2022-07-19
Nei rapporti tra Stati Uniti e Russia è sempre l’Europa a pagare le spese
L’«operazione speciale» ordinata da Putin in Ucraina è simile a quanto avvenne nel 1956 quando l’Urss invase l’Ungheria. Ma ora sono gli Stati Uniti l’unica superpotenza superstite e il ruolo degli alleati è cambiato.Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione Il 1° novembre 1956 le forze corazzate dell’Unione sovietica invasero l’Ungheria, il cui governo, presieduto da Imre Nagy (vecchio comunista gradito, in passato, anche a Mosca), aveva manifestato il proposito di far uscire il paese dall’alleanza militare, nota come Patto di Varsavia, creata dall’Urss in dichiarata contrapposizione alla Nato. La realizzazione di tale proposito, che fu resa impossibile proprio mediante l’invasione e la conseguente cacciata di Imre Nagy dal potere, sarebbe stata, secondo la dirigenza sovietica dell’epoca, capeggiata da Nikita Krushev, gravemente lesiva per la sicurezza della stessa Urss. Si trattò, quindi, di un’iniziativa militare le cui caratteristiche (a parte il risultato) e la cui motivazione appaiono del tutto analoghe a quelle dell’«operazione speciale» ordinata il 24 febbraio di quest’anno dal presidente russo Vladimir Putin nei confronti dell’Ucraina. Anche in questo caso, infatti, lo scopo dichiarato è stato quello di salvaguardare la sicurezza della Russia da un grave pericolo al quale essa sarebbe stata esposta se si fosse realizzato un proposito manifestato dal governo del Paese aggredito; quello, cioè, nel caso di specie, di far aderire l’Ucraina alla Nato. E tale prospettiva - può aggiungersi - era tale da poter ragionevolmente apparire ben più preoccupante di quanto potesse apparire, nel 1956, quella costituita dalla sola defezione dell’Ungheria dal Patto di Varsavia. Ciò significa che, se ingiustificabile è da ritenere l’aggressione all’Ucraina, ancor più ingiustificabile sarebbe stata da ritenere quella a suo tempo effettuata in danno dell’Ungheria. Eppure, le reazioni occidentali e, in particolare, quelle degli Usa, all’invasione dell’Ungheria non furono neppure lontanamente paragonabili a quelle ora prodotte dall’invasione dell’Ucraina. Nessuno si sognò di imporre all’Unione sovietica sanzioni di sorta o di provocare, comunque, più o meno velleitariamente, il suo isolamento internazionale, anche nell’ambito delle manifestazioni culturali o sportive, come invece è avvenuto a seguito dell’attacco russo all’Ucraina. Meno che mai si pensò ad una qualsivoglia forma di sostegno militare, anche indiretto, all’Ungheria perché potesse contrapporsi alle forze di invasione o, quanto meno (vista la rapidità del successo militare da esse conseguito), rendere loro difficile, mediante azioni di sabotaggio e di guerriglia, la permanenza in territorio ungherese. A parte le più o meno generiche e scontate espressioni di riprovazione per l’iniziativa assunta dall’ Urss e, più ancora, per la brutalità dalla quale essa appariva caratterizzata, tutto si ridusse alla proposta americana di una risoluzione di condanna da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, destinata in partenza ad essere bloccata dal veto sovietico ed alla quale fece seguito (come ora nel caso dell’attacco all’Ucraina) una dichiarazione di condanna espressa a maggioranza dall’Assemblea generale e rimasta (come prevedibile) del tutto senza effetto. Da notare, inoltre, che, pur essendo già in corso l’attacco sovietico all’Ungheria, gli Usa non si peritarono, sempre in sede di Assemblea generale delle Nazioni Unite, di unire il loro voto a quello dell’Unione sovietica contro due Paesi loro alleati nella Nato, quali erano la Francia e la Gran Bretagna, per condannare l’intervento militare da esse effettuato, in quello stesso lasso di tempo, contro l’Egitto, a seguito della illegittima nazionalizzazione, voluta dal presidente egiziano Gamal Abd el