2025-04-21
Oggi è il compleanno della città eterna
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Il tempio di Saturno nel Foro Romano, visto dalle pendici del Campidoglio (Getty)
Roma è stata fondata il 21 aprile del 753 a. C. Dalle paludi del Tevere alla vetta dell’impero, l’Urbe si è trasformata, ha assorbito, è rinata. È l’idea di civiltà che continua a plasmare il nostro mondo.«Tu, romano, ricorda di governare i popoli: /queste saranno le tue arti, d’imporre la civiltà con la pace, / risparmiare gli arresi e sconfiggere i superbi». Ecco il monito di profetizzato da Anchise a Enea nel sesto libro dell’Eneide. Virgilio, il vate, conosceva il destino di Roma e aveva compreso che la sua grandezza non avrebbe dovuto risiedere nella sete di conquista ma nella capacità di ordinare il caos. Oggi, a 2778 anni da quando Romolo tracciò il pomerium, il confine sacro che delimitava il sorgere della città, i distratti camminano accanto al Pantheon, tra le rovine dei Fora, o fotografano la mole del Teatro di Marcello e lo confondono con il Colosseo. Ma chi guarda al di là delle pietre consumate dal tempo è testimone di un’idea che ha plasmato la storia.Roma nacque dalla contraddizione. Un villaggio di pastori e mercanti costruito su paludi malsane, tra le colline e il Tevere, divenne, nel volgere di pochi secoli, padrona incontrastata del mondo mediterraneo. Qual è stata la chiave del successo romano? «Graecia capta ferum victorem cepit», scriveva Orazio: la Grecia conquistata conquistò il rozzo vincitore. E mentre altre potenze imponevano la propria cultura con la forza, Roma assorbiva e rielaborava. Dagli etruschi apprese l’arte del governo, dai greci la filosofia, dai cartaginesi le tecniche navali. Ma tutto trasformò in qualcosa di nuovo, di tipicamente romano.Il genio politico di Roma si manifestò nella capacità di creare istituzioni flessibili. La Repubblica, con il suo complesso sistema di controlli e di equilibri, permise a una città-Stato di governare un impero. Cicerone poteva vantarsi che il bene supremo per popolo fosse la legge. Era un’idea rivoluzionaria per l’epoca, anche se spesso disattesa nella pratica. Quando il sistema repubblicano entrò in crisi, sotto il peso delle conquiste, Roma seppe trovare una nuova forma nel principato di Augusto, una fragile e delicata stabilità fra la tradizione repubblicana e una monarchia, istituto mai più tollerato dal 509 a. C., anno della cacciata di Tarquinio il superbo, ultimo re della città.Il II secolo d.C., quello degli Antonini, rappresentò il culmine della potenza romana. Marco Aurelio, il filosofo, lo stoico, scriveva nelle sue Memorie che «l’universo è mutamento, la vita opinione». Consapevolezza della precarietà del potere. L’impero si estendeva dalla Britannia alla Mesopotamia, le sue strade collegavano tre continenti, le sue leggi garantivano una pace mai vista prima. Eppure, proprio nel momento di massima espansione, cominciavano a manifestarsi i segni del declino.La crisi fu lenta, quasi impercettibile all’inizio. Il III secolo vide l’impero sull’orlo del collasso: invasioni barbariche, guerre civili, inflazione. Le istituzioni che avevano retto per secoli mostravano la corda. Diocleziano tentò di salvare l’immenso Stato romano con una riorganizzazione radicale, moltiplicando burocrati e controlli. Ma, come aveva osservato Augusto, la regola del buon governo sta nel principio dell’affrettarsi lentamente (festina lente). Le riforme troppo rapide spesso falliscono.Il 476, anno della deposizione di Romolo Augustolo, è una data convenzionale più che reale. L’impero d’Occidente cadde senza fare rumore e Roma sopravvisse in altre forme. La Chiesa cattolica ereditò l’universalità romana, il latino divenne la lingua della cultura europea, il diritto romano la base dei sistemi giuridici continentali.Forse, la vera grandezza di Roma sta nella sua capacità di rinascere continuamente. Dante, nel Convivio, la definì «quella Roma onde Cristo è romano». Gli umanisti vedevano in essa il modello da imitare, i rivoluzionari francesi si ispirarono alla Repubblica, i padri fondatori americani studiarono il suo sistema istituzionale. Ancora oggi, quando parliamo di Senato, di Repubblica, di diritto, usiamo parole romane per concetti romani.Camminando tra le rovine del Palatino, dove Augusto costruì la sua residenza, le suggestioni evocano un altro verso di Virgilio: «Sic transit gloria mundi». Eppure, in modo paradossale, la gloria di Roma non è mai veramente passata. È presente nelle nostre istituzioni, nella nostra lingua, nel nostro modo di concepire lo Stato. L’Europa unita, con la sua moneta unica e le sue libere frontiere, dovrebbe, in qualche modo, ricalcare il ritorno dell’idea romana di spazio politico condiviso.Roma ci insegna che le civiltà non muoiono mai del tutto. Si trasformano, lasciando dietro di sé semi che germogliano in epoche successive. Marco Aurelio: «Ciò che non è utile per l’alveare non lo è neppure per l’ape». Roma fu utile al mondo antico, e attraverso le sue ceneri, continua a esserlo ancora oggi. Forse perché, in fondo, come intuì Virgilio, Roma non fu mai solo una città o un impero. Fu sempre, prima di tutto, un’idea. E le idee, quando sono forti, sopravvivono ai secoli, alle invasioni e alle rovine stesse che lasciano dietro di sé.
Ursula von der Leyen e Iratxe García Pérez (Ansa)