2021-07-02
Né pace, né guerra legale. Giuseppi si fa il partito soffiando le truppe a Beppe
Il giurista abbandona l'idea di sfiduciare il garante. Le priorità: campagna acquisti in Parlamento e nome. In calo «ConTe», per i gruppi spunta il simbolo di Bruno TabacciIl dado è tratto. A meno di colpi di scena, che ieri sera sembravano altamente improbabili, Giuseppe Conte pare deciso a rompere gli indugi e a lanciare davvero un suo partito. La Verità ha ascoltato numerose voci grilline, sia favorevoli sia contrarie all'ex premier. E il quadro che emerge dall'incrocio di informazioni e testimonianze pare univoco: una ricomposizione in extremis con Beppe Grillo è sempre più complicata, ed è molto più probabile che Conte dia rapidamente il via al suo nuovo soggetto politico. È questa l'espressione che usa chi si sente più vicino all'ex premier: «Conte è a disposizione per un progetto nuovo». Scenario che porta con sé alcune conseguenze. La prima: pare scartata l'ipotesi dei più accaniti pasdaran anti Grillo, e cioè quella di usare l'articolo 8 dello statuto per sfiduciare il garante, sfilando la giostra all'antico giostraio. I motivi della rinuncia a questa opzione sono plurimi: non ci si vuole incartare in una disputa legale complicatissima; Conte non sarebbe affatto certo, anche ammesso di riuscire a innescare un maxireferendum anti Grillo grazie al via libera del comitato di garanzia M5s (unanimemente pro Conte), di convincere la maggioranza assoluta degli iscritti a partecipare al voto (e un mancato quorum sarebbe un clamoroso boomerang); e infine, per quanto la polemica con il fondatore sia da giorni al calor bianco, l'ex premier preferirebbe ostentare un apparente e formale rispetto nel momento della separazione. Già una scissione è per definizione un atto ultraostile: inutile aggiungere veleno supplementare. La seconda: si tratta di lanciare un nuovo nome e un nuovo simbolo. Nel cassetto c'è la vecchia ipotesi «ConTe», con un gioco lessicale e grafico che valorizzi il nome del leader. Ma più di qualcuno sconsiglia l'ex premier rispetto a questa soluzione: certificherebbe una dimensione da partitino personale. Più probabile quindi che anche la parola «Italia» compaia in qualche modo nel nome e nel logo. Certo, nei contiani c'è il rimpianto di non poter disporre del marchio «M5s», stranoto al 90% degli italiani. Ma Conte e Rocco Casalino si sentono sicuri: tv e giornali garantiranno un mega lancio mediatico gratuito al nuovo soggetto. La terza: Conte, un po' per la notoriamente alta considerazione che ha di sé, un po' per come i suoi collaboratori lo stanno pompando, è convinto che l'Italia non aspetti altro che la sua discesa in campo. La convinzione appare francamente surreale: eppure non c'è peone filo Conte che non reciti il mantra sulla popolarità dell'ex premier, e sui dissensi rimediati in Rete da Grillo. E ogni obiezione razionale sul fatto che popolarità teorica e consenso effettivo siano due concetti diversi, viene seccamente respinta. La quarta: Conte vede solo sé stesso, si sa. Ma stavolta, tatticamente, ha interesse a valorizzare la squadra. E vorrebbe farlo sia per certificare l'isolamento di Grillo, sia per dare il massimo di dignità ai ministri grillini che hanno partecipato ai suoi due governi. I sostenitori dell'ex premier ricordano una frase che Conte pronunciò nella conferenza di addio a Palazzo Chigi, quella in piazza con un banchetto: «Dico agli amici del M5s: io ci sono e ci sarò». E, retrospettivamente, la interpretano così: Conte volle chiarire che non aveva intenzione di confluire nel Pd o di fare un suo percorso separato, perché voleva davvero lavorare con noi. Ora che Grillo glielo impedisce, vorrà comunque raccogliere intorno a sé il gruppo dirigente pentastellato.La quinta: c'è l'incognita dei numeri sui gruppi parlamentari. Pare scontato che Conte sfilerà a Grillo un numero altissimo di senatori e un numero più limitato di deputati. Tecnicamente, servirebbe un simbolo usato alle ultime politiche per formare gruppi, e i contiani confidano o in qualche soluzione di questo tipo (si vaglierà ad esempio l'eventuale utilizzabilità del «Centro democratico» di Bruno Tabacci) o comunque in una deroga dai presidenti delle Camere. La tesi contiana è: se ci fossero molte decine di deputati e di senatori, come potrebbero Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati sbatterli nel gruppo Misto? Gli scettici e gli avversari di Conte consigliano tuttavia di prendere con le molle le cifre di Casalino. I più perfidi ricordano il battage mediatico che fu organizzato ai tempi della caccia (finita malissimo) ai mitici «responsabili» che avrebbero dovuto far nascere il Conte ter. E in tutto ciò che fa Luigi Di Maio? Come va interpretata la sua visita a casa Conte? Cosa si è detto con Fico ? Gli amici del ministro dicono che il suo è stato un sincero tentativo di ricucitura tra Grillo e Conte. I nemici dicono invece che Di Maio è ben consapevole del fatto che la sua scelta (che trascinerà quella di molti parlamentari) potrà essere l'ago della bilancia. Dunque, Di Maio ambirebbe a fare il king maker: da un lato soppesa la consistenza dell'iniziativa di Conte e ascolta ciò che l'ex premier ha da offrirgli; dall'altro tiene i contatti con Grillo e mostra a tutti che si sta spendendo per la pace. Ma la dura realtà (per i 162 deputati e i 75 deputati in carica) è che né Conte né Grillo sono in grado di promettere seggi sicuri. In ogni caso, Conte va avanti. Lo conferma la sua ultima mossa di ieri sera. Davanti alla richiesta dei parlamentari M5s di poter discutere la sua proposta statutaria, e di incontrare sia lui sia Grillo, l'ex premier ha fatto sapere: «Ci mancherebbe, sono sempre a disposizione dei parlamentari».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)