Nasser, della Compagnia del Canale di Suez. Il che (a differenza di quanto avvenuto per l’Urss), indusse la Francia e la Gran Bretagna a prendere, pur non essendovi formalmente obbligate, la dolorosa e umiliante decisione di ritirare le truppe che già avevano occupato la zona del canale. Ciò, ovviamente, accrebbe a dismisura il prestigio interno ed internazionale di Nasser e segnò, per converso, la fine di ogni residua speranza, per le potenze europee, di poter ancora apparire, agli occhi degli Stati emergenti, come dotate della forza e della determinazione necessarie a difendere autonomamente i propri specifici interessi, allo stesso modo con il quale lo facevano gli Usa e l’Urss. Occorre chiedersi, allora, quali siano o possano essere le ragioni per le quali l’aggressione della Russia all’Ucraina abbia suscitato in Occidente e, segnatamente, negli Usa, reazioni così diverse da quelle a suo tempo suscitate dall’aggressione dell’Urss all’Ungheria. La risposta, volendo andare all’essenziale, appare, in realtà, molto semplice. Nel 1956 era ancora considerata pienamente valida la spartizione dell’Europa tra la sfera di influenza dell’Urss e quella degli Usa, sulla base dei cosiddetti accordi di Yalta, intervenuti nel 1945 tra Iosif Stalin, Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill. L’Ungheria rientrava nella sfera d’influenza dell’Urss e quindi il fatto che quest’ultima l’avesse, per così dire, ricondotta all’obbedienza con l’uso della forza militare poteva essere deplorato quanto si voleva ma ad esso, nella sostanza, non ci si poteva opporre. L’intero mondo uscito dalla seconda guerra mondiale era basato, del resto, sul bipolarismo tra le due superpotenze, Usa ed Urss, e ciò spiega anche come mai la prima, pur in competizione con la seconda nella ricerca del predominio globale, avesse trovato conveniente accordarsi con essa, come si è visto, nel riuscito tentativo di bloccare la spedizione militare anglo-francese a Suez. Era infatti nel comune interesse escludere dal gioco un qualsiasi «terzo incomodo», quale ancora avrebbe potuto essere, in particolare, se le fosse stato consentito, la vecchia Europa. Ma, una volta venuto meno il bipolarismo, con la dissoluzione dell’Urss, avvenuta nel 1991, ecco che gli Usa, quale unica superpotenza superstite, si sono per ciò stesso sentiti legittimati ad esercitare un incontrastato predominio sul mondo intero. Di qui la ritenuta impossibilità, per essi, di tollerare, nel 2022, qualcosa di analogo a quello che, nel 1956, era stato invece, per forza di cose, tollerato, e la conseguente pretesa di essere, in ciò, sostenuti dai cosiddetti «alleati» europei. Quel che però, purtroppo, non sembra cambiato, dal 1956 ad oggi, è il ruolo dell’Europa, che continua ad apparire sistematicamente destinata a pagare le spese delle scelte, quali che esse siano, operate dagli Usa nei rapporti con la Russia. Quando gli Usa ritennero conveniente la via dell’accordo, come avvenuto in occasione della rivolta ungherese e della crisi di Suez, l’Europa (nella specie rappresentata dalla Francia e dalla Gran Bretagna) dovette piegarsi alla comune volontà delle due superpotenze, rinunciando, con suo grande disdoro, ai risultati dell’operazione militare già portata a compimento nei confronti dell’Egitto. Quando invece gli Usa hanno scelto la via dello scontro, sia pure (almeno per ora) indiretto, come recentemente avvenuto a seguito dell’attacco russo all’Ucraina, l’Europa, in contrasto con i propri interessi ma in perfetta sintonia con quelli americani, ha dovuto associarsi alle sanzioni imposte alla Russia ed all’invio di armi all’Ucraina. Ora, nessuno vuole mettere in dubbio il valore dell’alleanza tra Europa e Usa. Ma l’alleanza è cosa diversa dall’amicizia. E il sacrificio dei propri interessi si può fare, talvolta (ed è meritorio) in favore degli amici; non certo in favore degli alleati.