2022-04-21
Quando il 21 aprile era festa nazionale: il fascismo e il Natale di Roma
True
Il 21 aprile, giorno della fondazione di Roma è oggi una ricorrenza celebrata nella sola capitale e, nel resto d'Italia e del mondo, da una miriade di gruppi e di singoli appassionati di tradizione romana. C'è tuttavia stato un tempo in cui il 21 aprile era una delle principali festività nazionali. Stiamo parlando dell'era fascista. Il 19 aprile 1923 fu infatti approvato dal Consiglio dei ministri uno schema di decreto legge, proposto dal presidente Benito Mussolini, che aboliva la festività del 1° maggio e fissava la celebrazione del Lavoro al 21 aprile. Festività denominata “Natale di Roma – Festa del lavoro”. Tale decreto fu cassato nel 1945 con la fine della Seconda guerra mondiale.Sostituendo il 21 aprile al 1° maggio, ovviamente, Mussolini voleva sottrarre alle masse operaie un momento identitario particolarmente radicato nell'immaginario socialista, senza tuttavia fare a meno di una ricorrenza che celebrasse il lavoro. Si trattava, poi, di una celebrazione della romanità, che come sappiamo sarebbe stata centrale durante tutto il Regime.Le feste del 1° maggio e del 21 aprile erano state messe in contrapposizione da Mussolini già prima della salita al potere. In un discorso tenuto a Bologna il 3 aprile 1921, il capo del fascismo affermò: «Altro elemento di vita del fascismo è l’orgoglio della nostra italianità. A questo proposito sono lieto di annunziarvi che abbiamo già pensato alla giornata fascista: se i socialisti hanno il 1° Maggio, se i popolari hanno il 15 Maggio, se altri partiti di altro colore hanno altre giornate, noi fascisti ne avremo una: ed è il Natale di Roma. Il 21 Aprile. In quel giorno noi, nel segno di Roma Eterna, nel segno di quella città che ha dato due civiltà al mondo e darà la terza, noi ci riconosceremo e le legioni regionali sfileranno col nostro ordine che non è militaresco e nemmeno tedesco, ma semplicemente romano». Ha scritto lo storico Emilio Gentile: «Esaltando il mito di Roma come mito fondamentale del fascismo, e proclamando il 21 aprile “giornata fascista”, Mussolini mirava a conferire al fascismo una legittimazione storica, presentandolo come una rinascita dello spirito romano nella nuova Italia nata dalla guerra, e come l'avanguardia della nazione rigenerata, che aveva il diritto di imporre la sua supremazia, anche con la violenza, per conquistare il potere e imporre una disciplina di “stile romano” a tutti gli italiani». Esattamente un anno dopo, il 21 aprile 1922, pochi mesi prima di marciare sulla capitale, quindi, Mussolini tornò sulla questione sul Popolo d'Italia: «Celebrare il natale di Roma significa celebrare il nostro tipo di civiltà significa esaltare la nostra storia e la nostra razza significa poggiare fermamente sul passato per meglio slanciarsi verso l'avvenire. Roma e Italia sono infatti due termini inscindibili. […] Certo la Roma che noi onoriamo non è soltanto la Roma dei monumenti e dei ruderi la Roma dalle gloriose rovine fra le quali nessun uomo civile si aggira senza provare un fremito di trepida venerazione. Certo la Roma che noi onoriamo non ha nulla a vedere con certa trionfante mediocrità modernistica e coi casermoni dai quali sciama l'esercito innumerevole della travetteria dicasteriale. Consideriamo tutto ciò alla stregua di certi funghi che crescono ai piedi delle gigantesche querce. La Roma che noi onoriamo ma soprattutto la Roma che noi vagheggiamo e prepariamo è un'altra: non si tratta di pietre insigni ma di anime vive: non è contemplazione nostalgica del passato ma dura preparazione dell'avvenire. Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento; è il nostro simbolo o se si vuole il nostro mito».Il 21 aprile 1924 – a potere ottenuto, quindi, e dopo l'istituzione ufficiale della nuova festa nazionale – a Mussolini fu conferita in Campidoglio la cittadinanza romana. In quella occasione dichiarò: «Sino dai giorni della mia lontana giovinezza, Roma era immersa nel mio spirito che si affacciava alla vita. Dell'amore di Roma ho sognato e sofferto, e di Roma ho sentito tutta la nostalgia. Roma! E la semplice parola aveva un rimbombo di tuono nella mia anima. Più tardi, quando potei peregrinare fra le viventi reliquie del Foro e lungo la Via Appia e presso i grandi templi, sovente mi accadde di meditare sul mistero di Roma, sul mistero della continuità di Roma». Da lì in poi, il 21 aprile divenne un giorno solenne, benaugurante per qualsiasi «inizio», anche non necessariamente legato alla tradizione romana. Il Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Giovanni Gentile, per esempio, venne pubblicato il 21 aprile 1925 sui principali quotidiani dell'epoca. Lo stesso giorno fu inaugurata la ferrovia che collegava Roma a Ostia in trenta minuti. Il 21 aprile 1926, Mussolini diede il primo colpo di piccone per il recupero del Teatro di Marcello. E così via. Proprio l'archeologia fu uno dei canali privilegiati in cui si espresse il rinnovato culto fascista della romanità, peraltro interpretata in un senso niente affatto «passatista», come ha notato lo storico francese Philippe Foro: «In effetti, la romanità offriva – paradosso cronologico – una “visione del futuro”, dando al fascismo un obiettivo ideale da realizzare, una referenza prestigiosa con cui il fascismo, sono nella storia d’Italia, ai suoi occhi, poteva confrontarsi».
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
Per scaricare il numero di «Giustizia» basta cliccare sul link qui sotto.
Giustizia - Ottobre 2025.pdf
Continua a leggereRiduci