassi; alle pareti sono attaccati delle grandi vasche cilindriche per la raccolta dell’acqua. Ci sono molte persone che la sera si riuniscono per dormire qui, ma la preoccupazione non viene solo dalle bombe: in questa zona c’è un piccolo reattore dell’istituto di fisica nucleare che è proprio qui accanto. La paura che possa diventare una piccola Chernobyl in città è concreta anche se i ragazzi non sono certi che il piccolo reattore sia in funzione. Il materiale radioattivo è comunque lì e se colpito porterebbe creare enormi problemi.Uno dei ragazzi che ci portano in tour nel bunker si chiama Hena, ha 29 anni, è nato e vissuto a Kiev e l’anno scorso è andato in vacanza in Calabria. Ci mostra le foto sul cellulare. Prima della guerra costruiva acquari per una ditta di import export di pesci asiatici. Il 25 febbraio si è trovato a condividere il bunker appena aperto con Yehor, 30 anni. Sono diventati amici e ora la loro missione è prendersi cura di questo posto, anche se, ci dicono, sembra di vivere in un film sulla Seconda guerra mondiale.
Marta Cartabia (Imagoeconomica)
Sergio Mattarella con Qu Dongyu, direttore generale della FAO, in occasione della cerimonia di inaugurazione del Museo e Rete per l'Alimentazione e l'Agricoltura (MuNe) nella ricorrenza degli 80 anni della FAO (Ansa)